Juventus, Allegri ha un tesoro in panchina: il potere di una rosa da scudetto
La rabbia, l'orgoglio, la forza del gruppo, il potere di una rosa che non ha eguali in Italia. La Juve soffre un Milan compatto, ben coperto, incassa il primo gol del 2018, dall'uomo più atteso e più odiato, Bonucci, fischiato ad ogni passo. Ma Allegri con le alternative che ha cambia la partita. Via la difesa a tre, dentro Cuadrado che firma il sorpasso. Khedira, che per un'ora non si vede, è debordante nel finale.
La tremenda vendetta di Bonucci
La colonna sonora dello Juventus Stadium è una salva di fischi che accoglie Bonucci e ne scandisce ogni intervento, ogni lancio, ogni tocco di palla. Dopo il minuto di silenzio per Mondonico, la partita che potrebbe aver deciso lo scudetto mantiene un tappeto emotivo e sonoro che aumenta le difficoltà dei rossoneri. La stima per chi ha costruito un ciclo record sono svaniti sotto il fuoco della rabbia e dell'orgoglio. Approdato al Milan, Bonucci ha parlato tanto, troppo e a sproposito, magnificando le bacheche internazionali della sua nuova squadra con l’atteggiamento di chi ha fretta di prendere le distanze dal passato" ha scritto Luca Beatrice su Tuttosport. "Ha preteso e ottenuto il ruolo primario che la Juventus non gli avrebbe mai concesso".
Ogni fischio alimenta l'orgoglio di chi credeva nella Juve e nel progetto, di chi un tempo prometteva che si sarebbe incatenato ai cancelli dello Stadium pur di non andarsene dalla Juve. Quei tifosi che hanno gioito quando Higuain "core ‘ngrato", attaccato e beccato ad ogni tocco, ha messo ko il Napoli da ex, non hanno imparato la lezione. Di fronte agli ex avvelenati, il silenzio sarebbe la miglior risposta. Il destino scrive così una sceneggiatura da Oscar. E' proprio lui, da calcio d'angolo, a inserirsi fra Chiellini, un po' in ritardo nella chiusura anche per il mezzo blocco di Andre Silva, e Barzagli e rifilare alla Juve, dopo il vantaggio di Dybala, il primo gol del 2018.
Ruba sguardi e respiri, odi e amori, attenzioni e pensieri Bonucci, che davanti a chi si è sentito tradito dal suo addio polemico dopo Madrid ripropone lo stesso gesto, la stessa esultanza nata per scommessa con gli amici. Come a dire, sciacquatevi la bocca. E' un'esultanza ostentata, esibita, di gioia rabbiosa. Per certi versi ricorda, benché nutrita da sentimenti differenti, quella di Agostino Di Bartolomei sempre con la maglia del Milan alla prima da ex contro la Roma da cui si sentiva ingiustamente scaricato. Quel gesto, dopo aver rubato palla a Cerezo, sotto la curva rossonera a San Siro, era un modo per riaffermare un ruolo, una presenza, un valore. Peraltro, Di Bartolomei aveva esordito in A a San Siro contro l'Inter, squadra per cui fa il tifo tutta la famiglia di Bonucci, pecora nera che in nerazzurro ha debuttato in Serie A.
L'efficienza e la Joya
Allegri, che vuole controllare il gioco, ritorna alla difesa a tre, sacrifica giocatori come Douglas Costa, buoni per le ripartenze rapide, e spezza le trame del Milan che Gattuso schiera con Andre Silva riferimento centrale del 4-3-3.
La Juve è una squadra che sa cosa vuole, che non pressa sempre e comunque, che gestisce ritmo e risorse. Sa come e dove andare a colpire, la squadra di Allegri. Le due ali del Milan devono ripiegare sulla linea dei centrocampisti in fase di non possesso per non lasciare superiorità numerica ai bianconeri. Ma il posizionamento non riesce a mascherare le difficoltà nella copertura delle linee di passaggio. Il primo squillo di Higuain, bella risposta di Donnarumma, è solo un preludio del vantaggio. Dybala galleggia fra le linee, vede lo spazio fra Biglia e Bonaventura, traccia il corridoio per il filtrante di Pjanic e traccia un sinistro fulminante che è un po' un messaggio a Sampaoli, che l'ha quasi bocciato prima dell'amichevole contro l'Italia. "Penso che sia un giocatore top ma o noi non lo abbiamo saputo valorizzare al meglio trovandogli il ruolo giusto o lui non si è saputo adattare alla nostra idea di calcio, che è molto diversa da quella della Juve" diceva il ct.
Di sicuro la Joya, che segna più di tutti in Serie A, 7 gol sui 13 complessivi dalla distanza della Juve (record di squadra in campionato), non dialoga troppo con Higuain. Faticano a giocare vicini, a scambiare nello stretto, e i bianconeri non mantengono la presa che il 24mo gol segnato nella prima mezz'ora avrebbe potuto far presagire. Il Milan, che incassa la seconda rete in stagione nel primo quarto d'ora, riparte dallo spirito, dall'orgogio, dai 48 passaggi di Calabria e dai 33 di Suso, che confermano come i rossoneri preferiscano insistere sulla fascia destra.
Allegri torna alla difesa a quattro
La Juve riparte da una difesa a quattro che era nella sostanza, nelle posizioni assunte quando Asamoah ripiegava nel primo tempo, e sarà anche certificata nella forma dal secondo tempo. Fuori Lichtsteiner, che ha sofferto il ruolo di quinto a centrocampo e ha speso troppo nelle due fasi, dentro Douglas Costa con in ghanese terzino sinistro e Barzagli largo a destra.
Il 4-2-3-1, che si evolve in 4-4-2 sugli inserimenti di Dybala, non sorprende il Milan. Le mezzeali della Juve, Matuidi e Khedira, un po' come Bonaventura, corrono tanto ma troppo spesso a vuoto. Il Milan ora si compatta, occupa le linee di passaggio e si distende con tanti uomini sopra la linea della palla. L'azione che porta alla traversa di Calhanoglu, che ignora la generosa sovrapposizione di Rodriguez, diventa l'epifania di una partita che cambia padrone, che la Juve non controlla.
Allegri cambia ancora, toglie Matuidi per Cuadrado e fa traslocare Douglas Costa a sinistra. Le squadre si allungano sui ribaltamenti veloci, il ritmo sale, Gattuso dimostra di volersela comunque giocare. Via Andre Silva, che non ha tirato ma si è mosso bene, ha aperto spazi, ha spesso creato le condizioni per sviluppare l'azione palla a terra in verticale, dentro Kalinic cui il tecnico aveva promosso una seconda chance.
Gattuso-Allegri, sfida nella sfida
Gattuso di averla studiata e capita bene, la Juve di quel Max Allegri che era il suo capitano quando sedicenne arrivò a Perugia. Quello stesso Allegri che negli ultimi due anni al Milan accompagna stagioni fatte di alti e bassi, di molti sfoghi, di qualche "vaffa". Allegri gli dice che lo manderà in tribuna in quello che sarà il suo ultimo derby da calciatore ma poi gli propone di entrare nel suo staff tecnico nel 2012. Gli spigoli son diventati curve nella memoria, è rimasta l'amicizia e la stima. E' una sfida nella sfida, la loro, che viaggia sull'onda delle passioni e della voglia. Dopo il gol del 2-1, Allegri va a marcare i suoi giocatori che esultano, praticamente li separa per urlare di continuare così, che non è finita, che devono restare compatti.
Khedira, Cuadrado e il cinismo delle grandi
Non si può dire che la Juve faccia una grande partita, nemmeno nella fase difensiva. Ma conosce le sue priorità e la strada che porta al risultato. In una partita a lungo complessa, i bianconeri mantengono la tranquillità di chi si conosce bene. Il gruppo funziona quando ci si può fidare di tutti, quando ci si muove come un sol uomo. Quando, nell'azione che diventerà la più importante del match, l'azione che potrebbe decidere lo scudetto, la Juve si affida a un Khedira che fino a quel momento non si è praticamente visto. Ma è lì, dove deve essere, a disegnare un cross elegante e letale come una stilettata nel cuore dell'area, per il tuffo di Cuadrado che vale il sorpasso e una conferma: quando segna lui, la Juve vince sempre. E' lì, a piazzare il colpo da campione, che scompare e riappare quando conta di più, per mettere l'ultimo sigillo che vale un pezzo di scudetto.