Il mito della Honved rivive con il tecnico italiano, Marco Rossi
Dopo l'impresa di Claudio Ranieri con il Leicester dello scorso anno, altri allenatori italiani stanno facendo benissimo all'estero. I tecnici del nostro paese si dimostrano ancora una volta, se ancora avessimo bisogno di una riprova, un valore aggiunto nel panorama calcistico mondiale e, mai come quest'anno, ne troviamo addirittura quattro al comando nei rispettivi campionati. Oltre ai nomi più noti e chiacchierati, Antonio Conte in Premier League, Carlo Ancelotti in Bundesliga e Massimo Carrera in Prem'er-Liga; c'è un altro coach del Belpaese che sta raccogliendo consensi e vittorie grazie al suo lavoro: parliamo di Marco Rossi. L'ex calciatore di Torino, Catanzaro, Brescia e Samp allena l’Honved, storica squadra di Budapest, e dopo 20 giornate è capolista della OTP Bank Liga con 34 punti, al pari del Videoton. Un torneo apertissimo che, con molta probabilità, si deciderà negli scontri diretti e vedrà una lotta serrata fino alla fine.
Marco Rossi fa guidare il suo attacco a Davide Lanzafame, vecchia conoscenza della Serie A, che ha collezionato 12 presenze condite da 8 reti e 3 assist. Il valore della rosa a disposizione del tecnico piemontese è più modesto sulla carta rispetto a quello delle rivali, considerando che il cartellino dell'ex Juventus è quello più alto (600mila euro); ma sta viaggiando ugualmente su ritmi altissimi.
L'allenatore del Honved sta davvero sorprendendo tutti e la sua impresa è, per certi versi, assolutamente paragonabile a quella che ha compiuto Claudio Ranieri lo scorso anno in Inghilterra.
Rossi: "Non mi manca lavorare in Italia"
Abbiamo avuto l'onore e il piacere il scambiare qualche battuta con Marco Rossi sul suo lavoro in Ungheria, sul passato glorioso del club che allena e sulle prospettive future.
Qual è stato il suo impatto con il calcio ungherese? Se e quanto hanno contato le sue esperienze all'estero in Messico e in Germania da giocatore?
Quando sono arrivato, come ovvio, ho cercato di capire il contesto Honvéd e conoscere alla svelta il calcio ungherese. Avendo giocato in Messico e Germania e avendo lavorato come secondo di V. Guerini in Grecia, sapevo di dovermi adeguare alla loro mentalità e non viceversa. Non è stata una passeggiata ma sono soddisfatto dei risultati conseguiti fino ad ora.
Le principali differenze con il sistema calcio italiano?
Credo che il calcio sia tale ovunque. Il livello dei vari campionati dipende, per esempio, dalle possibilità economiche degli stessi nel saper attrarre i migliori calciatori e allenatori. Qui ci sono club organizzatissimi sotto tutti gli aspetti, ve l'assicuro.
È alla sua seconda esperienza sulla panchina dell'Honved. Dopo le dimissioni del 2014 e il ritorno del 2015, l'approccio al campionato in corso è stato davvero buono e il primo posto lo dimostra. Cosa è cambiato rispetto alle passate stagioni?
La ragione per cui diedi le dimissioni era che non ritenevo possibile migliorare i risultati ottenuti nei due campionati 2012/13 e 2013/14. L'anno seguente ne è stata la prova: in 17 gare l'Honvéd aveva solo 13 punti, cambiato 4 allenatori e a febbraio, a mercato chiuso, presa coscienza del rischio di retrocedere. Mi richiamarono. Lo dico con estrema sincerità: accettai solo per una ragione affettiva. Ci salvammo per un soffio ed oggi, dopo un buon campionato 2015/16, ci ritroviamo dove nessuno pensava che potessimo arrivare. In due anni e quattro mercati abbiamo costruito, evidentemente, una buona squadra.
Oltre a lei ci sono altri tre italiani in squadra: Cosimo Inguscio, il suo vice; Giovanni Costantini, il video analyst, e Davide Lanzafame, bomber dell'Honved con 8 reti. Quanto conta avere collaboratori e calciatori italiani per provare a contendere il titolo a squadre come Videoton, Vasas e Ferencvaros?
Il fatto che siano italiani non è determinante. In passato qui ci sono stati altri italiani. Sia allenatori che giocatori. Ma se non hanno lasciato il segno, una ragione ci sarà! I miei collaboratori e Davide, nei rispettivi ruoli, sono professionisti di qualità e spessore umano.
Cosa si prova ad allenare la squadra che fu di Puskas, Boszik, Czibor e Kocsis? E quanto è forte ancora il ricordo di questi fenomeni nell'immaginario dell'Honved?
Il ricordo e la memoria di tutti questi grandi è vivo nei nostri tifosi e anche negli spogliatoi, a dirla tutta. Negli edifici del club ci sono varie fotografie e sculture che ci ricordano chi ha vestito i colori che ora stiamo difendendo.
In questa stagione il suo lavoro, come quello di Conte, Ancelotti e Carrera, sta portando importanti frutti. Perché secondo lei, nella maggior parte dei casi, i tecnici italiani riescono a fare sempre bene quando si rapportano con i campionati esteri?
Al di là dei paragoni, che ritengo abbastanza irriverenti, credo che sia un discorso culturale e di vissuto. In Italia è risaputo che la tattica ha una grande importanza, la si studia molto. Poi c'è Coverciano, che è unico al mondo sotto tutti i punti di vista.
Quali sono i suoi progetti per il futuro? Le piacerebbe tornare ad allenare in Italia o vorrebbe fare esperienza in qualche altro campionato europeo?
Onestamente non mi manca lavorare in Italia, soprattutto per alcune esperienze negative vissute. Forse perché ho lavorato sempre in situazioni disperate e in categorie non eccelse dove però mi sono fatto le ossa. Ho lavorato in città e situazioni ove si pretendeva di vincere senza mettere a disposizione nulla: né campi d'allenamento decenti, né risorse per rinforzare la squadra, né stipendi. Detto ciò, se mi venisse offerta la panchina di un club con un progetto serio sicuramente ci penserei ma alla fine credo che il mio futuro sia ancora da emigrante.
Fa male pensare che un giovane, o un meno giovane, per vivere i propri sogni debba essere costretto ad andare lontano dal proprio paese. È una situazione che non riguarda solo il calcio ed è sconfortante. Auguro a tutti di riuscire a vivere i propri sogni, anche se questo comporta grandi sacrifici. Vivere lontani dai propri cari è una condanna difficile da mandare giù. La vita è fatta di scelte e non sappiamo cosa ci riserva il futuro. Viviamo il presente e quel che sarà, sarà.
Ci sono ancora tredici finali da giocare e mister Rossi sa benissimo che per raggiungere traguardi importanti bisogna lavorare e ragionare gara dopo gara. Magari ci ritroveremo tutti al Puskás Pancho Sport Pub a fine anno. Chi lo sa. Noi non possiamo che fargli un grande in bocca al lupo.
Honved, la storia di un mito
Ai più magari il nome Honved non sarà proprio familiare ma stiamo parlando di una squadra che fa parte della storia del calcio europeo: negli anni '50 la squadra di Budapest vantava giocatori del calibro di Puskas, Czibor e Kocsis, ovvero l’ossatura della nazionale ungherese del ct Gustav Sebes conosciuta come Aranycsapat (‘La squadra d’oro') . Il sogno del calcio magiaro, che ben veniva incarnato dalla Honved e dai suoi fenomeni, finì amaramente sotto i cingoli dei carri armati sovietici che invasero l’Ungheria di Imre Nagy. Quella squadra vinse le Olimpiadi del ’52, rifilò ben 6 goal all’Inghilterra a Wembley nel '53 e perse i Mondiali del 1954 solo in finale contro la Germania Ovest.