Festa a Barcellona, Londra e Berlino. Gli spari sopra sono per noi
Un colpo d'occhio che lascia senza fiato nel tempio del calcio, il Camp Nou. Centomila spettatori circa: un fiume di sostenitori dell'Atletico Madrid che sfocia nel mare blaugrana. Brividi lungo la schiena. Pelle d'oca. Adrenalina spacca-cuore. Ansia e passione. Una stagione in novanta minuti. Dimenticate per un attimo che a vincere la Liga sono stati i ‘colchoneros', la prodezza di Alexis Sanchez (che la Juve vorrebbe riportare in Italia) e l'inzuccata di Godin (uruguagio, ce lo ritroveremo di fronte al Mondiale in Brasile). Dimenticate la faccia di Messi, fresco di rinnovo faraonico a margine di una stagione da ‘zeru tituli'. Dimenticate le lacrime di Diego Costa e la smorfia che taglia la faccia di Arda Turan, lo ‘spartano' che più di tutti incarna l'anima guerriera in cui Simeone ha forgiato la sua squadra. L'impresa dei ‘materassai' – rivelazione della stagione nella Liga e in Champions – meritava d'essere celebrata su un palcoscenico d'eccezione e così è stato: perché la standing ovation dedicata al ‘Cholo' dal pubblico catalano è il più bel tributo che potesse ricevere. "Abbiamo fatto la storia", racconta con orgoglio l'ex di Inter e Lazio. Tutti in piedi ad applaudire: lui ringrazia, alza le braccia al cielo, china lievemente il capo e rende onore a tanto fairplay. Il pubblico madrileno fa festa, i calciatori corrono verso i tifosi. E' un tripudio, hanno vinto anche gli sconfitti. Tutto vero. Una lezione di calcio.
Cambio di scena. Londra, prato verde di Wembley, suolo sacro per gli inglesi e caro agli dei del calcio. L'Arsenal va sotto di 2 gol contro l'Hull City (club che prima del 2008 mai avevo messo piede in Premier League), rischia il tracollo ma resta in piedi. Il pubblico, il suo pubblico, continua a cantare. La febbre a 90° è dura da guarire e il termometro sale quando Cazorla accorcia le distanze, Koscielny pareggia. Si va ai supplementari, stremati, fino al guizzo di Ramsey che fa esplodere i ‘cannoni' londinesi. Arsene Wenger, che non vinceva un trofeo da nove anni, può esultare: l'incantesimo è spezzato ma quell'atmosfera regala meraviglia. Scioglie l'aplomb del manager francese che toglie la giacca, slaccia la cravatta e sorride. Anche qui, applausi a scena aperta.
Pure il cielo non è più azzurro sopra Berlino, Bayern Monaco e Borussia lo sfumano coi colori del calcio vero. Giallo, nero, rosso e blu: il contrasto cromatico esalta l'identità della scuola del calcio tedesco. Forza, pragmatismo, disciplina tattica contaminate dal tiki taka di Guardiola da un lato; orgoglio, audacia, coraggio, destrezza allenata nella gabbia del footbonaut, le smorfie di Klopp e i suoi schemi che hanno dato fama al miracolo Dortmund dall'altro. E poi c'è Lewandowski, già promesso ai bavaresi, che gioca una finale sospeso tra presente e futuro. Ma la immaginate una cosa del genere da noi? Impossibile.
Piaciuto il sogno? Adesso aprite gli occhi e guardatevi intorno, siete in Italia: dove la finale di Coppa Italia ha il volto di ‘Genny ‘a carogna' (capo tifoso dei Mastiffs) che fa marameo allo Stato e quello di ‘Gastone' (ex leader della Curva romanista) che spara e riduce in fin di vita tre sostenitori del Napoli. In Italia, dove negli stadi s'invoca il Vesuvio perché lavi col fuoco i partenopei e si cantano osanna offendendo i morti dell'Heysel come di Superga. In Italia, dove nelle Curve (e non solo) gli ultrà fanno i loro, porci comodi con la complicità (in alcuni casi) oppure con il tacito assenso delle società che ‘non vedono, né sentono, non c'erano'. In Italia, dove la libera estensione interpretativa d'una norma – come la discriminazione territoriale e gli insulti razzisti – viene derubricata a sfotto' e le decisioni stesse del Giudice Sportivo sembrano uno sfotto': chiudo il settore ma con la sospensiva. Ridicoli. In Italia, dove allo stadio non puoi più andarci se sei una persona perbene. E nemmeno puoi fare a meno di tornare a casa disgustato. In Italia, dove se perdi è colpa dell'arbitro ‘che non ci ha tutelato'. Sorridete, gli spari sopra sono per noi.