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Euro 2016: Cristiano Ronaldo ha il Portogallo sulle spalle

Cristiano Ronaldo può battere il record di gol di Platini agli Europei. E diventare il portoghese con più presenze di sempre in nazionale. Euro 2016 è una delle sue ultime chance per brillare anche con la maglia del Portogallo.
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“Sostiene Pereira di averlo conosciuto in un giorno d'estate. Una magnifica giornata d'estate, soleggiata e ventilata, e Lisbona sfavillava”. Viene quasi da immaginarlo, Pereira, il giornalista nato dalla Tabucchi, in un'altra epoca, in un'altra Lisbona che sfavilla di attesa e speranza. Sta per iniziare l'Europeo 2004. Il mondo sta per scoprire Cristiano Ronaldo.

Record di gol – Non ha ancora mai segnato in nazionale. Sarà un tocco di classe, il suo, ad aprire la grande illusione. Il Portogallo perderà con la Grecia, epifania di un amore profano e di una nazionale del quasi. Ronaldo ne segnerà altri 25 di gol agli Europei, tra qualificazioni e fasi finali: fanno 26 in 39 partite, nessuno ha mai fatto meglio. Eppure la sua storia in nazionale è il dipanarsi di una guerra del cuore che conosce solo sconfitte e qualche improvviso sussulto di effimera gloria. E quando si parla di ragioni del cuore, sostiene il Pereira di Tabucchi, “è difficile avere una convinzione precisa”. È difficile capire perché CR7, il più grande di tutti, l'unico portoghese ad aver segnato in tre diverse edizioni dei Mondiali, abbia vinto tutto a Manchester e Madrid, sia diventato il più pagato al mondo. Ma non sia bastato a cambiare la storia di una grande incompiuta.

Shock Grecia – È proprio quella finale con la Grecia, il giorno in cui il Portogallo diventa l'unica nazionale di sempre a perdere una finale europea in casa, che inizia a cambiare CR7. Nel finale sbaglia davanti al portiere il gol del possibile pareggio, e a fine partita scoppia a piangere. Lo faceva anche da bambino, e ancora adesso odia perdere con la stessa, totalizzante, pienezza. Quel giorno CR7, che ha passato la vita a diventare il migliore di tutti capisce che deve imparare a segnare di più. Miglior giovane del Mondiale di Germania, terrore delle difese dalla destra, con Figo ad accompagnarlo da sinistra, dal 2006 Sir Alex Ferguson lo affida all'olandese René Meulensteen che studia degli allenamenti specifici. CR7 diventa più imprevedibile, comincia a giocare più vicino alla porta, prende più spazio dentro l'area e per la prima volta chiude una stagione con più di 20 reti all'attivo (23 in 53 partite). Quell'anno inizia anche a calciare diversamente le punizioni: meno tiri d'esterno, ma una letale Folha Seca, la foglia morta di Didi, Juninho e Mario Corso.

Dimenticare il 1984 – E dei suoi gol il Portogallo non può proprio fare a meno. Ronaldo gioca di fatto da centravanti senza troppi vincoli nel 4-3-3 di Santos. “Dobbiamo portare un paese sulle spalle” ha detto il ct, che conta sul simbolo della Seleção che prova a diventare il primo a segnare in quattro Europei. Gliene mancano tre, di gol, per superare il record dei nove di Platini, e sarebbe una bella rivincita anche sulla memoria, sulla semifinale del 1984, su quella notte di Marsiglia, sull'illusione creata dalla doppietta di Rui Jordão, sul sogno dei rigori spento dai due illusionisti del quadrato magico: Tigana, che serve l'assist nel giorno del 29mo compleanno, e Platini che fa maturare il giorno di gloria per gli enfants de la patrie.

CR7: evoluzione del mito – Ferguson há avuto un ruolo fondamentale nel rivoluzionare direzione, storia e carriera del primo giocatore nella storia dello Sporting Lisbona a giocare, nella stessa stagione, nell’Under 16, nell'Under 17, in seconda e in prima squadra. Sir Alex prende un'ala con un destino da predestinato, che sa spostarsi sui due fronti con una facilità disarmante, l'ultimo di una lista di “nuovi Best” con la maglia numero 7, “ma per la prima volta è un complimento per me” ammetterà la leggenda che completa la triade dello United all'ingresso del teatro dei sogni. E lo trasforma in una “goal scoring machine”. Ai Devils segna 118 gol in 292 partite. A Madrid esplode, mantiene la stratosferica media di oltre un gol a partita, 364 in 347 presenze. I primi anni convive con Kaka, Guti, van der Vaart e Xabi Alonso, che hanno più spazio e tempo sulla palla. La curva di apprendimento torna a salire: CR7 diventa più diretto, più decisivo anche se meno centrale nel gioco. L'azione tipica lo vede ricevere palla sulla linea mediana, spostato verso sinistra e bruciare il terzino destro avversario: a quel punto, come andrà a finire lo sanno tutti. È perfetto per il calcio efficiente di Mourinho, che elimina i ricami e passa al contropiede veloce e gli affianca un interprete perfetto come Di Maria. L'argentino guadagna libertà a sinistra con Ancelotti. Nel suo 4-3-3 il sacrificato è Benzema, che deve spostarsi per consentire a Ronaldo di giocare più centrale. Quando nel sistema si integra anche Bale, gli ingredienti trovano l'irresistibile combinazione che porta alla decima Champions League.

CR7 e la nazionale – Ma in nazionale c'è sempre qualcosa che manca, un pezzo che impedisce al puzzle di completarsi. Manca qualche centimetro al suo destro da trenta metri che apre il Mondiale 2010 contro la Costa d'Avorio. La campagna si fermerà negli ottavi, contro la Spagna. Capitan Ronaldo è spento, distante. Quando gli chiedono spiegazioni per quella sua prestazione così lontana dalle attese, la risposta gela e lascia solo intuire profondi orizzonti di conflitti non sanati, e la presenza ingombrante di un giocatore che non sempre si fida dei suoi compagni. “Chiedetelo a Queiroz”. Il tecnico, presto, pagherà per tutti.

Il rigore contro la Spagna – Mancano 11 metri fra CR7 e la gloria a Euro 2012. Non è un rigore sbagliato, è uno non tirato, che rimane come un fiore non colto, l'ultimo ricordo europeo di Ronaldo che si avvia a battere il record di presenze in nazionale di Figo: è a 125, gliene mancano tre. Arriva al torneo sulla scia di una stagione da 60 gol per spezzare il dominio nella Liga del Barcellona di Guardiola. La doppietta all'Olanda consente al Portogallo di uscire al meglio dal girone di ferro con la Germania. È suo anche il gol vittoria nel quarto contro la Repubblica Ceca. In semifinale c'è proprio la Spagna, c'è il blocco blaugrana che medita vendetta. Centoventi minuti non bastano a decidere la finalista. Ronaldo sceglie di rischiare, in nome della gloria. Si prende l'ultimo rigore alla Donbass Arena di Donetsk. Sbagliano però Moutinho e Alves. La traversa frustra i portoghesi. Una piccola Spagna, dopo il simil-cucchiaio di Ramos, va in finale grazie al rigore di Fabregas. “Non c'è giustizia” grida al cielo d'Ucraina.

Antipatico? – Proprio segnando l'ultimo rigore all'Inghilterra, dopo aver passato la partita a provocare Rooney con tanto di occhiolino a favor di camera dopo la sua espulsione, è diventato il più odiato d'Inghilterra. E ancora si porta dietro, a dieci anni di distanza, la fama di arrogante, di egoista, di essere antipatico, “un dittatore in campo”, parola di Blatter (che di grandezza e pugno di ferro se ne intende). È l'ostentazione dell'ossessione, della forza di fronte alle critiche, della malattia di essere il migliore, soprattutto dopo l'esplosione di Messi. Dietro il volto mondano, c'è un giocatore che ha un solo pensiero, essere il migliore. “Lavoro duro, provo a credere ai miei sogni”. Sembra banale, lontano da un'idea romantica dell'ala destra, del campione che deve accompagnare il talento all'avversione per il metodo, per l'allenamento serio, per le regole. Ronaldo è sul trono di migliore del mondo non perché finge, come l'attore Reagan che tanto piaceva al padre e che per questo l'ha chiamato così. Ronaldo è il migliore perché va di allenamento in allenamento mentre altri passano di discoteca in discoteca. Ma non è ancora un campione che migliora chi gioca con lui. È il campione che non nasconde la rabbia quando un compagno sbaglia. E in nazionale, dove lo spirito di squadra è il segreto del successo, fa tutta la differenza del mondo. Questa è la sua occasione, forse l'ultima, per diventare grande con tutto il Portogallo sulle spalle.

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