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Tuta, parolacce, sigarette: Sarri in Champions fuori dagli schemi

Sarri debutta in Champions League. Con la sigaretta e la tuta, simbolo di chi ha scelto il campo al posto di un elegante impiego in banca. Ma niente calcio genuino di provincia: dietro ci sono uno studio attento, molta tecnologia e nessun dogma tattico.
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“Non tiratevi mai indietro di fronte a una nuova esperienza. Vivere la vita fino in fondo, prendetela di petto, non lasciatevi sfuggire nulla”. È il consiglio che John Fante, attraverso Arturo Bandini, dà agli scrittori in Chiedi alla polvere. Un insegnamento che uno dei lettori più fedeli di Fante, Maurizio Sarri, ha trasformato in paradigma. Di vita e di carriera. Con quell'immagine, sigaretta, tuta e linguaggio molto poco British, che si fa manifesto: perché la forma è sostanza, anche alla prima in Champions League.

Facile espellere me in tuta – “È più facile espellere me che sono in tuta che un allenatore in doppio petto” spiegava dopo l'espulsione durante Napoli-Milan. C’è un richiamo alla lotta di classe, che nel Sarri-pensiero non è certo solo il retaggio obsoleto del tempo che fu. C'è un po' della tendenza alla lamentela che già sulla stessa panchina caratterizzava Mazzarri e ha segnato comunque la sua prima stagione in azzurro.

Disuguaglianze – C'è, però, qualcosa di antico e profondo, l'affermazione in forma diversa della disuguaglianza che, ha spiegato il sociologo dello sport Luca Bifulco, si misura con tre parametri: “prestigio, potere e risorse economiche. E lo sport non fa differenza. Ci sono quindi differenze legate a fattori logistici e patrimoniali ma anche all’immagine e alla reputazione che ti porti dietro. Nel senso: l’allenatore di una squadra più “sfigata” riceverà molta meno deferenza, da parte di chi detiene il potere, rispetto a quello di una squadra blasonata”.

Dalla banca al campo – La tuta, un tempo nera per scaramanzia, lo accompagna da sempre. Icona di quella vita di campo che ha scelto, che avrebbe scelto anche gratis, per quelle ragioni del cuore che la ragione non conosce. La ragione gli avrebbe suggerito di mantenere la vita di prima, una donna e un impiego in banca, in giacca e cravatta e con orari prevedibili. Si occupa di transizioni fra istituti bancari per il Monte dei Paschi di Siena, lavora anche in Germania, Inghilterra e Lussemburgo. “Nel '99 con l'euro lavorare nei cambi rendeva meno” racconta a Gianni Brera. E allora torna l'amore per il campo. Intanto, comunque, ha “appreso il valore dell’organizzazione e della capacita decisionale”. Il Sarri-pensiero nasce anche da qui. Per dirla con Mourinho, “chi sa solo di calcio, non sa niente di calcio”.

Papà ciclista e operaio – Sarri, che pure del calcio ha fatto l'oggetto di uno studio profondo e serio, non si è mai preso troppo sul serio. Lo sport è una parte della vita, ma non la più importante. È pur sempre gioco, armonia di tempi e movimenti. Faticoso, ripete spesso, “è alzarsi alle sei per andare in fabbrica”. Come faceva il padre Amerigo, gruista quando le gru si azionavano da sopra, che ha lavorato per la Max Mayer, la Pirelli e la ditta che ha costruito l'Italsider a Bagnoli. In un'altra vita, però, era stato un ciclista di dilettante di livello, un passista-scalatore con più di trenta vittorie in carriera, che ha smesso a 25 anni non contento della vita da professionista. E rifiuta l'invito di Gastone Nencini che lo vuole con sé nella squadra con cui, poi, vincerà Giro e Tour.

Scaramanzia – Insieme alla tuta e alla scaramanzia (gli stessi posti a tavola, le scarpe dei calciatori dipinte sempre di nero a Pescara, un allenamento ritardato perché un gatto nero gli aveva attraversato la strada e sarebbe ripartito solo dopo il passaggio di un'altra macchina), nel ricordo di tutti, in tutte le squadre in cui è passato, resta l'etica del lavoro e una cura maniacale per i dettagli.

La cura dei dettagli – Allenato a Figline dall'Uccellino del primo scudetto della Fiorentina, Kurt Hamrin, studiava già gli avversari in Serie D. A Verona, prima di una serie di esperienze poco fortunate a metà degli anni Duemila, ancora ricordano i suoi metodi innovativi: in allenamento fa provare le rimesse laterali per ogni zona del campo, in attacco e in difesa. Saranno anche una leggenda i 33 schemi, ma l'attenzione alle palle inattive no. “Da quelle dipendono il 40-50% degli esiti delle partite” ha spiegato.

Due schemi su punizione che Sarri illustra nella tesi per il Corso Uefa Pro Licence
Due schemi su punizione che Sarri illustra nella tesi per il Corso Uefa Pro Licence

Software e droni – Dietro la tuta non c'è la retorica del calcio facile e genuino di provincia. C'è un'equazione diversa, c'è lo studio e la scienza, la sintesi degli opposti, il software che si è fatto progettare nel 2005 a Pescara per monitorare allenamenti e diete personalizzate e il drone per gestirli. C'è un allenatore che prepara ogni giorno della settimana in maniera diversa, che confronta il match con la preparazione teorica, perché tattica teorica e applicata non sono sinonimi. “La lettura, a differenza dell’analisi ha obiettivi immediati in quanto tende ad ottenere il massimo risultato possibile dalla partita stessa” scrive nella tesi per il corso Uefa.

Niente dogmi – Ammira il primo Chievo di Delneri e il Foggia di Zeman che, ha detto una volta scherzando, “fuma più di me ma solo perché si sveglia prima la mattina”. Ma non è un tecnico dogmatico. “Mi piaceva la difesa a 3, poi ho capito che era più offensiva quella a 4, che non costringe gli esterni ad arretrare” ha spiegato. “Chiedo che la palla resti poco all’ interno dello stesso reparto, quindi bisogna verticalizzare il gioco il più possibile oppure scaricare all’ indietro, giocando lateralmente il meno possibile. Gli esterni devono attaccare gli spazi, mentre dietro al centravanti deve esserci un giocatore che faccia sia il trequartista che la seconda punta: in questo ruolo ho inventato Baiano alla Sangiovannese e Bonfiglio a Pescara”.

Tanti moduli – È un fautore del 4-2-3-1 convertito al rombo di centrocampo a Empoli, la sua piazza ideale: “un allenatore che la trova” ha detto, “ha un gran fiuto o un gran culo: qui sappiamo che la crescita di un giovane passa anche dai suoi errori, altrove c'è il complesso dell'errore: sbagli una palla e non giochi più”. Così rigenera Croce, che stava firmando per giocare nella serie B svizzera, esalta Valdifiori. Ha provato a metterlo al centro anche del progetto Napoli, ma non funziona. E tra l'idea e il campo sacrifica la convinzione. Entra Jorginho, il modulo diventa un 4-3-3 con Insigne e Callejon nelle posizioni ideali e Higuain a fare il resto.

I palloni toccati e le conclusioni di Callejon a Palermo
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Sarri e Higuain – “Quando abbiamo parlato per la prima volta io e Higuain – ha raccontato alla Domenica sportiva- gli ho detto le 98 cose che mi piacevano di lui e le due che poteva migliorare. Ne abbiamo parlato e ci siamo messi d’accordo”. Il resto è storia. Perché quel che conta è la disponibilità al cambiamento. E dietro i numeri c'è un principio, un'idea: portare quattro uomini nella zona della palla e creare superiorità numerica, attaccare contemporaneamente in ampiezza e in profondità, creare l'uno contro uno sulla fascia nel momento del cambio di gioco sul lato debole.

Organizzazione – L’organizzazione, lo studio, la scienza servono a non sbagliare scelte, a capire e allenare il talento. Come? “Con la personalità, con la personalità. La facilità di parola. E la conoscenza, che rende credibile le prime due. Io studio anche 13 ore al giorno”.

Arte e scienza – Un calcio complesso, non difficile. Un ingranaggio sottile, un incastro d'arte e scienza. Ai giocatori chiede applicazione, dedizione. Ai giocatori e a tutti i collaboratori, che si aspetta propositivi e con la sua stessa unità di pensiero e di obiettivi, dà tutto. Quando il presidente dell'Alessandria allontanò il team manager e Gigi Poggio, responsabile dell'ufficio stampa, prima del playoff con la Salernitana, minacciò il presidente: o li riassumi o non scendiamo in campo.

Linguaggio forte – È la base del Sarri-pensiero, del nipote di partigiano (nonno Goffredo ottenne un riconoscimento dalla Casa Bianca per aver nascosto e salvato i piloti di un aereo Usa abbatuto in Val d'Arno) che vede l'articolo 18 come il simbolo delle lotte delle passate generazioni. È la visione di un tecnico infastidito dalle etichette, che non si vergogna di un linguaggio forte, anche troppo (il “frocio” a Mancini non è difendibile), epifania però della forza di una passione che va al di là del campo. La passione politica di un allenatore che non indossa le sciarpe o le spille per le raccolte fondi benefiche perché convinto che “della ricerca contro il cancro o la distrofia debba farsi totalmente carico lo Stato, in un Paese civile” come ha raccontato a Gianni Mura nella densa intervista su Repubblica.

Il futuro lo preoccupa – Un allenatore che sente il peso del privilegio di un lavoro e di una posizione invidiabile, il peso di una generazione che “lascia ai suoi figli qualcosa di peggio, più di vent'anni di deriva civile, sociale, etica ed economica. Il futuro mi preoccupa molto, e non parlo di calcio”. In fondo, chi sa solo di calcio non sa niente di calcio.

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