Il gran rifiuto di Jorge Carrascosa al Mondiale del 1978 (VIDEO)

Il Mondiale dei desaparecidos. Fu ribattezzato così il trofeo vinto dall’Argentina nel 1978 per compiacere la dittatura militare. Le prodezze di Kempes (doppietta) e Daniel Bertoni, il palo di Resenbrink mascherarono in parte le vite spezzate degli oppositori al regime di Videla, la sofferenza delle madri di Plaza de Mayo per i figli scomparsi, le torture contro i dissidenti. E il ricordo di chi, come Jorge Carrascosa, rinunciò alla convocazione per non associare il proprio nome a un torneo macchiato di sangue. Terzino sinistro, efficace e niente affatto lezioso: palla al piede e pedalare; mordere le caviglie, se necessario, pure facevano parte del suo repertorio. La maglia dell'albiceleste l'aveva conquistata anche così e la indossava dal '70 portando con onore la fascia di capitano al braccio. La ripose nel cassetto e la chiuse a doppia mandata assieme alla divisa, all'orgoglio patriottico mortificato dai crimini degli aguzzini, ai sogni arrotolati in quel lembo di stoffa bianco e azzurro divenuto il simbolo di un Paese oppresso dai colonnelli, disposti a tutto per vincere la Coppa e camuffare l'orrore delle esecuzioni sommarie con le immagini di una nazione in festa.
Festa, farina e forca. "Non vinciamo per quei figli di puttana, vinciamo per alleviare il dolore del popolo". E' la frase che il tecnico Menotti avrebbe pronunciato (come ricordò molti anni più tardi Alberto Tarantini, uno dei campioni del mondo dell'epoca) prima di scendere in campo per la finalissima. Lo stadio ‘Monumental' di Buenos Aires e la Escuela de Mecanica de la Armada: lì, a pochi passi, dal tempio del calcio argentino, uno dei luoghi di detenzione più sanguinario. Jorge Carrascosa disse no a tutto questo. Non è mica da questi particolari che si giudica un giocatore. Ma un uomo, sì.