Higuain, il nuovo core ‘ngrato del calcio italiano
Il cuore ha sempre le sue ragioni, che la ragione non conosce. E nemmeno il portafogli. L'ormai praticamente certo passaggio di Higuain alla Juventus impasta passioni, denari e il logorio del calcio moderno. I bianconeri accettano di pagare i 94,7 milioni di clausola rescissoria: a queste condizioni, con il giocatore d'accordo al trasferimento, e con un ingaggio da 7,5 a stagione più bonus per quattro anni, lo stesso che ha rifiutato per rinnovare in azzurro, la società non ha di fatto strumenti per opporsi. Anche l'Arsenal, che pareva disposto a offrire una sessantina di milioni più Giroud, non ha presentato proposte ufficiali.
Il più costoso di sempre della Juve – Higuain diventa così l'acquisto più costoso di sempre nella storia della Juventus, e il giocatore più pagato nella rosa di Allegri. Il rischio dell'effetto domino, con i top player e i relativi procuratori a battere cassa, non è poi così lontano. Ma vale davvero 94,7 milioni? Il Pipita, gioiello da record di gol in serie A l'anno scorso e gemma per le casse di De Laurentiis, non è ancora il giocatore che da solo fa girare i destini di una squadra. Voluto da Capello al Real Madrid, ha fatto infuriare Schuster per i troppi gol sbagliati, si è trovato bene con Pellegrini e male con Mourinho, che gli ha preferito Benzema. Insieme al francese e a Cristiano Ronaldo ha composto uno dei tridenti più prolifici della Liga, ma la Champions è rimasta un miraggio. Come lo scudetto a Napoli o i trionfi in nazionale: in albiceleste, più dei gol fatti, si ricordano di quelli mancati in finale al Mondiale brasiliano e in Copa America Centenario. Un attaccante che la Juve pagherebbe quasi 13 milioni in più della cifra versata dal Barcellona per il Pistolero Suarez (82 milioni che i blaugrana stanno versando a rate al Liverpool), che pur in un contesto di squadra diverso ha finito per vincere di più.
Cifre folli – Ma in un calciomercato dalle cifre spesso folli, spinte verso l'alto dai nuovi padroni del Golfo e d'Oriente, disposti perfino a versare i 200 milioni di clausola di rescissione per portare Messi da Barcellona a Parigi, è chi compra che fissa i valori. Se poi è disposto anche a investimenti fuori mercato per eccesso di rialzo, chi vende è spesso meglio disposto ad accettare. E in una serie A tornata l'estate scorsa a spendere, 608 milioni complessivi, più del volume d'affari di Bundesliga e Ligue 1, la Juve può far valere un fatturato inarrivabile per tutti. Agnelli può così consegnare ad Allegri una squadra con il Pipita, Dybala e Mandzukic, l'attacco bianconero più competitivo dell'ultima decade, per tentare l'assalto all'Europa che conta.
Il no di Maradona – Osannato come solo Maradona a Napoli, Higuain “tradisce” il suo popolo: è durato tre anni, come al River Plate, la pepita inquieta del calcio insoddisfatto in un Real che non lo amava e in un Napoli che l'ha amato alla follia, a lungo ricambiato. E Andrea Agnelli riesce dove l'Avvocato si era dovuto arrendere. "Agnelli mi convocò per dirmi che voleva a tutti i costi che giocassi per la Juventus" ha raccontato il Pibe de Oro. “Mi disse che aveva offerto 100 miliardi a Ferlaino e di mettere io la cifra sul mio assegno. lo gli risposi che non avrei mai potuto fare questo affronto ai napoletani perché io mi sentivo uno di loro e non avrei mai potuto indossare in Italia altra maglia se non quella del Napoli”. Altri tempi, stagioni di identificazioni forti fra uomini e squadre, di rivalità fra mondi, fra modi di essere. Fra una cultura radicata nell'azzurro del mare e delle maglie, di un popolo che ha origini antiche e uno spirito che in quei colori si specchia e un modello industrial-sportivo più orizzontale, che cerca l'estensione più che l'intensione, che unisce, divide e impera.
Il modello Juve – È un'idea di gestione, quella juventina, che comincia con l'arrivo della famiglia Agnelli nella storia del club, all'epoca del quinquennio d'oro, con una modernizzazione che replica il modello FIAT nel calcio. La Juve diventa la squadra più popolare d'Italia per le vittorie e per l'alternativa che, come ha scritto Giovanni De Luna, storico e professore all'Università di Torino, rappresenta al campanilismo «La Juventus gioca bene, vince sempre e non è né lombarda, ne emiliana, né veneta, né toscana: appartiene a una regione che ha innervato l'esercito e la burocrazia nazionali: di quella regione il capoluogo è stato anche capitale d'Italia” scriveva Gianni Brera. “Nessuna città periferica aveva contratto odii nei suoi confronti, all'epoca dei Comuni. Essa batteva ormai le decadenti squadre del Quadrilatero e offriva agli altri italiani la soddisfazione di umiliare le città che nel Medio Evo avevano spadroneggiato”. La nazionalizzazione della Juve passa anche per la forte emigrazione degli operai che sbarcavano a Torino per lavorare alla FIAT. “La Juventus del Quinquennio ha caratterizzato l'evoluzione del calcio italiano e ha dominato per lungo tempo il campionato, ha dato esempio di rigorosa organizzazione, di equilibrio tecnico, di elevato spirito sportivo, proprio nel periodo più oscuro del calcio meridionale” ha scritto Gino Palumbo, storico direttore della Gazzetta dello Sport.
Altafini core ‘ngrato – La decentralizzazione del tifo, il miracolo economico non spezzano però le rivalità con le piazze del calcio centro-meridionale dove l'identificazione con il territorio è più forte, passionale, viscerale. A Napoli ancora non hanno dimenticato il 6 aprile del 1975, il giorno in cui Jose Altafini tornò da avversario al San Paolo che era stato suo per sette anni e divenne “core ‘ngrato”. Al Napoli l'aveva portato Achille Lauro, alla Juventus l'ha ceduto Corrado Ferlaino nell'estate del 1972 dopo la crisi della società e dell'armatore. Altafini comincia in panchina nella sfida che può valere lo scudetto, entra a un quarto d'ora dalla fine e il finale è già storia: azione da calcio d’angolo, Carmignani esce male, palla a Cuccureddu, tiro secco sul palo, rimpallo sui piedi di Altafini, gol. “I tifosi del Napoli mi hanno fischiato, e io li ho puniti” dirà.
Il precedente di Pjanic – La scritta di un tifoso fuori dal San Paolo sembra parlare per tutta la città. E non si allontana dai sentimenti della Roma giallorossa per i trasferimenti, vissuti come tradimenti, di Emerson e Zebina, dopo la fuga di Capello che, dopo la promessa di non andare mai alla Juve annuncia l'accordo con i bianconeri da Madrid. E si avvicina molto ai sentimenti dei tifosi di oggi per l'addio di Pjanic. “Ora capisco perché negli ultimi anni era sempre difficile stare davanti ai bianconeri” ha detto appena arrivato, e la creatività dei tifosi della Roma si è scatenata. “Qui si lavora tanto per raggiungere grandi obiettivi, vogliamo confermare i titoli della scorsa stagione e fare ancora di più. Non c’era altra scelta per fare un passo avanti nella mia carriera; sono in una grande società con grandissimi calciatori, mi aiuteranno a diventare più forte e vincere, ho preso la decisione giusta”. Il portafogli e la ragione di vincere hanno le loro ragioni che il cuore non conosce.