La saudade del campione brasiliano e quella voglia irrefrenabile di “Mondial”

Basta la parola – Anche se da molti viene definita come la settima parola più difficile da tradurre, qua in Italia abbiamo capito sin da subito (e bene) il suo significato. La "saudade", nel calcio, ha sempre avuto un peso significativo. Chiedere ad Edmundo, campione verdeoro acquistato dal "folcloristico" Cecchi Gori alla fine degli anni novanta, che tradì la maglia della Fiorentina per volare al Carnevale di Rio. Negli anni successivi, "O'Animal" ebbe un sacco di seguaci pronti a salire a bordo del primo aereo per curare quella voglia irrefrenabile di tornare a casa. La "saudade" ha colpito più o meno tutti: da Ronaldo a Ronaldinho, passando dalle scappatelle di Adriano, fino ad arrivare ai giorni nostri con la tristezza di Robinho, la voglia di fuggire di Pato ed il pentimento di Lucio e Maicon. Tutti lontani anni luce dalla "terra del sole" e da un "mood" di vita totalmente diverso. Nebbia, pioggia, freddo e problemi a non finire, versus caldo, spiagge, mare, belle donne (non che da queste parti non ce ne siano, intendiamoci) e gli stessi problemi, però nascosti sotto la sabbia: pare evidente che non ci sia partita tra i "minus" del nostro mondo ed i "plus" del loro.
Una razza in via d'estinzione – Abituiamoci all'idea di vederne sempre meno. Tempo fa alcuni dirigenti, Galliani in testa, lanciarono il loro grido di dolore e rabbia nei confronti della tipica "malattia" che colpisce ogni anno decine di giocatori brasiliani: "Non comprereremo più brasiliani!", sbottò l'ad rossonero stufo della sovrapposizione degli impegni milanisti con quelli della "Seleçao".

Non è solo maliconia – A dire la verità, non è soltanto la tristezza verso la madre patria ad essere decisiva nel ritorno a casa dei brasiliani. Le motivazioni di questo esodo al contrario sono sotto gli occhi di tutti: il prossimo mondiale brasiliano ed una qualità del campionato "verdeoro" decisamente cresciuta. Il "mondial" giocato in casa è un'attrazione troppo forte e far parte della rosa che vi parteciperà è diventato, per molti dei protagonisti che conosciamo, una questione di vita o di morte calcistica. Alexandre Pato, con tutti i suoi acciacchi, è tra quelli che spera fortemente in una convocazione. Così come Robinho che, nonostante un contratto fino al 2014 con il Milan ed un feeling inossidabile con club e tifosi, ha deciso di lasciare l'Italia per avvicinarsi a casa e convincere Scolari ad inserirlo nella lista dei ventitre fortunati che giocheranno il mondiale. Una competizione nella quale i verdeoro partiranno, più che mai, in pole position per la vittoria finale. Pronostico figlio di un calcio che continua ad essere tra i migliori e di un campionato che, in questi ultimi anni, ha saputo crescere a livelli esponenziali. L'esempio del Corinthians che schianta il Chelsea è la miglior fotografia per descrivere il salto in avanti del calcio brasiliano. Un "movimento" che, da qualche mese a questa parte, non solo si preoccupa di non privarsi dei propri gioielli e di riprendere i vecchi fenomeni esportati in tutto il mondo, ma anche di aggiungere qualità al "Brasilerao" acquistando campioni dal vecchio continente o dalla "vicina" Argentina. Cercare fortuna in Europa non è più così fondamentale e conveniente. Lo hanno capito in molti prima dei due "big" rossoneri. Neymar in primis, che dalla spiaggia di Rio De Janeiro "posta", via Instagram e Twitter, foto e messaggi inequivocabili: "Vorrei giocare nel Santos con il mio idolo Robinho". A giudicare dal sorriso a trentadue denti dell'ormai ex milanista, pare che qualcuno abbia tutte le intenzioni di accontentarlo. Contenti loro…