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“Dino, Roberto… tutto molto bello”. Auguri, Pizzul. La voce del calcio fa 80 anni

Compie ottant’anni Bruno Pizzul, la voce della nazionale per oltre trent’anni. Ha raccontato con garbo e raffinatezza, senza prendersi troppo sul serio, un calcio che non c’è più. Un’epoca che si concedeva anche il tempo per l’imprevedibilità e il bel gesto.
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La voce di un calcio che non c'è più. Un calcio in cui poteva essere “tutto molto bello”, in cui calciatori calciatori e cronisti giocavano a carte insieme, e un “Dino… Roberto… Dino” non stonava al centro del racconto. Il calcio di Bruno Pizzul, “the voice” della nazionale per oltre trent'anni, accompagnatore garbato e ricercato di una stagione che non tornerà più.

Ha giocato da centromediano a Catania, Ischia e Udine

Erano gli anni in cui il Foggia, in serie C, poteva sfidare in amichevole il Real Madrid. A raccontare un evento oggi impossibile quella stessa voce che da Messico '70 scandiva le grandi partite dei Mondiali, degli Europei, delle coppe. Quel calcio, racconta a Nicola Cecere della Gazzetta dello Sport, “si muoveva su ritmi più conciliabili con l’estro, l’imprevedibilità e quindi produceva quasi sempre spettacolo”. E il racconto a quel ritmo si piegava, a quel ritmo si asserviva, tanto in radio, con il ritmato funambolismo di Ameri e la ricercatezza jazzistica di Sandro Ciotti, quanto in tv, laddove il garbo e la poesia del gesto bastavano, senza troppe sovrastrutture.

“Tutto molto bello”, dunque, come nel suo tormentone più celebre, come le montagne che accompagnano il panorama di Cormons, dove come nelle migliori storie di calcio l'inizio è un po' casuale, con le curve della memoria virate seppia e il forte rimpianto di un aprile giocato all'ombra di un cortile.

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Aprile diventa maggio e nel 1945 porta 40 giorni di terrore sotto la minaccia di Tito, porta le famiglie a spaccarsi nel sospetto e nel rancore, pro o contro la Jugoslavia. Don Rino Cocolin, futuro arcivescovo di Gorizia, unisce i ragazzi, e pacifica le famiglie, con un pallone scucito. Lo custodiscono i più grandi, tifosi della Juve. Il piccolo Bruno, per reazione, parteggia per il Grande Torino di Valentino Mazzola.

Dall'oratorio al liceo, alla laurea in giurisprudenza e ai campi della Serie A, centromediano metodista al Catania, il percorso sembra segnato. Scivola verso il suo destino, verso dieci stagioni ad alto livello fra la Sicilia, Ischia e l'Udinese, dove tiene a battesimo gli inizi dell'amico Dino Zoff, con la naturalezza con cui attraverserà per anni Milano in bicicletta, fino alla sede Rai di corso Sempione.

Partecipa per caso al concorso per radio-telecronisti

È un'altra sliding doors in una vita che pare una sceneggiatura. Insegna italiano e latino alle scuole medie, ha l'abilitazione anche per diventare docente di filosofia, e va a Roma per un concorso da programmista in Rai. Paolo Valenti riconosce quel centrocampista così alto, col fisico buono per la pallavolo, e lo orienta verso il corso di preparazione professionale per radiotelecronisti. Ci sono anche Bruno Vespa, Angela Buttiglione e Paolo Frajese, che darà un'insuperata lezione di equilibrio e uso del piano sequenza a via Fani, rischiando anche di calpestare i bossoli, a minuti dal rapimento di Aldo Moro: si accorge subito che i cappelli sulla scena sono solo simili a quelli dell'Alitalia ma con gradi diversi. Lo stesso equilibrio che Pizzul terrà nella sera più difficile, durante la tragedia dell'Heysel e la successiva, surreale, finale.

A Milano divide la stanza con Carlo Sassi e Heron Vitaletti, che porteranno per primi la moviola alla Domenica Sportiva, e un affabulatore seriale, sempre sul filo del rasoio, Beppe Viola, che il giorno della prima telecronaca, Juventus-Bologna sul neutro di Como, aprile 1970, lo porta a pranzo fuori. Il pranzo si allunga, caffè, ammazza-caffè, una chiacchiera tira l'altra e la Brianza in coda fa il resto. Pizzul, che è allo stadio dalle 10, arriva tardi. Ma allora veniva trasmesso solo un tempo, e per di più in differita: non se ne accorge nessuno.

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Racconta il calcio, rispecchia un'epoca

Era un calcio diverso, per cui bastava una telecamera in campo largo per mostrare gli sviluppi dell'azione e una per i primi piani, in cui il racconto diventava tappeto emotivo, seguiva l'azione, senza sovrapporsi, lasciando parlare il gesto. Pizzul è la voce di tutti, è lo sguardo di chi guarda da casa, traduce in parole un'emozione collettiva, il senso di un'epoca. “Va Serena a tirare dal dischetto…” annuncia prima di un silenzio lungo e pesante, di un ricordo che diventa dolore sportivo. “L’Argentina è finalista della Coppa del Mondo. Sono immagini che non avremmo mai voluto commentare”. E vale non solo per lui.

Amico di Rivera, aveva un debole per Sivori che riuscì anche a marcare abbastanza bene. L'angelo dalla faccia sporca, racconta Pizzul a Massimiliano Catellani su Avvenire, “una sera si presentò alla Domenica Sportiva con una foto in mano chiedendomi meravigliato: ‘Bruno, ma questo eri tu? Quanti tunnel ti feci?'. E io: ‘Se è per questo neanche uno'. E il solito Sivori concluse: ‘Se lo sapevo che diventavi Pizzul il giornalista te ne avrei fatti 40 di tunnel'”.

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Amico di Rivera, apprezza Roberto Baggio

Adora soprattutto Baggio. Di lui lo conquista la vocazione a divertire e divertirsi, nonostante tutto, anche quando tutto sembra perduto, come al minuto 88 di un Italia-Nigeria che sta per segnare la fine del percorso azzurro a Usa '94 e forse dell'era Sacchi in azzurro. “Sono più vispi, sono più pronti, più motivati, moralmente più a posto i giocatori della Nigeria. Finiamo in un clima sconfortante” declama un Pizzul scorato. “Ancora una iniziativaaaa, attenzioneeee, la palla per Roberto Baggio e gooooool di Roberto Baggio”.

Riprende vigore in un attimo, come l'Italia che nel segno di Baggio si illumina e si distrae mentre Berlusconi cambia i vertici Rai e, durante la semifinale contro la Bulgaria, vara un condono fiscale, uno per le imprese coinvolte in Tangentopoli dalla legge Merloni del 1993, e il decreto Biondi, poi ritirato, per proibire la custodia cautelare in carcere dei colletti bianchi.

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"Occuparsi di calcio era un gioco nella sfida più grande, la vita"

È un viaggio, quello di Pizzul, che sempre torna in quella sua terra di emozioni forti e discrete, di fragilità carsiche nascoste da un involucro di roccia, di gioie semplici, come un bicchiere di vino e una partita a scopa d'assi (dieci carte a testa, asso pigliatutto) con Fabio Capello, quando può l'estate.

Affronta così tutta la sua carriera, con l'unico consiglio di Nicolò Carosio a scandire i tempi di chi non si prende mai troppo sul serio. “Fatti sempre vedere con un bicchiere di vino o di whisky in mano, perché quello del telecronista è un mestiere in cui prima o poi l’errore lo fai, e se è grave, allora potrai sempre dire di aver bevuto”.

Attraversa, come raccontano Massimo De Luca e Pino Frisoli nel bel libro Lo Sport in tv, due tappe a loro rivoluzionarie del calcio da poltrona, del gioco più bello del mondo che come nessun altro spiega il mondo. Sempre a Como, lo stadio delle prime volte, mercoledì 9 marzo 1977 racconta Italia-Lussemburgo under 21, la prima diretta a colori di una partita di calcio sulla tv italiana. Il 6 novembre è a Brescia per il primo esperimento di Diretta Sport, che mostra i gol della Serie A alla fine dei primi tempi, un esperimento durato un anno solo.

Oggi il racconto dello sport passa per un'enfasi e una quantità più alta di conoscenze, aneddoti, per un pubblico che di calcio ne vede e ne sa molto di più. E qualcosa perde, come racconta Pizzul ad Avvenire. Gli mancano, dice, “tutti quelli che come me hanno avuto il privilegio di occuparsi di calcio, convinti che in fondo fosse solo un gioco dentro quella sfida più grande che è la vita”. Tutto molto bello.

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