Il sogno americano di Kei Kamara
Kei Kamara sta vivendo il sogno americano. Capocannoniere della Major League l'anno scorso, 22 gol, come Giovinco, al Columbus Crew, ha portato la Sierra Leone sulla mappa del calcio mondiale. Ma gli incubi non hanno ancora smesso di abbandonarlo e di violentare le sue notti.
La guerra – Aveva sette anni, Kei, quando è cominciata la guerra che ha insanguinato la Sierra Leone e devastato soprattutto le giovani generazioni con 50 mila morti in 11 anni. Viveva a Kenama, la terza città più grande nella nazione, uno dei centri principali per l'estrazione dei diamanti. E proprio la corruzione nel regime di Joseph Mooh e il commercio dei “blood diamond”, i diamanti di sangue, hanno scatenato l'attacco del Revolutionary United Front che ha dato via al conflitto. Kenama è da subito infiltrata dai ribelli. “Avevamo sentito che sarebbero arrivati per attaccare, che stavano cercando di prendere le grandi città” racconta oggi Kei a Rolling Stone. “Quando sei un bambino, non prendi certe cose troppo sul serio finché non ti dicono di scappare da scuola e di correre a casa”. Quel giorno, Kei “era seduto in classe quando ha sentito la prima esplosione” rivelava alla BBC Dave LaMattina, il regista che per la tv inglese ha curato un documentario sulla vita di Kamara durante il suo periodo in Inghilterra, al Norwich e al Middlesbrough. “Ha saltato sui cadaveri di altri bambini, ma ha perso i suoi fratelli ed è tornato indietro per trovarli”. Le bombe, le sirene, la violenza diventano uno scenario di vita comune per il giovane Kei. “Un giorno, potevo avere 10 o 11 anni” racconta, “e avevano preso qualcuno dei ribelli. Li avevano fatti inginocchiare, lo avevano legati e noi bambini volevamo andare là fuori e vedere che stava succedendo. Così abbiamo assistito a un'esecuzione, proprio lì davanti a noi. Ho ancora gli incubi la notte, mi vedo sempre mentre corro, mentre scappo e c'è sempre qualcuno che mi insegue”.
Rifugiato in Usa – Kamara arriva negli Stati Uniti a 16 anni. È un rifugiato, è indietro negli studi ma lo sport l'ha salvato: è un ottimo attaccante, e gioca a pallavolo niente male. Si stabilisce a Los Angeles e si fa subito notare come goleador alla California State University. I Columbus Crew lo scelgono al draft del 2006, ma a Columbus non si sente a casa: segna solo 5 gol in 36 partite. Dopo un paio di scambi, finisce a Kansas City e cambia tutto. I tifosi lo adorano, lui finisce anche a far battaglie di palle di neve, porta tutta la squadra a mangiare da Chipotle e la sua carriera d'improvviso prende il volo. “Da quando sono venuto in America, mi piace trovare un legame con i tifosi, e mi piace come loro ti sono vicini. Mi piace far ridere le persone, e questo mi fa anche giocare meglio, mi dà un sacco di energia”.
L'Inghilterra – Nel gennaio 2013 si trasferisce in Inghilterra, al Norwich. Anche qui i tifosi impazziscono per lui e per quella sua esultanza con le mani che formano un cuore tanto da dedicargli una canzone da pub che si diffonde presto in città: "Heart Shaped Hands". L'anno successivo scende in Championships, al Middlesbrough. È un anno chiave, perché si sposa con Kristin che gli darà anche un figlio. Fa in modo da fissare il matrimonio durante i Mondiali, perché è l'unico periodo in cui è sicuro di non doversi allenare e di non dover giocare. “Non abbiamo nemmeno fatto la luna di miele” racconta Kristin, “abbiamo praticamente fatto i bagagli e siamo andati in Inghilterra per la preparazione”. Anche se, a fine agosto, Kamara lascia il Boro e torna negli Stati Uniti. Con le stesse valigie e con un altro pezzo di vita passato fra le dita sue e della sua Kristin.
Il ritorno negli Usa – Torna ai Columbus Crew e la magia si ricrea. L'8 novembre segna una doppietta ai Montreal Impact nella semifinale playoff: è suo il gol decisivo che porta i Crew in finale di Eastern Conference. Due settimane dopo si ripete, nell'andata della finale sui New York Red Bulls. I Crew vanno a giocarsi il titolo con i Portland Timbers in casa, al Mapfre Stadium. È tutto pronto per un finale da sogno, ma due distrazioni difensive al 1′ e al 7′ portano i Timbers avanti 2-0. “E' stata una sveglia per noi” ha raccontato Kamara. “Nel calcio nessuno vuole fare due gol così presto, perché spesso capita che ti rilassi e gli avversari possono rifarsi sotto”. È quello che succede: Kamara al 18′ accorcia le distanze, nonostante un infortunio alla gamba destra. Ma il punteggio non cambia più. Kamara, che segretamente pensava di lasciare il calcio se i Crew avessero vinto il titolo, resta incredulo sul prato mentre i Timbers alzano il Philip F. Anschutz Trophy nel suo stadio. “E' stato duro vederlo lì, da solo, sul campo” racconta Kristin che quel giorno era in tribuna. “Ma quando abbiamo lasciato lo stadio, certo era triste ma aveva già superato la sconfitta, guardava già avanti”. In realtà, un trofeo gli manca. “Non mentirò” ha detto, “vorrei vincere un titolo per non sentire di essere in un certo senso maledetto”.
La famiglia – Figlio di un padre poligamo presto uscito dal quadro di famiglia, cresciuto in una comunità dai legami forti con dozzine di fratelli, fratellastri e cugini, Kei ha passato tutta la vita in mezzo ai bambini, e in fondo si sente un po' come un bambino cresciuto. Anche Kristin conferma. La prima volta che l'ha visto, infatti, Kei stava giocando con un gruppo di bambini in un parco di Kansas City. Aiutarli è sempre stata la sua passione, la sua missione, da quando, da piccolo, gli bastava uscire in strada a giocare a pallone per sentirsi felice e dimenticare quel che oggi succede intorno, almeno fino a domani.
Charity – Ma non ha mai dimenticato la Sierra Leone. “Perché casa rimane casa” dice. Per questo, insieme a un'altra stella della MLS entrato negli Usa con lo status di rifugiato dalla Sierra Leone, il centrocampista Michael Lahoud, dalla prossima stagione ai New York Cosmos, partecipa alle attività dell'organizzazione benefica School For Salone, fondata da Cindy Nofziger, che ha fatto parte dei Corpi di Pace in quella nazione negli anni '80. “Durante la guerra, i ribelli hanno distrutto tutto” ha spiegato Nofziger. “Per la paura, quasi tutte le scuole sono state chiuse. Così per 10-12 anni, chi aveva studiato ha lasciato il Paese, e chi è rimasto non ha potuto studiare, e nei villaggi rurali nessuno studiava perché nessuno poteva insegnare, perché i più istruiti sanno al massimo leggere e far di conto”. Nel 2010, Nofziger entra nella vita di Lahoud, gli regala una copia di A Long Way Gone, il libro di memorie di shmael Beah, un ex bambino soldato della Sierra Leone. Così, insieme a Kamara, raccolgono fondi per migliorare le scuole della nazione, e hanno da poco il centro Kei Kamara-Michael Lahoud Education for All School a Allentown, a ovest di Freetown. Ma il sogno americano di Kamara non è ancora finito. “Voglio diventare attore” dice. “Voglio ottenere quello che ha avuto Arnold Schwartznegger. In fondo, questa è l'America, no? Qui tutto è possibile”.