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Lavagna tattica, pregi e difetti della Roma verticale di Spalletti

I giallorossi tentano 176 verticalizzazioni di media. Tengono la difesa alta, ma il recupero del pallone è spesso basso. Tirano più di tutti in Italia, meno solo del Real in Europa: Dzeko fa la differenza, con il jolly Salah. Concedono, però, il doppio delle conclusioni della Juve.
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L'equilibrio nella verticalità. È l'obiettivo facile da dire e complesso da realizzare della Roma di Spalletti, una squadra dai ribaltamenti continui, scintillante quando attacca fulminea ma in quegli attacchi lunga, a volte ancra scollegata, una tendenza per certi versi fisiologica con un centravanti come Dzeko.

Sincronia da cercare – La sincronia è il vulnus della squadra col miglior attacco del campionato, che tira più di tutti in Serie A, ma è solo quinta per passaggi corti tentati e riusciti a partita, che intercetta sì 18 palloni a partita ma è solo decima per contrasti andati a buon fine e soprattutto per tiri concessi agli avversari (13 a partita, quasi il doppio della Juve, un terzo in più del Napoli e dell'Inter, che pure con De Boer più di tutte ha vissuto la difficoltà di gestire le transizioni).

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Attacco indecifrabile – Con un baricentro che oscilla fra i 45 e i 55 metri (50.2 di media), la Roma è un grosso rebus per chi deve difendere. Si allunga (36,5 metri di media), ma costringe le difese avversarie fuori dalla propria “comfort zone”, sospese tra la ricerca del pressing e la chiusura delle linee di passaggio, fra la compattezza dei reparti e la difesa della profondità. I movimenti di Dzeko diventano la chiave sia nella fase di avvio dell'azione, che nel momento della finalizzazione. È un centravanti a tutto campo, il bosniaco, che tira più di tutti in A (5,27 a partita, primo in Italia e terzo nel Big 5 in Europa dietro Cristiano Ronaldo e Ibrahimovic, di cui il 57% nello specchio della porta). Ma non fa solo questo. Lavora di sponda (oltre 3 a partita), un aspetto su cui la Roma proprio per le sue caratteristiche nell'occupazione del campo ricerca in maniera sistematica (21,8 di media a partita).

I giocatori che tirano di più in Europa
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Il valore di Dzeko – Dzeko è di fatto, nell'ultima configurazione spallettiana, abbandonati definitivamente il falso centravanti e il tridente leggero, un centravanti boa. Pulisce il pallone che esce dalla difesa e può esaltare la corsa di Perotti o di Salah che tagliano nei semi-spazi alle spalle della difesa, i corridoi interni fra la zona centrale e le fasce, da cui si può vedere molto più campo: è qui che il “passing game” moderno cerca il perfetto bilanciamento fra la verticalità, la ricerca della porta e il bisogno dell'ampiezza.

Tocchi e movimenti a tutto campo di Dzeko contro Inter e Bologna
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L'estro di Salah – In questa identità malleabile, la Roma ha saputo cambiare pelle, aprire nuovi orizzonti. Le 176 verticalizzazioni a partita racchiudono il senso di un'identità che ricerca la sua strada nella velocità più che nella gestione insistita del possesso. Una strada che passa inevitabilmente per Salah, quarto africano ad aver realizzato una tripletta in Serie A. L'egiziano, con 3.3 passaggi chiave a partita (record di squadra, solo Ilicic fa meglio in A) è il jolly di una Roma seconda nei cinque principali campionati d'Europa per occasioni create, 15 a partita, dietro solo al Real Madrid. Occasioni che nascono dalla fascia destra nel 15% dei casi, il doppio rispetto a quanto avviene sul fronte opposto. Anche per effetto della catena che si crea con la spinta di Bruno Peres, la chiave in fase offensiva contro l'Inter, utile anche con i movimenti senza palla dentro al campo domenica sera.

I movimenti di Salah a destra contro Bologna e Napoli, in cui è stato decisivo
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In questo contesto interpretativo cambiano ruolo e peso di Perotti, che rimane il secondo giallorosso per passaggi chiave (2.3 a partita), ma tocca la metà dei palloni rispetto alla seconda metà della scorsa stagione (26 contro 53), quando la Roma giocava un calcio più posizionale.

Centrocampo flessibile – Nella ricerca dei corridoi interni, anche per effetto della presenza di due terzini “asimmetrici”, Bruno Peres (o Florenzi prima dell'infortunio) e Juan Jesus, in qualche occasione Spalletti ha adattato la squadra in fase di possesso secondo il principio guardioliano antico eppure modernissimo dell'abbassamento di un centrocampista sulla linea difensiva. Il trequartista si abbassa, e il modulo finisce per assomigliare al vecchio WM. Ci ha provato, anche per reazione, sul campo della Fiorentina di Paulo Sousa, la squadra che in Italia ha fatto di questa strategia un paradigma identitario forte. Strootman diventava il terzo a sinistra, Perotti si muoveva centralmente con Salah più alto e più largo con l'obiettivo di isolare il suo marcatore.

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La transizione, favorita da una larghezza che in media in stagione non raggiunge i 47 metri, ha funzionato perfettamente a Napoli. Juan Jesus diventa il terzo centrale e permette a Florenzi di accompagnare l'azione d'attacco. Il dialogo con Salah porta l'egiziano a esplorare i semi-spazi fra Koulibaly e Ghoulam, preso troppo spesso d'infilata alle spalle.

Difensivamente, però, qualche equivoco rimane. La Roma tiene la linea arretrata alta per far scattare il fuorigioco (25,6 metri), ma recupera palla troppo bassa (34,8 metri), segno di uno schiacciamento non sempre compensato dalla velocità sulle fasce. Certo, quello che un tempo era il WM, la configurazione che ha “inventato” il contropiede opposta al WW, evoluzione del gioco di passaggi sintetizzata nel quadrilatero di centrocampo per cui servono interpreti dalle doti perfettamente complementari, allunga la squadra. Ma la Roma, anche nei primi minuti contro il Bologna o nei frangenti di maggiore pressione contro Napoli e Inter, è spesso spezzata in due tronconi.

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Battere e levare – E l'assenza di sincronia si vede sulle seconde palle, nella difficoltà che periodicamente riemerge di difendere nella propria trequarti, soprattutto fra le linee (vedere per credere il gol-vittoria di Badelj a Firenze), o di gestire le transizioni, con cinque uomini sopra la palla e altrettanti sotto: Perisic ha esposto al massimo la passività giallorossa nel riprendere le posizioni sulle sue ripartenze alle spalle di Peres, senza l'aiuto alto di Salah. È una Roma in battere e in levare, con l'ex Toro che compensa la non sofisticata lettura delle situazioni con la velocità e un Juan Jesus che tende a schiacciarsi a volte troppo sui centrali, lasciando qualche spazio di troppo sull'esterno: è stato fondamentale, però, nel big match del San Paolo per neutralizzare Callejon e farlo gradualmente uscire dalla partita.

Prospettive future – Una Roma che sta guadagnando equilibrio e imprevedibilità con la crescita di Nainggolan, trequartista di corsa e movimento, e un De Rossi delegato al palleggio con Strootman mediano a tutto campo. Ma può ancora migliorare, soprattutto nell'uscita bassa del pallone dalla difesa, un aspetto in cui si sente il peso della situazione “inquietante” (Roberto Martinez docet) di Vermaelen. Una squadra che ha bisogno di compattezza per un recupero alto del pallone. È l'unica strada per raggiungere l'equilibrio nella verticalità.

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