L’ultima corsa di Aldo Maldera, icona inconfondibile di un calcio che non c’è più
Indelebile – Quando sei poco più che un ragazzino, e ti portano allo stadio, fai in fretta ad innamorarti di tutto. Dagli spalti colorati e pieni di bandiere, fino a quel campo così verde (almeno, molti anni fa) da sembrare fluorescente. A quel tempo, poi, non c'erano anelli e coperture che toglievano ossigeno al manto erboso, così come non c'erano anticipi e posticipi. Tutti in campo nel pomeriggio e, se ti diceva bene e c'era il sole, le maglie dei giocatori risaltavano quanto e forse più del campo, rendendo ancora più spettacolare e colorata la partita che ti apprestavi a guardare. Avevo dei riferimenti ben precisi, quando guardavo giù dai "Popolari" e cercavo di riconoscere i giocatori. Aldo Maldera, scomparso ieri all'età di 58 anni, era uno di questi. Uno dei pochi con cui avevo (virtualmente) simpatizzato subito e che riuscivo a riconoscere in un batter d'occhio. Più di Gianni Rivera (campione troppo snob per i miei gusti), meno di Franco Baresi (inavvicinabile), come e forse più di molti altri protagonisti di quell'epoca: Maldera era un idolo per la mia generazione, uno di quei giocatori che amavamo veder giocare. In quel Milan (quello di Liedholm e dello scudetto della Stella, per intenderci), il buon Aldo "ci stava", eccome. E faceva anche la sua bella figura accanto ai piedi raffinati del capitano di quell'epoca. Quelli che hanno superato gli "anta", se lo ricordano bene. I più giovani, probabilmente, ignorano non solo le sue 227 presenze e 30 reti nel Milan (9 realizzate nell'anno scudettato, decisive per il tricolore), le 100 scarse tra Roma (anche li, uno scudetto con il "Barone") e Fiorentina e le poche apparizioni in azzurro, ma anche i suoi baffoni inconfondibili che, allora, erano un tratto indelebile (insieme ai suoi mitici tackle in scivolata) del terzino rossonero.
Facce da figurine – Le foto dell'epoca, riviste oggi, fanno sorridere e toccano ancora il cuore di chi si è avvicinato al calcio (e agli stadi) in quel periodo. Maldera III, chiamato così perchè era il terzo di tre fratelli tutti calciatori e tutti milanisti, bucava non solo la porta ma anche, e soprattutto, lo schermo. Non potevi non notarlo. Era il gregario che, umilmente, si metteva al servizio della squadra. Colui che quando passava sua maestà Gianni Rivera, abbassava lo sguardo per l'imbarazzo. Troppo umile e timido con tutti, al punto che, un giorno, il "Golden Boy" rossonero gli disse: "Puoi smetterla di darmi del lei?". A Milano con Rivera, nella Capitale con Bruno Conti, Falcao, Di Bartolomei ed un giovanissimo Carlo Ancelotti. Altro giro, altro scudetto: sempre e solo con il maestro Nils Liedholm. Ma prima di vincere anche con la maglia giallorossa, trovò il coraggio di scendere in Serie B con il Milan, nell'anno delle scommesse, risalire in A e vincere la Mitropa Cup, la coppa della vergogna che, un tempo, veniva giocata dalle squadre vincitrici del torneo cadetto. Vinse quella e, paradossalmente, perse quella più importante e prestigiosa. Avrebbe dovuto esserci anche lui, infatti, in quel 30 Maggio 1984, quando Graziani sparò in curva le ultime speranze giallorosse di conquistare la Coppa dei Campioni, contro i "reds" di Liverpool. Maldera, dopo aver contribuito a conquistare la finale, finì la sua avventura europea in tribuna, squalificato a causa di una stupida ammonizione rimediata in semifinale.
Il saluto finale – A poche ore dalla triste notizia, tutto il mondo del calcio si è chiuso nel dolore e nel ricordo di Maldera. A Milano, con la squadra rossonera negli States, lo ha ricordato il sito ufficiale del Milan: "Buon viaggio grande terzino, tutto il tuo Milan ti ricorderà sempre". Un abbraccio che è partito da Via Turati e che è arrivato, idealmente, in America dove la notizia ha sconvolto anche Andrea Maldera, figlio di Gino e nipote di Aldo, attuale assistente tecnico rossonero. Nella Capitale, lo avevano amato in molti: in primis, i suoi compagni di squadra.