Iraq, la triste storia del bimbo di 5 anni rapito dall’Isis perché si chiama Messi
La guerra, si sa, non risparmia nessuno. Neppure i bambini di cinque anni, la cui unica "colpa" è quella di chiamarsi Messi. Una triste storia quella che arriva dall'Iraq, e che racconta di come un bambino sia stato rapito dall'Isis all'età di tre anni e rimasto in loro ostaggio per altri due solamente perché il padre, grande tifoso di calcio, aveva deciso di dargli il nome del suo idolo, il campione argentino del Barcellona.
La famiglia ha raccontato al canale iracheno Kurdistan 24 la sua vicenda. Messi è un bimbo yazida, ovvero appartenente ad una religione monoteista particolarmente diffusa nel nord dell'Iraq, che nel 2014 venne rapito con la sua famiglia quando l'Isis occupò la città irachena di Singar, nel nord del paese. I jihadisti lo "bollarono" subito come infedele e, durante il sequestro, lo rinominarono Hassan, facendogli "il lavaggio del cervello e intimidendolo per fargli ripudiare il nome", ha raccontato una zia del bambino. La liberazione avvenne solo nell'ottobre 2016, quando i peshmerga (i guerriglieri curdi) riuscirono a liberarli: oggi la famiglia di Messi vive in un campo profughi di Aqrah, nell'area nord del paese a maggioranza curda.
Il piccolo Messi, racconta la famiglia, non ha però dimenticato il biennio di torture psicologiche e non subite dai jihadisti. E così ancora oggi, raccontano, fatica a pronunciare il suo nome. Del resto l'occupazione jihadista ha fatto danni incommensurabili verso tutte le etnie: cristiani, yazidi, assiri, musulmani, nulla è stato risparmiato dalla furia dei militanti dell'Isis. Si parla secondo stime Onu di fosse comuni con oltre cinquemila morti ed almeno settemila ancora prigionieri dei miliziani jihadisti. Comprensibile, dunque, il timore del bambino di pronunciare anche soltanto il suo nome.