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L’Italia giovane e operaia di Conte: lotta, resiste e vince nel segno di Zaza

L’Italia vince in Norvegia (2-0) nella prima gara di qualificazione all’Europeo. Umile, compatta, laboriosa e pronta a colpire. Zaza protagonista: segna il vantaggio, la traversa gli nega la gioia della doppietta.
A cura di Maurizio De Santis
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Umiltà. Orgoglio. Determinazione. In Norvegia l'Italia di Conte resiste, (con)vince, straripa. Sa soffrire, ma questa è caratteristica endemica, e ha imparato che si può tener botta anche senza sbandare. Fa pressing alto, è allergica al palleggio, cerca la profondità, lotta e s'aggrappa a ogni cosa: al furore del ct, che tracima fino ai margini del campo per urlare attenzione ai calciatori, esultare, dettare ordini; alla voglia matta di Zaza che sbatte sulla traversa nella ripresa; al primo gol che andrebbe annullato perché Immobile è in fuorigioco; a Darmian e a De Sciglio che provano ad allargare la manovra; alla diligenza di Giaccherini; al sacrificio di De Rossi; pure alle gambe dell'avversario se necessario, come fa Florenzi mezz'ala per ragion di Stato che prende il primo ‘giallo' dopo un'entrata scomposta a metà campo. Non c'è guizzo tecnico, la fantasia non va al potere. E' un lusso che non possiamo permetterci ancora, almeno fino a quando Pirlo non riprenderà il suo posto in cabina di regia e Verratti non diverrà un ‘gigante' sulle orme dello juventino. Compatta, la Nazionale non brilla. Non deve farlo per forza, ci sarà tempo perché decolli anche il gioco assieme alla condizione fisica. Non è (solo) da questi particolari che si giudica una vittoria, parola dolce di cui avevamo dimenticato il sapore dopo la profonda amarezza del Mondiale.

Non abbiamo Totti, Del Piero, Inzaghi, Vieri e nemmeno quel mastino napoletano di Cannavaro, Pallone d'Oro dopo il trionfo di Berlino. Però non prendiamo gol, Buffon nemmeno si sporca le mani. Vinciamo anche senza fenomeni, sorretti dalla forza del collettivo e di una generazione operaia di giovani calciatori che viene dalla provincia laboriosa. Lavora sodo, non ha grilli per la testa, suda pagnotta e risultato. Vinciamo alla nostra maniera, all'italiana: con sacrificio, spirito d'abnegazione, coesione, controllando il ritorno degli scandinavi e poi piazzando il colpo del ko che frusta le velleità di rimonta di un avversario mai pericoloso, che rischia il tracollo nel finale. L'ingresso di Pasqual (suo il cross che propizia il raddoppio) e la capocciata di Bonucci (fedelissimo di Conte) danno pace alla Norvegia e fanno ribollire il sangue nelle vene al ct. Strabuzza gli occhi, impreca e vince senza bacchetta magica ma con la disciplina ferrea del gruppo. Questo conta, null'altro. Chi se ne frega se è poco simpatico. La Nazionale ha finalmente un'identità, è la sua: l'impronta dell'ex allenatore della Juventus, uno al quale viene un groppo alla gola come Fonzie quando deve parlare di sconfitta. Che esce dal campo a testa alta e col pugno che fende l'aria in segno di trionfo, come non eravamo più abituati. Senza vergogna, con pieno merito.

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