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Giampaolo ha fatto bene. E’ ora di dire basta all’imbecillità degli ultras

Il caso dell’allenatore del Brescia che ha deciso di chiudere il rapporto con il club.
A cura di Maurizio De Santis
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marco giampaolo allenatore

Marco Giampaolo ha fatto bene. Ha mandato a quel paese tutti, s'è chiuso nel silenzio e lasciato il mondo fuori per qualche giorno. Lui da una parte, il Brescia e l'accolita dei suoi tifosi dall'altra: ingaggiato per riportare i lombardi in A in base a un programma biennale, alla quinta giornata s'è ritrovato con gli ultras nello spogliatoio che ‘pretendevano' un chiarimento dopo la sconfitta in casa col Crotone. Giampaolo non è pagato dagli ultras, ma dalla società. Giampaolo non deve rendere spiegazioni a chi ha il cervello (ammesso che lo abbia e lo faccia funzionare) confuso dal rullo del tamburo e dalla nuvola dei fumogeni. Giampaolo non è a disposizione degli umori della Curva, ma del presidente che ha il diritto/dovere di esonerarlo se i risultati sono mediocri e al di sotto delle aspettative a fronte del parco giocatori allestito. Giampaolo va al campo per svolgere il suo lavoro: studiare tattica e schemi, programmare allenamenti, assemblare la squadra, dandole un gioco e un'anima per raggiungere l'obiettivo concordato con la dirigenza. Se fallisce, va via. Fa parte del gioco, ne ha accettato regole e consuetudini ma ha il diritto di essere rispettato come uomo, prim'ancora che professionista. E quel "la mia famiglia sta bene", mormorato al telefono dopo la pagliacciata di alcuni media che hanno montato l'alone di mistero scaturito dalla sua scomparsa e trasformato lo sdegno dell'uomo in psico-dramma, ha segnato un confine preciso tra chiacchiere da bar, ipocrisia collettiva e vicenda personale. Chiamare ‘Chi l'ha visto?', ma stiamo scherzando? Giampaolo aveva già comunicato il suo disagio al club, tutti sapevano e chi doveva intervenire ha preso tempo oppure ha fatto finta di non sapere. Si poteva comporre la vicenda con meno clamore o avere il coraggio di sostenere l'allenatore anche contro la volubilità della folla. Tutto, meno che lavarsene le mani facendo ironia ("magari in panchina ci vado io…", ha detto il presidente Corioni), lasciando l'uomo e l'allenatore in balia degli eventi e delle ricostruzioni fantasiose. Giampaolo ha detto basta, rinunciando allo stipendio. Fece così anche a Cagliari, pure allora reputò la situazione insostenibile per altre ragioni. E allora? Considerato che ci mette la faccia, ha tutto il diritto di scegliere e non sentirsi alla mercé di presidenti umorali oppure di altri ostaggio dei tifosi. Tutto ha un prezzo, anche la dignità di un uomo. E si può sempre decidere di non sedersi a trattare.

Il Genoa e il presidente Preziosi trattarono, e come. I calciatori del Grifone che consegnarono la maglia ai tifosi, perché così volle un capo ultrà imbufalito per la pessima prestazione della squadra, sono il simbolo della resa di fronte a tutto. Noi siamo i padroni. Noi decidiamo quando fischiare la fine della partita. Noi, manipolo di balordi, comandiamo. Voi eseguite. Fu così qualche anno fa all'Olimpico, quando per una notizia fasulla (un bimbo deceduto in un incidente nei pressi dell'impianto) il derby tra Roma e Lazio non iniziò perché così imposero i sostenitori di entrambe le squadre. Fu così anche a Bergamo, nella maledetta domenica della morte di Gabriele Sandri, ucciso in autogrill da un proiettile sparato da un poliziotto. Divelto un tombino, un gruppo di facinorosi lo utilizzò a mo' di ariete per sfondare le vetrate della Curva e costringere l'arbitro a mandare tutti negli spogliatoi. Fu così in quel nefasto Catania-Palermo, passato alla storia per l'assassinio brutale di Raciti, l'agente colpito con un fendente fatale negli scontri all'esterno del stadio etneo. E, ironia della sorte, fu così ancora una volta al Ferraris di Genova in occasione della gara di qualificazione all'Europeo: allora, la follia prese il volto coperto dell'energumeno serbo che, con cesoie in pugno e poco sale in zucca, tagliava la rete di recinzione, sfidava il mondo in diretta e sbeffeggiava le forze dell'ordine. E siccome al peggio non c'è fine, nel novero delle bestialità da stadio ci sono finiti anche lo striscione che sbeffeggiava il dramma (quello, sì) umano di Pessotto, l'ironia macabra sulla tragedia dell'Heysel (una ferita aperta per tutta l'Italia non solo per il popolo bianconero). Ogni tanto, capita pure che qualcuno se ne accorga. E magari prenda anche provvedimenti. Ogni tanto. "So di non sapere", diceva Socrate. Quello senza "s" finale, però. L'altro faceva il dottore e giocava pure a calcio. Ma è un'altra storia. Lui, il filosofo, avrebbe fatto proseliti anche in un mondo abituato a pensare coi piedi. La profonda consapevolezza della propria ignoranza è una virtù per gli apologeti della pedata. Non son degno di te. Non ti merito più. Giampaolo ha mandato tutti a quel paese. E ha fatto bene.

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