Oltre duemila morti, 462 nelle ultime 24 ore. La curva dei contagi aumenta in maniera esponenziale: ha sfondato quota 33 mila. Il Covid-19 è esploso con una carica virale devastante in Spagna e non risparmia nessuno, siano giovani o vecchi, siano già ammalati o meno, siano ricchi e famosi abbastanza anche per permettersi cure costose. È morto l'ex presidente del Real, Lorenzo Sanz. Placido Domingo per un po' dovrà restare a riposo assieme alla sua voce: anche il tenore iberico è nel novero degli infetti. La vicepremier, Carmen Calvo, è ricoverata a Madrid per un'infezione respiratoria. I nostri vicini di casa hanno paura, l'emergenza Coronavirus ha spazzato via anche le certezze di una nazione che nel calcio s'è posta a lungo come "l'invincibile armata".
E anche quella porzione di burocrati, che ai soldi dei mancati introiti non vorrebbe rinunciare, s'è dovuta piegare alla contingenza degli eventi. Con un comunicato congiunto Liga e Federacalcio iberica hanno rinviato a data da destinarsi la possibilità che le squadre tornino in campo, lasciando al Governo decidere quando e se ci sarà l'opportunità per tornare in campo. A cosa è dovuta questa clamorosa retromarcia? Cosa è cambiato rispetto a qualche giorno fa quando Javier Tebas (numero uno della Liga) ipotizzava addirittura un ritorno alle competizioni entro un mese? Il bollettino di guerra quotidiano è motivazione sufficiente perché anche i più convinti assertori dello "show must go on" mettano da parte calcoli improvvidi.
Non è solo questione di pericolo per la salute pubblica e dei calciatori, c'è di più. C'è che lo spettacolo non deve continuare a tutti i costi quando il costo umano che il Paese sta pagando è altissimo. Straziante, così il figlio dell'ex massimo dirigente dei blancos ha descritto l'agonia del padre, deceduto da solo e "rispedito a casa in un pacco". Quel "pacco" è l'urna che contiene le sue ceneri: nemmeno al momento della cremazione hanno consentito ai suoi cari di assistere. Ecco, moltiplicate il senso della parola "straziante" in maniera esponenziale, tenendo conto degli affetti più cari, e forse avrete la dimensione di quanto possa essere profondo il dolore.
Nemmeno i potenti del calcio hanno la bacchetta magica né l'elisir di lunga vita per dribblare il morbo. Nessuno di loro è immune, nemmeno quei calciatori "semi-dei" che nella vita tutto possono comprare. Hanno paura anche loro perché non esiste (ancora) alcuna ricetta strategica che possa arginare un fenomeno così devastante. Sono soli dietro le quinte, a muovere le fila di cosa? In sala c'è buio, non c'è pubblico. E il palcoscenico è desolatamente vuoto.
Per una volta devono arrendersi all'evidenza dei fatti: non sono loro – i club più forti e ricchi – a decidere. Non è una lezione da imparare, né ha bisogno d'essere spiegata. In Spagna come nel resto d'Europa, anche quella che prova a incastrare le competizioni continentali in calendario, non c'è tempo per pensare ad altro. Loro lo hanno capito. Contando i morti, ma lo hanno capito. Lo capiranno anche nelle stanze della Uefa e in Serie A? Il messaggio è chiaro: la vita di una persona non è tutta nel fondo di una Coppa.