Francesco Guidolin e l’esterofilia dei presidenti italiani

Ogni anno gli vendono i pezzi migliori. Ogni anno gli comprano giocatori sconosciuti da svezzare e da preparare per il calcio italiano. Ogni anno gli alzano l'asticella e lo mettono di fronte ad un nuovo obiettivo: migliorare ciò che è stato fatto nella stagione precedente. Per sua fortuna, le salite non lo spaventano e anche il detto: "hai voluto la bicicletta, ora pedala" gli calza a pennello, tanto è grande la sua passione per le due ruote. Esistesse una maglia bianca a pois, anche nel calcio, andrebbe consegnata a questo tosto trevigiano di 57 anni che, ogni stagione, affronta le salite più difficili del nostro campionato.
Sottovalutato – Dura la vita se ti chiami Francesco Guidolin, uno dei tecnici più sottovalutati del nostro calcio. Dura e difficile proprio perchè italiano e con un nome così poco "cool" come, ad esempio, quello di Villas Boas o di Bielsa, puntualmente accostati alle panchine importanti della Serie A. Chiariamo subito il possibile equivoco: "Guido", come lo chiamano in Friuli , a Udine si sente un pascià. Venerato e coccolato da dirigenza e tifosi, sta lasciando un segno indelebile nella storia della società bianconera: come Alberto Zaccheroni e forse più di Luciano Spalletti, gli unici due esempi eclatanti di grandi allenatori che, dopo aver fatto bene in terra friulana, hanno fatto il grande salto passando su panchine prestigiose.

Una carriera di tutto rispetto – Il suo curriculum parla da solo. Guidolin è una bella realtà del nostro calcio. La persona giusta nel posto giusto. In mezzo a quella rosa multietnica si fa capire e ben volere da tutti, insegnando calcio e regalando emozioni. Come a Vicenza quando dopo aver conquistato la promozione in A dopo ben sedici anni, vinse una Coppa Italia e portò, la stagione successiva, i suoi ragazzi a Stanford Bridge per giocarsi la semifinale di Coppa delle Coppe contro il Chelsea. Emozioni che neanche il tempo riuscirà a cancellare, brividi di piacere che Guidolin riuscirà a riassaporare molti anni più tardi con la sua Udinese.
Dai dilettanti del Giorgione ai preliminari di Champions League – Il suo cammino ricorda vagamente quello di Arrigo Sacchi, partito dal basso e arrivato lassù in alto dove solo pochi sono riusciti ad arrivare. Una strada piena di buche da schivare, quella del buon Francesco. Gioie e dolori che, però, non hanno minimamente intaccato la fiducia nel lavoro e nei suoi mezzi. Sostanza più che apparenza. Udine dista da Vicenza poco meno di 200 chiometri ma lui, da buon ciclista, preferisce arrivare alle soddisfazioni bianconere dopo diverse tappe: Bologna, Palermo, Monaco, Parma. Percorsi pianeggianti e montagne impossibili da scalare ("Passo Zamparini", su tutti), lo aiutano a crescere e lo temprano per il mestiere più difficile al mondo. Quel mestiere dove se sbagli sei un "mona" e se azzecchi tutto sei "solamente" l'allenatore di una squadra straordinaria.

Diverso dagli altri – Ora, la sua Udinese non è più una semplice meteora. E' il frutto di una sapiente programmazione, di uno "scouting" continuo di giocatori interessanti, di un ambiente che, dopo, l'esonero della stagione 1999/2000, ha saputo tornare sui suoi passi e accogliere nuovamente l'artefice della qualificazione in Coppa Uefa nel 1998. Un feeling intaccabile, una stima che certificata da un contratto fino al 2015 che "blinda" l'artefice principale della risalita delle azioni bianconere che, oggi come oggi, appaiono come un investimento sicuro e redditizio. Inginocchiato davanti alla sua panchina, rigorosamente in tuta, Guidolin ora si gode i frutti del suo lavoro. Venerato e stimato anche dai suoi colleghi che lo hanno eletto, un mese fà, miglior allenatore della passata stagione, consegnandogli la "Panchina d'oro". Un riconoscimento che profuma di consacrazione.