Perché Ibrahimovic al Milan è un ottimo affare di mercato
Il piano marketing e la quotazione in Borsa. Con queste due carte vincenti, anche secondo la grande regista dell’operazione Licia Ronzulli, Bee Taechaubol ha conquistato Silvio Berlusconi. Il contratto preliminare di vendita, che prevede il passaggio del 48% delle quote in cambio di 500 milioni di euro da Fininvest al gruppo dell’uomo d’affari thailandese, non è ancora stato ufficializzato (e secondo la Gazzetta dello Sport uno dei nodi da sciogliere è la definizione esatta del ruolo del fondo Doyen Sports). Ma le trattative per una campagna acquisti di nuovo all’altezza del blasone del club sì. Oltre a Jackson Martinez, il regalo per Mihajlovic, la cui ufficialità è sempre attesa ormai a giorni, potrebbe essere il ritorno in rossonero di Zlatan Ibrahimovic, entrato nella top-20 dei marcatori con la maglia delle nazionali.
Ritorni – Lo svedese ritroverebbe il serbo, vice di Mancini all’Inter tra il 2006 e il 2008 e riporterebbe entusiasmo tra i tifosi rimasti nostalgicamente legati ai giorni di gloria di Ibra in rossonero. Ma sarebbe soprattutto una leva più efficace di Martinez per il vero obiettivo strategico del suo sempre più possibile ritorno in rossonero: aprire ancor di più al Milan le porte del mercato asiatico, “colonia” del club negli anni Novanta. Quei fasti appaiono lontani, ma quel passato non è ancora una terra straniera. Serve un nome di grande appeal, un uomo immagine spendibile in Asia, e senza dubbio Ibrahimovic corrisponde al profilo, anche alle soglie dei 34 anni. Il piano della società e di Mino Raiola prevede un triennale da 6,5 milioni a stagione. Considerato che ha il contratto in scadenza nel 2016, e il PSG ha intenzione di rinnovare al massimo per un altro anno, se c’è la volontà del giocatore l’operazione potrebbe chiudersi anche per una cifra non lontana dai 15 milioni.
L’alleato Adidas – Il Milan, oltretutto, non si sobbarcherebbe l’intero onere del trasferimento. Secondo quanto riferisce Tuttosport, l’acquisto di Ibra sarebbe finanziato, almeno parzialmente da Adidas, sponsor tecnico legato al Milan dal 1998, una delle partnership commerciali più longeve della serie A. Un rapporto rivisto al rialzo nel 2012 e prolungato fino al 2024 che frutta ai rossoneri una ventina di milioni a stagione e una serie di iniziative congiunte, dalle Scuole Calcio agli Adidas Milan Junior Camp, dalla cessione dei diritti mondiali di licensing alla collaborazione tra Adidas Innovation Technology e MilanLab, che ha portato, per esempio, alla creazione del miCoach Elite System, la tecnologia che permette ad allenatori e calciatori di consultare in tempo reale alcuni valori chiave, come frequenza cardiaca, velocità, scatto, distanza percorsa, posizione in campo e potenza. Non è un segreto che Adidas voglia portare Ibrahimovic tra i suoi testimonial, dopo che lo svedese si è visto respingere da Nike la proposta di rinnovo contrattuale a 2,4 milioni a stagione. L’entourage di Ibra starebbe discutendo i dettagli con il marchio tedesco che già sogna di vendere milioni di maglie col numero 10 e il nome dello svedese stampato sopra. Sempre che Honda, passepartout comunque importante per la campagna di potenziamento del brand in Asia, sia disposto a cederla. In caso contrario, anche il futuro del giapponese, al momento confermato nonostante un rendimento altalenante (sei gol in stagione ma l’ultimo l’ha segnato a Verona il 19 ottobre), potrebbe essere a rischio.
Adidas, nuove strade – La possibile alleanza per favorire l’accordo tra il Milan e Ibrahimovic può essere un tassello non secondario nel futuro prossimo di Adidas. Da questa stagione, infatti, entra anche in vigore l’accordo di sponsorizzazione da 941 milioni in dieci anni con il Manchester United. Il contratto ha spiazzato il calcio europeo: il Bayern Monaco ha ridefinito al rialzo il suo contratto, la Juventus si è aggiunta, a cifre inferiori ma comunque record per l’Italia (139,5 milioni per 6 anni), mentre Barcellona e Manchester City sono pronte a rinegoziare, ovviamente al rialzo, gli accordi con Nike. Il legame con lo United, che potrebbe rinforzare la posizione del brand in Europa e soprattutto negli Stati Uniti, testimonia la volontà di una diversa strategia, dopo un 2014 non esaltante, condizionato dai risultati negativi di Brasile 2014. “Ci vogliono grandi cambiamenti per combattere Nike”, ha detto in un’intervista Eric Liedtke, capo del brand globale Adidas, alla rivista Fortune. Candidato a prendere il posto di Herbert Heiner sulla poltrona di CEO quando il suo contratto scadrà nel 2017, Liedtke ha offerto una visione spietata della situazione del marchio, in difficoltà negli Stati Uniti anche contro un marchio emergente come Under Armour. “Dobbiamo resettare la nostra politica ovunque” ha spiegato, perché i giovani atleti non guardano più al brand delle tre strisce come facevano dieci o vent’anni fa. È vero, ha sottolineato, che il marchio Adidas Originals e gli accordi con Pharrell o Kanye West, hanno portato innegabili benefici, ma la volontà è di riportare al centro della strategia complessiva lo sport, che rappresenta comunque l’80% delle vendite.
Ibra: 3 motivi per prenderlo – Dal punto di vista sportivo e commerciale, l’operazione ha dei vantaggi evidenti per il Milan: 1) considerato il costo del cartellino, nel rapporto costi-benefici la bilancia è indubbiamente in attivo; 2) può rilanciare la fantasia un po’ danneggiata, da troppo parcheggiata, dei tifosi spazientiti dai parametri zero, dalle campagne acquisti al risparmio, dalla mancanza di quella volontà di grandezza che ha caratterizzato la storia della gestione Berlusconi; 3) come hanno insegnato Miro Klose, Toni, Di Natale anche un campione over-30, e addirittura over-35, può fare la differenza in un campionato italiano che solo vent’anni fa era il più bello del mondo.
Ibra: 3 motivi per non prenderlo – D’altra parte, volendo giocare a far la parte dell’avvocato del diavolo, o meglio contro il Diavolo, il trasferimento di Ibrahimovic qualche controindicazione ce l’avrebbe: 1) i cavalli di ritorno, le minestre riscaldate, hanno sempre funzionato poco: sia in campo, da Gullit e Donadoni a Shevchenko e Kakà, sia in panchina con Sacchi e Capello; 2) questo passaggio di gestione, che è anche un passaggio di tempo, richiede la ricostituzione di una visione, di un progetto di lungo periodo e l’acquisto di una stella che non ha più così tante stagioni per brillare ancora un po’ finirebbe per stonare: 3) la personalità di Ibra non è certo semplice, e il suo arrivo potrebbe costringere a rivedere al rialzo anche il resto della campagna acquisti, che sembra invece orientata, come giusto che sia quando si crea un progetto dagli orizzonti più ampi del qui e ora, a nomi meno glamour che ben si inseriscono nel puzzle.