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Diritti tv, legge Melandri: pronta la riforma per una Serie A più equa

La proposta di riforma promette di portare al 50% la quota suddivisa in parti uguali. Già da quest’anno, poi, saranno raddoppiati i fondi paracadute per chi scenderà in Serie B. Sullo sfondo, però, restano gli intrecci legati al ruolo di Infront.
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Il Governo si muove per un calcio più equo. Manca poco ormai alla presentazione della riforma della legge Melandri proposta da due deputate del Pd, Lorenza Bonaccorsi e Daniela Sbrollini (responsabile sport e welfare del partito). L'obiettivo è di rendere il meccanismo di redistribuzione dei proventi dei diritti televisivi in Serie A un po' meno squilibrato. In sostanza, la quota suddivisa in parti uguali fra tutte le squadre è destinata a salire dal 40 al 50%, e di conseguenza i bacini d'utenza e i risultati dovrebbero pesare per il 25 e non più per il 30%. La riforma avvicinerebbe il calcio italiano al modello Premier League, ma rimane forte l'impressione, ancora una volta, di un passo avanti frenato da compromessi e rendite di posizione.

In cosa consiste la riforma – Con la legge attuale, i 924,3 milioni che la Lega ha incassato per i diritti tv del campionato vengono così divisi: 40% (circa 370 milioni) in parti uguali ai club, che ricevono18,4 milioni a testa. Un altro 30% viene versato alle società in base al bacino d’utenza, sulla base di indagini demoscopiche mai rese pubbliche, il restante 30% in base ai risultati sportivi. Ma non solo quelli del campionato in corso. Da quest'anno, poi, con il nuovo accordo, le squadre si spartiranno ulteriori 117 milioni di euro: 40% (47 milioni) in parti uguali, il 60% alle prime dieci escluso il milione a testa che andrà dall’undicesima alla diciassettesima classificata. Delle tre fasce in cui si articola il meccanismo di redistribuzione dei proventi, quella dei risultati va più di tutte nella direzione delle grandi società e delle rendite di posizione. L'esito dell'ultima stagione, infatti, pesa solo per il 5%; un altro 15% si determina in base ai risultati ottenuti dal club nel quinquennio precedente e l'ultimo 10% dipende dalla tradizione sportiva, ovvero i risultati ottenuti dal club a partire dal 1946-47. Con la modifica prevista, la quota suddivisa in parti uguali salirebbe a 462 milioni, per cui le squadre riceverebbero tutte 23,1 milioni a testa. In questo modo, il rapporto fra chi incassa di più (la Juventus) e chi guadagna di meno (il Frosinone) passerebbe da 4.6:1 a 3.6:1. La riforma andrebbe a innegabile vantaggio delle medio-piccole. Dalle prime simulazioni, emerge che 13 squadre si ritroverebbero con più ricavi rispetto al sistema attuale. In perdita solo Juventus, Roma, Inter, Milan, Napoli, Fiorentina e Lazio.

La simulazione della spartizione dei diritti tv della Serie A 2015-16 - Fonte: Gazzetta dello sport
La simulazione della spartizione dei diritti tv della Serie A 2015-16 – Fonte: Gazzetta dello sport

Fondi paracadute – Intanto, a febbraio, la Lega ha approvato per la stagione in corso una delibera che raddoppia la disponibilità massima dei fondi paracadute per le squadre che retrocedono in Serie B fino a 60 milioni. La delibera prevede di assegnare 25 milioni di euro per squadre che sono da almeno 3 anni in serie A, 15 per chi è in A da due, 10 per chi ha giocato solo una stagione nel massimo campionato prima di retrocedere. La riforma, però, non piace molto al presidente della Lega B, Andrea Abodi. Con questi soldi, infatti, la squadra neo-retrocessa sarebbe molto più ricca delle altre società di B, con una evidente sperequazione che potrebbe falsare il campionato.

Un paracadute non basta – Tuttavia, per quanto riguarda i conti delle singole squadre, la retrocessione continua a rimanere davvero poco conveniente, nonostante il paracadute raddoppiato. Delle cinque squadre che attualmente lottano per la salvezza, in caso di retrocessione Udinese e Atalanta rischiano di perdere rispettivamente 8,5 e 6,7 milioni, Carpi e Frosinone ben più di 10. In caso dovessero retrocedere entrambe le due neopromosse, il Verona riceverebbe non solo i 25 milioni che gli spettano essendo in A da più di tre anni, ma anche i 15 che avanzerebbero dalla distribuzione dei sessanta milioni di fondi paracadute. Una situazione che allontana ancora di più l'ipotesi di riforma dei campionati e il ritorno della Serie A a 18 squadre.

Un passo avanti – La proposta di riforma è un passo in avanti nella direzione di un maggiore equilibrio competitivo. E il competitive balance non è più un optional, anche se le big per anni hanno continuato a difendere ricchezze acquisite e rendite di posizione. Perfino in un campionato lasciato all'iniziativa individuale e condizionato da un duopolio di fatto come la Liga spagnola, il Barcellona ha promosso il passaggio alla contrattazione collettiva e a un regime più equo. E la ricetta vincente della Bundesliga, l'unico dei grandi campionati europei che abbini successo sportivo e sostenibilità economica, passa anche per un meccanismo equilibrato di suddivisione dei diritti tv, oltre all'obbligo per le società di riservare quote di maggioranza ai propri tifosi.

Aspetti critici – Tuttavia, la riforma è un passo avanti ancora parziale, che manterrà la forbice tra chi incassa di più e chi guadagna meno molto più elevata rispetto a quanto accade in Germania o nella Premier League inglese. In un contesto come la Serie, dove i guadagni da diritti televisivi rappresentano una frazione consistente degli introiti complessivi di una squadra, la lega dovrebbe cercare di agire anche come elemento riequilibratore tra le varie fonti di guadagno e scegliere un meccanismo di distribuzione maggiormente basato sulle prestazioni attuali. Lo sottolinea anche l'avvocato Massimo Rossetti, responsabile dell'area giuridico legale di Federsupporter, riprendendo anche la nota inviata al Parlamento nel 2013 dall'allora presidente dell'AGCOM, Giovanni Pitruzzella. Nel documento si evidenzia “l’esigenza di modificare le norme in vigore nel senso di dare vita a un meccanismo che premiasse il merito, cioè i risultati sportivi conseguiti, piuttosto che incoraggiare e premiare le rendite di posizione costituite dai bacini di utenza e dai risultati sportivi storicamente conseguiti nel tempo”. Con la formula attuale, invece, gli incentivi alla vittoria risultano drasticamente ridotti. Il parametro della storia del club avrebbe potuto magari essere mantenuto solo nella prima stagione dall'entrata in vigore della legge, per aiutare la fase di transizione. Incentivare le prestazioni premiando solo il rendimento nell'ultima stagione avrebbe reso il principio egualitario alla base della legge, e avrebbe stimolato maggiori investimenti da parte dei presidenti, anche delle squadre medio-piccole. Ma così si sarebbe creata una spaccatura forse insanabile tra i grandi e i piccoli club. Un rischio che bisognava evitare.

Il ruolo di Infront – Sullo sfondo rimane il ruolo di Infront. La legge Melandri, infatti vieta qualsiasi collegamento tra l'advisor scelto e le singole società. Ma Infront, come abbiamo avuto modo di sottolineare più volte, mantiene rapporti commerciali con diverse squadre di Serie A e da quest'anno cura la produzione delle immagini della cosiddetta regia internazionale di tutte le partite del massimo campionato. Inoltre, anche in linea di principio, in presenza di un venditore unico, la Lega Calcio, che commercializza il prodotto Serie A, e di due acquirenti che operano in regime di monopolio sulle rispettive piattaforme come Sky e Mediaset, è difficile comprendere cosa ci sia esattamente da intermediare o da consigliare. E l'esito poco chiaro dopo il bando di concorso della scorsa estate diventa un rischio quasi inevitabile. Ma questa Serie A, che perde terreno nel ranking Uefa ed è sempre meno attraente per i grandi campioni, non può più permettersi certi rischi e certe derive.

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