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Fenomeno Cristiano Ronaldo: da oggi è una galassia stellare

L’acronimco Cr7 è stato utilizzato dagli astronomi dell’università di Lisbona che ha appena chiamato un insieme di stelle “Cosmos Redshift 7”. Ma il professor Sobral ha ammesso di essersi ispirato all’asso del Real.
A cura di Alessio Pediglieri
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Cr7 da oggi non sarà più soltanto la sigla di Cristiano Ronaldo con il numero che porta sulle spalle dai tempi del Manchester United. Da oggi, Cr7 è anche una Galassia, la Cosmos Redshift 7, abbreviata proprio come le iniziali del fenomeno del Real Madrid. Che ha ispirato l'astronomo padre della nuova galassia e che ha voluto proprio omaggiare il portoghese. Un atto di stima che non ha precedenti e che proietta concretamente Ronaldo tra le stelle, non più virtuali, del cosmo. Per il piacere e la gioia dei tifosi del Real Madrid che malgrado la partenza di Ancelotti e l'arrivo di Benitez sulla panchina blanca non vedranno messo in dubbio il loro idolo con cui proveranno a ripuntare alla conquista della Liga e dell'Europa.

E non sarà un insieme di stelle come tanti altri bensì la galassia più brillante mai esistita: gli esperti dicono che è la galassia tre volte più luminosa di Himiko, che finora deteneva il record, nonché a quanto pare fondamentale nel processo del Big Bang. Gli astronomi che l'hanno scoperta e categorizzata affermano che “da essa si sarebbero sprigionati gli elementi necessari per la creazione dei pianeti e della vita” così come si legge nello studio pubblicato sull’Astrophysical Journal.

Cristiano Ronlado non c'entrerebbe nulla nel discorso e nella scoperta astronomica ma un filo conduttore lega comunque il fenomeno portoghese con la nuova galassia. La Cr7 starebbe infatti per “Cosmos Redshift 7” che è il metodo usato per datare gli oggetti distanti e, nel caso specifico, si parla di una distanza di 13mila milioni di anni luce dalla Terra, eppure l'asso del Real Madrid ci ha messo comunque lo zampino. "Non posso assolutamente negare di essermi ispirato anche a Cristiano Ronaldo”, ha ammesso infatti lo studioso Sobral in un’intervista al “New York Times”.

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