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Italia’s lost talent. Fuga di cervelli (e allenatori) anche dal calcio

Antologia delle principali esperienze degli allenatori nostrani all’estero. Perché gli italiani lo fanno meglio, ma nessuno è profeta in patria. Dai successi di Scala e Spalletti, ai trionfi di Trapattoni, Ancelotti, Capello e Mancini. In più le storie di chi ha cercato fortuna in Oriente e in Africa.
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L'Italia non offre da tempo il calcio più bello del mondo, ma da sempre il più difficile. Il campionato che forma gli allenatori più apprezzati. E noi italiani, popolo di santi e navigatori, abbiamo spinto la fuga dei cervelli ai quattro angoli della geografia pallonara. Le ultime storie di insuccesso, Zambrotta licenziato da Galante al Chiasso (dove già aveva allenato il torinese Giovanni Dellacasa), Stefano Maccoppi che ha salutato il Sion dopo aver lasciato il Bellinzona, e Gattuso che le ha provate tutte prima di arrendersi al fallimento economico dell’OFI Creta, non adombrano la reputazione dei tecnici nostrani. Italians do it better, insomma, gli italiani lo fanno meglio. E meglio ancora se lontani da casa. Perché nemo propheta in patria est. O quasi.

La storia passa al Bernabeu – Dalle Alpi alle Piramidi sono andati i nostri tecnici, ma la storia, quella con la S maiuscola, l’hanno scritta in un posto solo, a Madrid, sulla panchina della più nobile delle squadre d’Europa. Al Real, Fabio Capello ha regalato il trentesimo titolo nella Liga, prima di farsi amare e odiare in Inghilterra, e di farsi amare e non pagare in Russia. E Carlo Ancelotti ha portato la Decima tra Coppa dei Campioni e Champions League. Un momento che nemmeno l’ingratitudine dei tifosi, e i ripetuti inviti ad andarsene lanciati sui social network dall’invero pesante 0-4 nel derby con l’Atletico, possono cancellare. A Madrid, ha messo anche un mattone non secondario della sua carriera di allenatore anche Roberto Di Matteo, ma da avversario.

Il 4-3 del Bernabeu col suo Schalke non è bastato a qualificare i tedeschi in Champions, ma gli è comunque servito per prendersi una seconda grande soddisfazione dopo essere riuscito dove lo Special One aveva fallito prima di lui, alzare la Champions da allenatore del Chelsea. Difficile però vederlo anche l’anno prossimo nella massima competizione per club, almeno sulla panchina dello 04, quinto in classifica dopo lo 0-0 interno con l’Augsburg e frenato dall’astinenza di Huntelaar, che non segna dal 29 novembre scorso (da 918 minuti). Madrid, e il Bernabeu, è la vera costante nella storia degli allenatori italiani all’estero, iniziati con Enrico Ferrari, ingaggiato nella stagione 1984-85 dal Real Saragozza: momento più alto della stagione, il successo per 2-1 in casa dei blancos.

Le grandi vittorie – Di vittorie, la nostra scuola di allenatori, ne ha ottenute praticamente ovunque. Il proscenio, negli ultimi anni, è tutto per Ancelotti e Mancini che hanno arricchito le bacheche di PSG e Manchester City, generosamente alimentate dagli sceicchi che hanno voluto la Supercoppa italiana a Doha, e per Spalletti che ha scelto San Pietroburgo per alimentare il suo palmares con due titoli, una Coppa di Russia e una Supercoppa. Ma è già dalla seconda metà degli anni Novanta che i nostri allenatori conquistano il mondo. Trapattoni ha vinto campionati in Germania, col Bayern Monaco, ma di quel periodo resta soprattutto la conferenza stampa con annessa critica a Strunz per cui la Gialappa’s non lo ringrazierà mai abbastanza, in Austria (Salisburgo) e in Portogallo (Benfica). Ma gli italiani non conoscono confini, non si fermano alle realtà più nobili del calcio.

L'Italia di successo nell'Est Europa – Le nazioni dell’Europa dell’est hanno sempre avuto un certo debole per gli allenatori italiani, come dimostra il recente ritorno di fiamma dell’Honved, in Ungheria, per Marco Rossi. Il pioniere Nevio Scala ha vinto la Coppa Intercontinentale del ’97 al Borussia Dortmund, mentre Alberto Bigon completava la doppietta scudetto e Coppa di Svizzera al Sion, e un titolo ucraino con lo Shaktar Donetsk. In Romania si sono presi grandi soddisfazioni Maurizio Trombetta, che con il Cluj nel 2008 batte la Roma all’Olimpico e ferma il Chelsea in Champions League, e Mandorlini che gli succede e vince campionato, Coppa e Supercoppa di Romania. Tra il 2004 e il 2006, Walter Zenga ha conquistato un campionato rumeno con la Steaua di Bucarest e il double campionato-coppa nazionale alla Stella Rossa di Belgrado, prima di partire per l’Oriente. Qui si affermano anche Cristiano Bergodi (che guida National Bucarest, Cluj, Rapid Bucarest, Politehnica Iasi e Steaua Bucarest prima di rientrare sulla panchina del Modena) e il palermitano Nicolò Nobile (Universitatea Craiova, FC Brasov, Astra Ploiesti).

Meno fortunate le esperienze in Bulgaria. Enrico Piccioni di San Benedetto del Tronto era sbarcato al Botev Plovdiv con una decina di ragazzi dalla serie C e D, ma dopo tre mesi si erano trovati negli spogliatoi senza luce e con l’acqua fredda. Di quella stagione, finita col fallimento, i tifosi ricordano ancora il gol decisivo di Emanuele Morini nel derby con la Lokomotiv. Al Botev Vraca, sempre nella prima serie del calcio bulgaro, era arrivato anche l’agente Fifa Peppino Tirri, che in qualità di presidente aveva coinvolto Giuliano Sonzogni, allenatore con tre lauree. “Mi ha chiamato il sindaco” racconta Tirri al Corriere della Sera nel 2013. “Purtroppo non c’era l’accordo per i diritti televisivi e quindi mancavano completamente i fondi, perché le squadre che hanno una buona disponibilità economica sono appena tre o quattro. L’esperienza è durata tre mesi e anche la difficoltà con la lingua non ha aiutato”. Decisamente meglio è andata a Gianni de Biasi, dal 2011 ct, e da una settimana cittadino onorario, dell’Albania, con cui l’anno scorso si è tolto lo sfizio di vincere in Portogallo, che rimane una bella impresa anche se ripetuta recentemente da Capo Verde.

La nostra Africa – A proposito d’Africa, nell’ultimo quindicennio tanti allenatori italiani hanno insegnato calcio a quelle latitudini. Da Enrico Fabbro, che tra 2007 e 2008 ha vinto scudetto e Supercoppa in Algeria con il Mouloudia, al forlivese Roberto Landi, icona dell’allenatore italiano giramondo, che ha guidato Georgia e Lituania under 21, il National Bucarest in Romania, la nazionale olimpica del Qatar, il Sopron in Ungheria, il Royale Union Saint-Gilloise in Belgio, il Livingston in Scozia e la nazionale della Liberia fino al giugno del 2012. Un amore iniziato nel 1998, quando il sergente di ferro Eugenio Bersellini viene chiamato alla guida della Libia, per poi passare nel 2001 all’Al-Ahly di Tripoli e nel 2002 sulla panchina dell’Al-Ittihad dove vince il campionato, prima di cedere il posto a Beppe Dossena, già ct del Ghana (anche under 21).

In Africa si succedono Francesco Moriero che nel 2006 assume la guida dell’Africa Sport National, squadra della Costa d’Avorio, dove verrà esonerato e sostituito dal suo vice Nobile, che conquista il titolo. Sulla stessa panchina arriverà poi Paolo Berrettini, dopo aver coordinato le giovanili della squadra senegalese del De Camberene e allenato in un secondo momento la nazionale del Senegal. Gli anni Duemila vedono anche Cabrini ct della Siria, Romano Mattè allenatore del Mali e Dario Bonetti cui non basta centrare la qualificazione alla Coppa d’Africa 2012 per essere confermato sulla panchina dello Zambia.

Oriente d'Italia – Oggi la rinascita passa per l’Oriente. A più di vent’anni dalla scommessa di Mattè, che dal 1992 ha guidato tutte le selezioni giovanili e la nazionale maggiore dell’Indonesia, Lippi ha scommesso e vinto a Guangzhou, oltre a formare Fabio Cannavaro come suo erede, mentre Materazzi e Colomba hanno cercato successo nella parentesi indiana. In mezzo, Zaccheroni ha alzato una Coppa d’Asia in Giappone. E chissà che con Giovinco strapagato in MLS a Toronto, dopo Alberto Sordi americano a Roma, non sia il momento di vedere un grande tecnico italiano alla conquista dell’America.

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