La storia di Matias Dutour, talento del Nacional senza l’avambraccio sinistro

Un calcio ai silenzi troppo duri da raccontare, alla vita che gli ha fatto conoscere quanto possa essere profonda l'anima. Matias Dutour oggi ha diciannove anni e ha coronato il sogno della sua vita: indossare la maglia del Nacional di Montevideo, quella della prima squadra. Magari gli riuscirà di giocare anche accanto a Recoba, il ‘Chino' ex interista, il suo idolo fin da quando, ragazzino, correva sul campo con la protesi al braccio sinistro. E' privo dell'avambraccio dalla nascita, una malformazione lo ha reso monco e diverso dagli altri fin da bambino. Quel giorno che l'arto finto gli cadde mentre s'allenava ha chiuso gli occhi e s'è tolto quella pietra che il destino gli aveva piazzato lì apposta, a gravare sul cuore: ha mollato un pestone a quel pezzo di plastica, alla rabbia, alla paura, a tutto e creduto solo a ciò che vedeva in se stesso. "Ho sempre usato la protesi – ha ammesso ai media sudamericani Matias, che un anno fa a Telethon Uruguay raccontò al mondo intero la sua storia -. Non ho mai accettato la mia diversità, volevo essere uguale agli altri e non potevo. Avevo vergogna, addirittura quando iniziai a giocare non volevo indossare magliette a maniche corte. Poi, quando il braccio finto mi cadde, ho sentito che potevo farne a meno. Che non ero inferiore ad altri. Che nulla nella vita è impossibile e che anche io potevo farcela".
Convocato. Matias gioca a centrocampo, Alvaro Gutierrez l'ha chiamato perché la rosa dei titolari è stata decimata da infortuni e squalifiche. "E anche perché se l'è meritato", aggiunge con fierezza l'allenatore. "Avrà la possibilità di mettersi in mostra e farsi apprezzare così come ha fatto nelle giovanili". Rudy Rodriguez è l'allenatore che ne ha accompagnato il percorso, ha stima e fiducia nel ragazzo: "E' un esempio per tutti e, soprattutto, un ottimo calciatore".
Storie di vita e di calcio. Nella tradizione del calcio uruguagio c'è un precedente molto simile alla vicenda di Matias: Hector Castro, campione del mondo nel 1930, perse l'avambraccio destro a 13 anni mentre lavorava alla sega elettrica e nell'agiografia della Celeste è una leggenda. Poi c'è Alexandre Toledo, 36 anni, calciatore brasiliano professionista fino al 1996 quando un grave incidente ha posto fine alla sua carriera: i medici furono costretti ad amputargli una gamba, lui ha continuato a giocare tra i dilettanti su arto solo, in equilibrio perenne tra la sua forza d'animo e la vita.