Dieci anni dopo Berlino: d’azzurro ci hanno tolto anche la speranza
Dieci anni dopo l'Italia ha trovato un singulto d'orgoglio tra un vuoto e l'altro durati due lunghi lustri. In un Europeo dove partiva sfavorita la nostra Nazionale ha provato a far sognare i propri tifosi. Ma la magia non si è compiuta: a svegliarci – questa volta – è stata la Germania che ci ha destato dal dischetto dei rimpianti facendoci ripiombare nella plumbea realtà di una Nazionale ancora ostaggio di se stessa e di un movimento che le fa pagare pegno in modo salato, con una politica che esclude i giovani, predilige l'esterofilia e condanna i vari ct ad inventarsi soluzioni estemporanee senza costrutto. Mentre le altre nazionali hanno saputo rigenerarsi, tenersi a galla nel maremoto dei cambi generazionali, pianificando e progettando a lunga scadenza.

La Germania, progetto a lunga scadenza
E' il caso della Germania che proprio 10 anni fa bastonavamo a casa loro, proiettandoci alla finale di Berlino. Una Germania che con quella di oggi non ha nulla o quasi a che fare. Ma che era la base di quella che avrebbe trionfato in Brasile, quattro anni dopo umiliando l'Argentina. Sapendosi però sempre evolvere, in una linea di continuità che ha pagato e molto. Nel 2006 e nel 2014 tra campo e panchina c'erano Lahm, Schweinsteiger, Mertesacker, Klose, Podolski: una spina dorsale che pian piano ha fatto crescere i campioni del mondo come Neuer, Goetze, Boateng, Hummels, Muller, Kroos, Ozil tutti oggi perni titolari con Loew a Euro2016. In un ricambio generazionale sulla scia della continuità.
La Francia, il nuovo che avanza
Ed è il caso anche della Francia che nel 2006 arrivò in finale a Berlino e oggi è ancora in finale, negli Europei casalinghi per sfidare il Portogallo a Parigi. Altro esempio di chi ha saputo rinnovarsi, dando spazio a nuovi talenti, a nuovi giocatori, facendoli crescere e seguendoli passo per passo in un processo che oggi conferma come il calcio dei Blues è tra quelli che può vantare maggiore continuità. Nel caso dei transalpini dalla finale del 2006 a quella del 2016 undici undicesimi sono cambiati. Quella in Germania era una Nazionale che stava per chiudere il proprio ciclo con la generazione degli Henry, Zidane, Vieira, Trezeguet. Oggi, la Nazionale di Deschamps verte sui Greizmann, Giraud, Payet, Kantè, Pogba: tutti talenti under30 che possono riaprire un ciclo vincente.
L'azzurro stinto
E l'Italia? Non ha saputo rinnovarsi ed è evidente. Oggi come dieci anni fa ci sono i vari Barzagli, De Rossi e Buffon ancora in campo. Si è rischiato di rivedere Totti dopo uno straordinario finale di stagione con la Roma. Siè imprecato per la mancata convocazione di Pirlo, ma soprattutto si è vista un'Italia mediocre, tecnicamente priva di talento e senza nemmeno la giustificazione di aver inserito nuovi giovani a far gavetta o esser figlia di un progetto appena nato. Perché i vari Sturaro, Parolo o Ogbonna non saranno di certo elementi su cui costruire qualcosa in azzurro.
Quel che resta di un sogno
Cosa ci rimane? Al momento il nulla. Un commissario tecnico che ha già dato da tempo le dimissioni e che lascia una Nazionale che aveva appena appreso la lezione più importante: seguirlo sempre e comunque. Una squadra con tanti vecchietti che tengono duro ma senza i ricambi generazionali alle porte che fanno prevedere altri anni di buio totale. Un movimento che bistratta costantemente l'Azzurro, relegandolo ad un ruolo secondario senza progettazione seria sui vivai e a tutela dei talenti autoctoni. E senza una colonna vertebrale federale che garantisca continuità. Ieri Campana, oggi Tavecchio. Ieri Donadi, Lippi, Prandelli, Conte – tanti ne sono passati in 2 lustri – oggi Ventura. Domani, chissà.
