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E’ morto Carlo Petrini: denunciò per primo il marcio del calcio

All’età di 64 anni si è spento, a causa di un tumore al cervello, Carlo Petrini ex giocatore di Milan e Roma degli anni 60-70 e che nel 2000 denunciò per primo la corruzione, le scommesse e le pratiche dopanti all’interno del mondo del pallone italiano. Denunce e inchieste che oggi, davanti alle morti improvvise e inspiegabili di altri giocatori e all’ultimo scandalo del calcioscommesse, ritornano attuali.
A cura di Alessio Pediglieri
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carlo petrini morto di tumore

Carlo Petrini è morto questa mattina, nell'ospedale di Lucca, dopo una lunga malattia che ne aveva debilitato il fisico, in uno strano scherzo del destino. Proprio quando il mondo del calcio, che per anni è stato anche il suo, ricordava con una giornata di stop e di lutto la morte di un giovanissimo calciatore, Piermario Morosini, e negli stessi giorni in cui stanno emergendo allarmanti indiscrezioni attorno all'ultimo scandalo del calcioscommesse. Due elementi che hanno segnato la vita – soprattutto post-calcistica – di Carlo Petrini, popolarissimo calciatore a cavallo degli anni '60 e '70 e poeta maledetto di quel mondo che tanto gli aveva dato, togliendogli troppo.

Una carriera tra scandali e calcio – Carlo Petrini, dodici anni fa, nel 2000, salì alla ribalta della cronache per la sua diretta denuncia verso la corruzione e le pratiche di doping che – nella sua denuncia all'interno del suo primo romanzo "Nel fango del Dio Pallone" – coinvolgerebbero da sempre il mondo del pallone. Tutto nasceva dalla sua denuncia degli anni in cui era un calciatore professionista, in una carriera tutt'altro che anonima. Cresciuto nelle giovanili del Genoa, vestì anche la maglia del Milan nel 1968-1969 sotto la guida del ‘paròn‘, Nereo Rocco, del Torino (dal '69 al '71), con cui vinse la Coppa Italia 1970-1971. Poi, passò al Varese nella stagione successiva, nel Catanzaro dal 1972 al 1974, andò alla Ternana nel 1974-1975, quindi nella Roma di Nils Liedholm durante l'annata 1975-1976, infine al Verona sempre in Serie A (1976-1977), al Cesena dal 1977 al 1979 per concludere la sua carriera al Bologna nel 1979-1980. Una carriera interrotta a soli 32 anni per il suo coinvolgimento nel calcioscommesse ma che riprese, anche se in tono minore, grazie all'amnistia mondiale, chiudendo definitivamente con il calcio giocato prima nel Savona in Serie C2, poi con il Rapallo Ruentes nel Campionato Interregionale 1984-1985.
Petrini intraprese anche la carriera di allenatore, legando la sua figura all'Udinese, alla Fiorentina e al Parma, fino al 2009 quando decise di intraprendere la via della scrittura, con la denuncia degli anni in cui giocò.

carlo petrini piermario morosini

La malattia e la denuncia – La sua voglia di ‘svuotare il sacco‘ e di denunciare il marcio del calcio, nasceva da un semplice dato di fatto. Petrini aveva vissuto direttamente anni ‘duri', in cui – nelle pagine dei suoi libri – si narra di un ambiente corrotto, vile, in mano alla malavita, carico di omertà ma soprattutto senza scrupoli nè verso la persona nè verso la morale. Petrini era affetto da un tumore devastante alla testa, una condanna a morte ad orologeria, forse motivo principale delle feroci e crude denunce all'interno dei suoi libri, con date, circostanze, nomi e cognomi.
La grave forma di glaucoma, che gli aveva procurato la quasi completa cecità dell'occhio sinistro e aveva compromesso anche la vista dell'occhio destro, a detta dei medici che lo avevano in cura nel corso degli anni, sottoponendolo a ben cinque interventi chirurgici, era una forma di malattia che poteva essere correlata all'assunzione dei tanti farmaci dopanti e non, avvenuta durante la carriera di calciatore. Un dubbio atroce che se non fosse stato espresso, avrebbe corroso forse ancor prima Carlo Petrini dall'interno, vittima di una vita già provata dalla morte del figlio diciannovenne, Diego, anch'egli colpito da un mortale tumore al cervello.
E' quella la sua unica certezza: che il calcio gli stia portando via la vita e come a lui a decine di migliaia di altri giovani calciatori che sono pronti a fare di tutto per una fetta di gloria, in mano a persone senza alcuno scrupolo. Eccolo Petrini, quando descrive se stesso:

"Ho tumori al cervello, al rene e al polmone. Ho un glaucoma, sono cieco, mi hanno operato decine di volte e dovrei essere già morto da anni. Nel 2005 i medici mi diedero tre mesi di vita. E’ stato il calcio. Ne sono certo. Con le sue anfetamine in endovena da assumere prima della partita e i ritrovati sperimentali che ci facevano colare dalle labbra una bava verde e stare in piedi, ipereccitati, per tre giorni. Ci sentivamo onnipotenti. Stiamo cadendo come mosche".

carlo petrini last bet

Così Petrini nel suo primo libro del 2000, la sua autobiografia di denuncia "Nel fango del Dio Pallone", raccontò di un calcio falsato dagli interessi dei club e di chi investiva nel business sportivo, senza guardare in faccia nessuno, calpestando i diritti umani dei calciatori, vittime sacrificali per ottenere gli scopi preposti. Nel libro, Petrini scrisse di essere ricorso a pratiche dopanti più volte con la complicità dei medici sportivi, raccontando di un intero sistema-calcio fondamentalmente marcio, che nel libro viene messo sotto accusa, con le partite già decise in anticipo dalle stesse società, i pagamenti in nero, l'estrema bassezza morale del calciatore tipo e, soprattutto, il doping: una Calciopoli infinita.
Si era negli anni 60-70 e le successive morti di ex calciatori, colleghi di Petrini in quel periodo e le improvvise successive malattie di altri (tra cui la SLA) per lui non erano state altro che le prove inconfutabili di quanto aveva scritto e denunciato, venendo allontanato e bandito dallo stesso mondo del calcio che lo riteneva un traditore menzognero.
Un esilio accettato di buon grado da Petrini che mai, al contrario di quando giocava, da scrittore aveva accettato alcun compromesso. Dallo scandalo ‘doping' del suo romanzo iniziale, scrisse altri sette libri tutti di denuncia del mondo del calcio, fino all'ultimo, datato 2010 "Piedi nudi". Tante denunce, accuse, nomi ma mai una querela andata a buon fine, una denuncia per falso o calunnia. Con Carlo Petrini se ne va, di fatto, l'unico vero pentito del calcio italiano proprio in un momento in cui lo scandalo del calcioscommesse promette di dare nuove esemplari pene ai corrotti del calcio del terzo millennio, a 50 anni dai fatti raccontati dal calciatore di Monticiano, ma che poco o nulla si discostano, perchè – come piaceva ricordare allo stesso Petrini – "il marcio nel calcio esiste e sempre esisterà. Che sia condizionato da scommesse e malavita lo sanno tutti. Da sempre. Le scommesse? Nulla è cambiato tranne le pene. Oggi non usano più la mannaia e c’è molta più ipocrisia".

Un lavoro di denuncia e di inchiesta che portò lo stesso Petrini ad interessarsi in tempi non sospetti anche del caso della stranissima e discussa morte del giocatore Donato Bergamini, avvenuta nel 1989, per la quale sostenne sempre la tesi che non era un suicidio ma la vendetta della criminalità locale per un giro di droga. Lo spiegò nelk libro "il calciatore suicidato" nel 2001, lo ripetè in svariate interviste: "Ho letto i giornali dell’epoca, e soprattutto gli atti del processo e ed era evidente che c’erano diverse cose che non andavano, troppe incongruenze, troppe incertezze. “La giustizia è uguale per tutti”, non è vero, non è vero per niente. Non è così, Donato Bergamini di giustizia non ne ha avuta. E, probabilmente, non ce l’avrà mai".
I fatti di questi ultimi mesi, con la riapertura del caso e l'archivio dell'ipotesi di suicidio, stanno dando  ragione a Petrini.
E forse, la parte finale dell'inchiesta "Last Bet" sul calcioscommesse, dimostrerà ancora una volta che Petrini non fosse proprio un semplice visionario come qualcuno ha sempre cercato di farlo passare…

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