Il calcio italiano tenuto in scacco da uno ‘zingaro’
No, non stiamo parlando di Zlatan Ibrahimovic, chiamato in questo modo dispregiativo dai suoi detrattori, anche se lo svedese dalle origini slave è il vero padrone della Serie A e con i suoi gol e la sua personalità sposta equilibri di interi campionati a proprio favore, tenendo in ‘scacco' il campionato.
Il riferimento è, purtroppo, per un aspetto molto meno edificante del nostro calcio: il calcioscommesse. E lo ‘zingaro‘ è il superlatitante dell'inchiesta ‘Last Best', Hristiyan Ilievski, uno dei ‘mammasantissima‘ del calcioscommesse internazionale, ricercato (insieme all'altro ‘pezzo da 90‘, Gegic) da Interpol e polizie di mezza Europa.
E' stato raggiunto da Giuliano Foschini e Marco Mensurati, colleghi giornalisti de La Repubblica che ne hanno ottenuto un'intervista esclusiva che, stante le prime frasi rilasciate e pubblicate, sarà la ‘madre di tutte le dichiarazioni' che scrolleranno dalle fondamenta il mondo del nostro calcio.
Le ‘verità' di Ilievski
A leggere e rileggere ciò che – forse un po' troppo candidamente – confessa Ilievski ai due cronisti (negandosi però alla giustizia) ciò che sorprende non sono tanto i nomi che dice di non fare, ma poi fa (Sculli e Mauri, Gervasoni e Zamperini, Micolucci e Signori, Masiello e Bentivoglio) e nemmeno la conferma delle varie combine che si consumano attorno al calcio italiano in modo costante e chirurgico. Ciò che deve far riflette (e tremare) è la notizia che si legge tra le righe e che avrà fatto rizzare i capelli agli inquirenti. Cioè il fatto inedito per cui, secondo Ilievski, le scommesse attorno al calcio sono gestite e ‘partono' dagli stessi giocatori e dirigenti, ribaltando un luogo comune (fondato sui precedenti del totonero e degli anni'80) in cui i vari tesserati erano solamente delle ‘vittime' pilotate dalla malavita.
In pratica, c'è un terribile ribaltamento di ruoli che – se venisse confermato nel momento in cui Ilievski deciderà di consegnarsi alla giustizia con i fatti e non solo a parole – porterà ad un ‘reset' quasi totale del mondo del calcio per come lo viviamo e consideriamo oggi. Perchè se è vero che sono gli stessi giocatori a parlarsi e a decidere a tavolino risultati, retrocessioni, posti per l'Eruopa e scudetti, vendendo poi le informazioni sull'esito delle singole partite a terzi perchè scommettano soldi dei giocatori stessi (oltre ai propri), allora è meglio che si tiri giù una saracinesca tutt'altro che virtuale, si chiuda il calcio totalmente, si faccia pulizia completa e si resetti il tutto.
Perchè è proprio questo che costituisce il centro delle dichiarazioni di Ilievski, personaggio comunque da prendere con le molle visto che avrà letto pure ‘Il Padrino' e imparato a memoria ‘Scarface' ma resta pur sempre un delinquente latitante.
I calciatori, i veri scommettitori fuorilegge
Tornando a monte, riportiamo i passi che riteniamo essere fondamentali per il lavoro degli inquirenti e di riflessione per tutti gli appassionati di calcio. Iniziando quasi dalla fine, quando dal suo rifugio a Skopje, dà la sua – allucinante e lucida – versione di come è gestito il calcioscommesse del terzo millennio.
Mi chiamano i calciatori e mi dicono: "20mila su questo o su quel risultato". E io lo faccio facilmente, perché la gente si fida. In Inghilterra non succede, in Italia invece sì: si mettono d'accordo, poi scommettono e vendono le informazioni. Quando le vendono a noi, o quando noi le scopriamo ci puntiamo sopra forte. Altrimenti le vendono a qualcun altro. Alla mafia siciliana, a quella albanese, agli ungheresi oppure a Beppe Signori che è uno dei capi del calcioscommesse in Italia. A tutti. Spesso sono gli stessi dirigenti dei club a mettersi d'accordo. Alla fine dello scorso anno, sono venuto io personalmente in Italia. Era quasi tutto già deciso, chi vinceva lo scudetto, chi andava in Europa, chi finiva in serie B. Quindi è stato un "festival". C'erano sei squadre che ritenevamo affidabili: Sampdoria, Cagliari, Bari, Lecce, Siena e Chievo. E noi abbiamo fatto un mucchio di soldi.
Che Ilievski sia, comunque, informato sui fatti e non semplicemente (o totalmente, lo decideranno gli inquirenti) un millantatore è dato però anche da alcuni retroscena conosciuti solamente a chi era presente di persona nelle trattative. Come sulla partita clou dell'inchiesta, Lazio-Genoa 4-3 della scorsa stagione.
Non avete capito niente. Lazio-Genoa l'ha fatta Sculli, non Mauri. Sculli, con gli amici suoi di Genova. Al cento per cento. Anzi no, a un milione per cento.
Un sacco di soldi li abbiamo fatti anche con Lazio-Genoa. È andata così: io cercavo da un po' di parlare con qualcuno della Lazio, per avere informazioni sicure. Ma non ci riuscivo. Sono andato a Formello, vero, ma lì non ho incontrato nessuno. Però mi hanno detto: "Guarda che la partita è fatta. L'ha fatta Sculli. L'accordo è 1-1 per il primo tempo", poi nel secondo tempo partita vera, anche se alla fine il Genoa ha poi dato i tre punti alla Lazio che doveva andare in Champions.
E poi, ancora altri fatti concreti, come l'episodio di Ascoli, quando incontra Micolucci per una combine: "Me la ricordo quella notte, al parcheggio. Lui doveva darmi dei soldi da scommettere su una partita. Ed è vero che non parlavo, perché ero stanco. Ero partito in macchina da Cernobbio ed ero arrivato fino ad Ascoli. Era buio e lui parlava e parlava, e cercava di convincermi ad accettare un pagamento con assegni invece che in contanti".
Oppure, ancora, la sua visita in albergo poco prima di Palermo-Bari dove incontra Bentivoglio: "Masiello l'aveva costretto a incontrarmi per farmi vedere che la partita era aggiustata. Io gli avrei dato dei soldi per quella dritta, il Bari avrebbe perso quasi certamente e lui avrebbe fatto il colpo. Ma si vedeva da un chilometro di distanza che Bentivoglio se la stava facendo addosso: tremava, era pallido. Mi stavano truffando. E allo stadio si è visto subito".
Il pericolo della menzogna
Tutte invenzioni? Di certo no, anche se qualche piega ‘colorita' l'avrà pure raccontata per dar ancora più peso alle proprie parole. Dopotutto la storia racconta che i pentiti ‘a distanza' spesso esaltano alcuni aspetti delle loro confessioni, emarginandone altri in modo consapevole e voluto. Quindi, finchè non si consegnerà nelle mani della giustizia bisognerà prendere queste parole per quelle che sono, come la sua promessa di costituirsi: "Comunque penso che prima o poi verrò in Italia. Io amo l'Italia. Mi farò un po' di carcere, lo so. Ma non posso continuare a vivere qui, così. Chiarirò tutto e tornerò a casa mia, a Cernobbio".
Intanto, però, il cuore del calcio trema.