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Il Napoli non ha un ‘piano b’ né ricambi all’altezza. Oggi paga la scelta di non investire

La Juve vince al San Paolo contro un Napoli che schiera tre attaccanti stanchi e un allenatore che senza cambi adeguati (ha fuori Milik e Ghoulam) non ha alcuna possibilità di incidere sul match. Chissà se a gennaio la strategia cambierà.
A cura di Jvan Sica
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Arrigo Sacchi, il maestro più volte riconosciuto di Maurizio Sarri portò, fra le tante altre, un’idea che non aveva preso da nessun’altra esperienza precedente, ma semplicemente da un’analisi realistica di quello che il calcio stava diventando. Sacchi fu il primo a volere davvero una rosa molto larga, andando incontro a una serie di problemi che il calcio italiano non aveva mai affrontato. Avere una rosa ampia vuole dire avere difficoltà nel creare un undici fisso che gioca a memoria, ben sapendo quanto il calcio sacchiano è schematico e abbia bisogno di una grande fase di didattica, vuol dire anche far perdere il ritmo ai calciatori più in forma, perché spesso messi fuori per ragioni di recupero e vuol dire anche demotivare chi gioca molto poco.

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Panchina lunga (corta a Napoli). Detti i principali contro, i pro che hanno fatto immaginare il concetto di rosa ampia ad Arrigo Sacchi venivano dal tipo di calcio fisico che si andava sempre di più giocando e soprattutto dal sistema calcistico che negli anni al Milan stava andando oltre l’evento del fine settimana per impadronirsi dell’intera settimana, in un flusso costante e senza interruzioni. Per risolvere un problema del genere, Sacchi pensò che avere tanti calciatori in rosa fosse l’unica scelta possibile, cercando di limitare al massimo i tre problemi conseguenti che abbiamo accennato all’inizio.

L'esempio del Milan di Capello. Per capire Sacchi quanto ha premuto sull’acceleratore della rosa ampia, basti pensare che con Capello, suo discepolo in tutto, il Milan 1993-'94 aveva in rosa i seguenti attaccanti: Brian Laudrup, Gianluigi Lentini, Daniele Massaro, Jean-Pierre Papin, Florin Raducioiu, Marco Simone e Marco van Basten, oltre al giovane Daniele Guerzoni, senza contare che Dejan Savicevic e Zvonimir Boban erano fra i centrocampisti ma erano a tutti gli effetti dei numeri 10 votati all’attacco.

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Solo 3 attaccanti in rosa, troppo poco. Sono passati 23 anni e una squadra che punta a vincere lo scudetto come il Napoli gioca con tre attaccanti in rosa, più un calciatore rotto per il secondo anno di seguito e un giovanissimo e ancora tutto da formare, Ounas. Come è possibile che un sacchiano della prima ora come Sarri abbia scelto una strada completamente all’opposto del suo maestro Sacchi? Da voci insistenti nell’ambiente napoletano, Sarri in estate avrebbe voluto un altro esterno e un altro attaccante centrale moderno per la sua squadra e i nomi non erano Inglese o qualche altro accostato e nemmeno comprato per il mercato di gennaio. Sarri voleva due giocatori già “finiti” o che stavano raggiungendo l’apice della loro carriera.

La scelta dei mancati investimenti. Per quel patto ormai poco segreto, perché tutti ne parlano apertamente, fra calciatori e società, si è deciso di non investire nel mercato ma di accontentare tutti da un punto di vista economico, non volendo nemmeno vendere i pezzi pregiati (soprattutto Koulibaly, quello che ha più mercato). Il patto era: restiamo qui, senza acquisti che avrebbero dovuto portare a cessioni, accontentiamoci poco ma tutti dei soldi che avremo e cerchiamo di vincere ora.

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Nessun ricambio in rosa. Sarri è stato sempre convinto fino ad un certo punto di questa strategia, sapendo che per reggere tre partite a settimana bisognava ampliare la rosa soprattutto degli attaccanti, quelli che ovviamente costano di più. La vulgata ha diffuso che il Napoli andava bene così, con tre/quattro attaccanti per tutte le partite della stagione perché per giocare il calcio di Sarri bisognava conoscerlo alla perfezione. Il primo a non essere d’accordo su questa cosa è proprio Sarri, il quale vuole e chiede ogni anno attaccanti di valore, che è sicuro di poter utilizzare al massimo fin dall’inizio.

Contro la Juve quella strategia ha presentato il conto. La Juve vince al San Paolo contro un Napoli che schiera tre attaccanti stanchi, fuori forma, senza idee, senza cambi, senza nessuna possibilità di incidere sul match. Chissà se a gennaio la strategia cambierà.

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