Douglas Costa e Benatia, riscatto finale. Donnarumma non è pronto per le grandi
La vincono Douglas Costa e Benatia, la perde Donnarumma. E' la finale delle rivincite e delle conferme in bianconero, del riscatto e dell'esaltazione. Avrebbe dovuto essere, nelle intenzioni, la finale dell'ideale passaggio di consegne fra Donnarumma e Buffon. Ma di ideale, negli errori del portiere rossonero, c'è ben poco. C'è il dubbio su un'immagine costruita e difesa da erede designato e campione predestinato che pesa su una realtà di pesanti smentite.
Paura e identità
L'equilibrio e la tensione annegano le differenze, sfumano la contrapposizione delle idee e delle visioni. La Coppa Italia d'improvviso assume valore, si vede nelle scelte e negli atteggiamenti. La foresta di simboli, di storie e di destini che si incrociano, disegnano una trama da romanzo di formazione. E' la storia di riscatto di Benatia, il più attaccato per il rigore al Bernabeu, per l'errore di posizione sullo stacco di Koulibaly che sembrava aver impresso una diversa direzione al campionato. E' l'affermazione di Douglas Costa, re non solo per una notte. Di Allegri, maestro di cerimonie e costruzioni tattiche contro un allievo promettente ma con molto ancora da imparare.
Donnarumma è davvero pronto per una big?
Allievo e maestro, una contrapposizione che avvicina gli allenatori e i portieri. Buffon ha giocato la prima finale di Coppa Italia con la maglia della Juve. L'unica da titolare l'aveva giocata a Parma. Era il 1999, Michael Jordan ha annunciato il secondo ritiro dal basket e milioni di appassionati nel mondo si sono chiesti, con Neo, se sia meglio la pillola rossa o la pillola blu. Nella matrice di una storia di destini, da pochi mesi era nato Gigio Donnarumma. Il duello a distanza, e per una volta lasciamo stare le facili battute sulla sensibilità e tutto il corollario ormai trito e svuotato, è un passaggio di tempo, in questo tempo sbandato in queste ore, come canta De André, lunghe come costellazioni e onde, spietate come gli occhi della memoria.
E nella memoria restano soprattutto i due errori in successione su Douglas Costa e Benatia. Il tempo della successione è ancora acerbo. La completezza tecnica di Donnarumma non si discute, chiedere per credere a Milik, ma un portiere non è fatto di sole ginocchia colorate di rosso per volare da un palo all'altro.
Douglas Costa sempre più decisivo
In campionato, nell'unica sfida stagionale fra Allegri e Gattuso, Cuadrado e Douglas Costa, che non partivano titolari, hanno deciso la partita. Stasera giocano dall'inizio e benino nel primo tempo mentre Cutrone si spegne alla distanza dopo un inizio incoraggiante. La paura, l'attenzione alle chiusure che travalica il desiderio di proporre testimonia il valore di una finale che vale più di quanto si possa pensare.
Ma nella ripresa la Juve si scioglie e l'ex Bayern, che Allegri ha sguinzagliato sulla fascia di Suso, mossa tattica alla distanza azzeccatissima, si conferma sempre più imprescindibile per aggiungere imponderabilità a una manovra involuta e bloccata nell'ultimo periodo della stagione.
L"anarchico diventato disciplinato esecutore di imprevedibili trame si erge al centro delle migliori azioni bianconere, spalleggiato da Matuidi e dai tagli fuori linea di un Dybala libero di muoversi ma non troppo capace di incidere. Firma il 2-0 ed esce a un quarto d'ora dalla fine per la passerella e una staffetta formale con Bernardeschi.
Questione di risorse
Non è questione di fatturati, ma di risorse. La differenza, per quanto sottile, è un confine da attraversare, un limite e un ostacolo da cancellare. Opzioni, alternative, valorizzazione del potenziale. Kalinic e Borini non sono Higuain e Bernardeschi. E non è certo l'autogol dell'ex centravanti viola a influenzare il giudizio. La stagione della fine di un ciclo, magari di un'anticipata crisi del settimo anno, ha chiamato Allegri a una ricostruzione, una rivisitazione, un leggero ma continuo spostamento della prospettiva. Gattuso, con meno risorse e meno opzioni, più che a cambiare ha pensato a normalizzare. Ogni uomo al suo posto, un posto per ogni uomo. Ha opposto, anche nelle sfide di campionato, la basica e non banale via diretta e diritta alla razionalità delle geometrie complesse.
Il Milan che porta cinque uomini sopra la linea della palla in fase d'attacco prova ad allargare il quartetto difensivo di una Juventus che parte con un formale 4-4-2, si affida e si fida di Kessie e Bonaventura, che però si inceppa in qualche errore di troppo in appoggio nella parte centrale del primo tempo. Chiara l'intenzione di Allegri di sfruttare il sacrificio di Mandzukic per togliere gradi di libertà a Suso e costringere il Milan a una variazione sul tema, a un'improvvisazione nella circolazione del pallone.
Resta nei fatti il primo tempo di una Juve lenta, una questione di sostanza che diventa forma. Rimane il ritratto di una squadra che quest'anno segna più di tutti nei secondi tempi, che fa leva su quel che al Milan manca. Su quel che Gattuso non ha: un centravanti da 20 gol a campionato e una panchina con cui cambiare la storia della finale e della stagone.
La coppa e l'Italia
Non si affrontavano in una finale, Juve e Milan, dalla surreale supercoppa pre-natalizia di Doha. In questa coppa d'Italia, che ha lasciato per un giorno ai capitani il posto dei candidati premier, si specchia una nazione in mezzo al guado. Nel volto tirato di Mattarella, di non nascoste simpatie interiste, con i due capitani si distingue il destino della finale, il futuro di un'Italia del senza. Senza Mondiali, senza governo, senza uscita, senza calcio in tv per l'anno prossimo se non si troverà una via d'uscita dopo lo stop del tribunale al bando Mediapro. "Aiutate l'arbitro" chiedeva Mattarella. Parlava a Buffon e Bonucci perché Salvini e Di Maio intendessero. Due leader che dividono, che esprimono l'identità di una nazione che si unisce solo contro qualcuno e per questo non riesce a uscire dallo stallo attuale, anzi. Nelle parole di Buffon che si sveglia, si guarda e non si riconosce, non sa se è il più forte o il più infame, si specchia un'Italia che si raccoglie intorno al suo passato, intorno alla più resistente delle spaccature: juventini e anti-juventini. In Bonucci, e per certi versi in Gattuso, si specchia un'anima movimentista, utopista e con una base di realtà. Due italie in frantumi di specchi.