L’ipocrisia di Gravina, l’omertà di Nicchi: nel calcio italiano ognuno si fa i fatti suoi
Dal presidente della Federcalcio, Gabriele Gravina, e dal capo degli arbitri, Marcello Nicchi, ci aspettiamo qualcosa di diverso da folklore manicheo e difese d'ufficio della categoria dalle insinuazioni irresponsabili dei presidenti. Nulla di trascendentale ma solo dare il buon esempio, un segnale tangibile della volontà di contrastare un certo andazzo che non sia solo manifestazione di sdegno provocato dall'emozione del momento. L'uno e l'altro possono molto, a prescindere dalle questioni di ordine di pubblico che non attengono al loro ambito istituzionale. Del resto, non è stata forse la Uefa a chiarire che il protocollo anti-razzismo è stato violato?
Il numero uno della Figc ha condannato i cori razzisti contro Kalidou Koulibaly e chiesto pene esemplari però non ha (ancora) chiarito cosa ha intenzione di fare (e se la ritiene giusta) con la norma che il suo predecessore, Carlo Tavecchio, ha depotenziato facendo un favore alle società di calcio, liberandole dallo scomodo fardello della responsabilità oggettiva. Il primo consiglio federale dell'era ‘opti poba' approvò nell'estate del 2014 la modifica che intervenne sui testi degli articoli 11 e 12 del Codice di giustizia sportiva: da allora non costituisce più un comportamento discriminatorio, punibile come illecito disciplinare, una condotta da considerarsi, direttamente o indirettamente, di "origine territoriale"; "l'offesa, denigrazione o insulto" è stata cassata dall'articolo 12 (in materia di prevenzione di fatti violenti) quale causa di responsabilità oggettiva delle società. Un provvedimento scandito da sanzioni edulcorate rispetto a "interventi più ponderati" (così li definì Tavecchio all'epoca) e una valutazione della recidiva che solo nei casi più gravi può portare alla chiusura effettiva (e non con la condizionale) della Curva.
In Inghilterra i club mettono al bando i loro tifosi se si macchiano di atteggiamenti inqualificabili o addirittura di matrice razzista: lo hanno fatto di recente il Manchester City, il Tottenham e l'Arsenal. Noi, invece, stiamo ancora a discutere sulla presunta riprovazione di buona parte del pubblico che ha valore di attenuante e sull'annuncio dello speaker. Quando si dice dare il buon esempio facendo cose normali.
Quanto al capo degli arbitri, Nicchi, sarebbe stato apprezzabile se avesse ammesso che Mazzoleni avrebbe dovuto mostrare un po' più di coraggio anche alla luce di quanto accaduto a Torino contro la Juventus (insulti ad Ancelotti e cori contro i napoletani) e della tracotanza degli ultrà che equiparano lo sfotto' all'aggressione verbale. Lo stesso coraggio avuto da Irrati e Gavillucci che decisero di sospendere le partite per gli ululati razzisti e i cori discriminatori avvenuti sempre contro Koulibaly del Napoli e i partenopei durante le gare contro Lazio e Sampdoria.
Invece, le uniche parole pronunciate dal numero uno dell'Aia ci lasciano interdetti quando, in riferimento al Procuratore federale Pecoraro favorevole alla sospensione del match, dice: "Sui cori razzisti non abbiamo niente da dire. C’è già tanta gente che parla a sproposito. Pecoraro è invitato a fare il procuratore, l’arbitro e gli addetti all’ordine pubblico fanno quello che devono fare". Più prolisso quando si tratta di Var e interpretazione arbitrale di episodi da moviola, in questo caso Nicchi tace e invita a tacere perché ognuno deve farsi i fatti suoi. Quando si dice non dare il buon esempio lasciando sempre più soli e in balia di violenti e razzisti chi in questo calcio non si riconosce.