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De Rossi e la Roma tirano fuori il calcio italiano dal bidone della spazzatura

Le parole di Daniele De Rossi e la bella avventura della Roma in Champions sono uno spot per un calcio italiano che, al momento, non esiste e non ha un progetto comune; che chiede rispetto e strumenti al passo coi tempi (il Var) ma non piange; che preferisce parlare di “orgoglio e romanismo”; che dice “torneremo per vincere” piuttosto che urlare in maniera sguaiata contro gli arbitri.
A cura di Maurizio De Santis
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Il calcio italiano dovrebbe alzare la voce e farsi sentire, dicono il direttore sportivo Monchi e il presidente Pallotta dopo la beffa in Champions nel doppio confronto con il Liverpool. Sia chiaro, la squadra di Jurgen Klopp ha meritato il passaggio in finale e attaccarsi (solo) alle polemiche arbitrali non sarebbe giusto né saggio a causa degli errori (o peccati veniali, se volete) commessi dai giallorossi nei momenti cruciali del doppio confronto. Però, a giudicare da quanto accaduto alla Juventus e al Bayern Monaco (che hanno nel Real Madrid il comune denominatore della discordia) e adesso alla Roma ci sono segnali che la Uefa non può ignorare serbando ostinata reticenza nei confronti del Var e dell'ausilio tecnologico.

Se la frequenza di episodi discutibili aumenta, alimentando la percezione dell'errore umano, fino a quando si può osteggiare l'introduzione di uno strumento che aiuterebbe sicuramente a dirimere i casi più clamorosi (dal fuorigioco al fallo di mano)? Fosse stato adottato al Santiago Bernabeu come ad Anfield Road o allo Olimpico avrebbe (forse) cambiato il corso delle gare rendendo giustizia ai protagonisti di una competizione che – a partire dall'anno prossimo – muoverà ancora più soldi rispetto al passato. Milioni di euro: motivo sufficiente per chiedere regole che siano al passo coi tempi e coi cambiamenti di una disciplina in costante evoluzione; una maggiore tutela dei propri investimenti e dello spettacolo offerto; una maggiore (e migliore) professionalità.

In Champions la Roma, più della Juventus, è stata penalizzata dalle decisioni arbitrali. Eppure a fine partita, durante le interviste in tv, Daniele De Rossi (che non è certo uno stinco di santo) ha usato un tono differente per commentare quanto accaduto rispetto alla rabbia incontrollata e sguaiata di Gigi Buffon. "Orgoglio e romanismo. Torneremo per vincerla – ha detto il capitano giallorosso -. Abbiamo riportato la gente dalla nostra parte e bisogna ripartire da questo". E quando gli chiedono dei rigori negati alla sua squadra aggiunge: "Pesa tutto, pesa l’andata. Siamo andati in bambola e abbiamo sempre reagito… i rigori? li devi sempre segnare". Tutt'altra cosa rispetto al "bidone della spazzatura al posto del cuore" urlato dal portiere juventino. Un bell'esempio, uno spot per il calcio italiano.

Il calcio italiano… questa entità astratta nemmeno fosse una categoria dello spirito da evocare con sedute medianiche. Il calcio italiano, almeno per il momento, non esiste, non ha una forma definita e nemmeno dei vertici che siano in grado di assicurare un progetto condiviso e un orizzonte da andare a scoprire, un obiettivo comune e una Nazionale. Il calcio italiano – per adesso – insiste su emozioni, entusiasmo, coraggio e passione scaturiti dall'impresa della Roma che, partita in terza fascia nel girone di Champions, è arrivata a un passo dalla finale; dal consenso suscitato dal gioco europeo proposto dal Napoli di Maurizio Sarri; dalla forza della Juve di andare a prendere per le orecchie i campioni d'Europa a casa loro; dalla capacità di cogliere l'attimo, rialzandosi in fretta e lasciando alle spalle l'infamia della mancata qualificazione al Mondiale; dalla perizia di dirigenti che, pur senza disporre di grandi capitali (James Pallotta come Aurelio De Laurentiis), riescono a rigenerarsi e a proporre un modello d'impresa possibile tirando il calcio italiano fuori dal bidone della spazzatura.

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