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Da Brio a Dacourt: cinque Roma-Juventus che hanno fatto la storia

Per “Il calcio fa bene alle ossa” riviviamo cinque sfide memorabili disputate a Roma: dal 5-0 da film a Campo Testaccio al successo bianconero dello scudetto 1973. Dai duelli degli anni Ottanta al centro di Dacourt nel 4-0 del 2004.
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Roma e Juventus si affrontano per la prima volta, all’Appio, il 13 novembre 1927. La sfida è già molto sentita: i bianconeri, campioni d’Italia, vantano una difesa fortissima, con il portiere Combi e il marcatore Rosetta, protagonista di uno dei primi scandali del calciomercato per il trasferimento dalla Pro Vercelli, applauditissimi a fine partita anche dai tifosi della Roma. Contrariamente ai pronostici, i giallorossi strappano lo 0-0 che li premia, scrive l’inviato de La Stampa, “per il fervore che i suoi uomini hanno messo in tutti i 90 minuti”. È l’inizio di una storia fatta di grandi sfide, di duelli leggendari e di polemiche. Ne abbiamo scelte cinque tra le più rappresentative che si siano disputate nella capitale.

Cinquina da film – Bisogna aspettare poco per la prima lotta scudetto. È una stagione storica il 1930-31. La Juve apre il quinquennio d’oro con la presidenza di Edoardo Agnelli e Carcano in panchina. Nessuna società, sottolineava il fondatore di Tuttosport, Renato Casalbore, “è tanto aderente alla sua squadra come la Juventus: probità, tenacia, scaltrezza, soprattutto serietà. I giocatori arrivano alla Juventus col bagaglio dei loro difetti e delle loro virtù: dopo due mesi sono livellati. La ‘Juventus’ che non fabbrica in serie gli atleti ne fa dei giocatori di serie”. La Roma di mister Herbert Burgess, ospita i bianconeri a Campo Testaccio alle Idi di Marzo di quel 1931. è il giorno del 5-0, la vittoria più larga nella storia dei giallorossi contro i bianconeri, con tanto di doppietta di Fulvio Bernardini, cui è intitolato l’impianto di Trigoria, allenatore del Bologna dell’ultimo scudetto che giocava come solo in Paradiso.

Sugli spalti c’era anche la troupe di Mario Bonnard per quello che diventerà il film “Cinque a zero”, commedia con Angelo Musco che ha per protagonista il presidente di una squadra preoccupato della liason fra il suo capitano e una cantante di varietà: nel cast anche veri calciatori come Masetti, Ferraris IV e lo stesso Bernardini. La Juve avrebbe comunque vinto il primo dei suoi cinque scudetti di fila e si sarebbe avviata a diventare la squadra d’Italia. “La Juventus gioca bene, vince sempre e non è né lombarda, ne emiliana, né veneta, né toscana: appartiene a una regione che ha innervato l'esercito e la burocrazia nazionali: di quella regione il capoluogo è stato anche capitale d'Italia” scriveva Gianni Brera. “Nessuna città periferica aveva contratto odii nei suoi confronti, all'epoca dei Comuni”.

1973: ultima da brividi – La Juventus arriva all’ultima giornata del campionato 1973 a 43 punti, come la Lazio, a una lunghezza dal Milan capolista, che cerca lo scudetto della stella in quella che diventerà la Fatal Verona. I bianconeri di Vycpalek, proiettati alla finale di Coppa Campioni contro l'Ajax di Cruijff, scende all’Olimpico contro la Roma con una formazione molto offensiva: Haller, Causio, Anastasi, Capello e Bettega tutti in campo, tutti insieme, con Furino e Morini a coprire loro le spalle. “Questa mattina ho avuto un presentimento” racconterà alla Stampa il capitano Sandro Salvadore, che non ha potuto giocare all'Olimpico per una distorsione alla caviglia rimediata nella gara con l'Inter. “Avremmo conservato lo scudetto. Non so spiegare cosa ho provato. Ma se qualcuno mi avesse proposto di scommettere sulla squadra che avrebbe vinto lo scudetto avrei puntato con sicurezza sulla Juventus”.

Eppure, l’inizio è tutto della Roma, che però non sblocca nonostante la forte pressione del primo tempo. Ma al minuto 87, mentre Ameri commenta il 5-3 del Verona al Milan, Sandro Ciotti lo interrompe dall’Olimpico con lo storico “Scusa Ameri”. Ha segnato Cuccureddu, che ha stampato un sinistro letale sotto la traversa. Un minuto dopo Damiani porta in vantaggio il Napoli sulla Lazio. È il quindicesimo titolo bianconero. “Non ricordo neppure con quale piede ho calciato — dice il "jolly" di Alghero — ma che importa? Ho segnato un gol che significa Io scudetto. E' l'unico gol che ho fatto in questo campionato. Segno soltanto i gol che contano”. L’Ajax poi vincerà la Coppa Campioni ma rinuncerà a giocare l’Intercontinentale. Così la Juve sfiderà l’Independiente sempre all’Olimpico. Cuccureddu ha l’occasione di decidere anche quella sfida, ma la sua botta su rigore finisce alta: a un minuto dalla fine, Bochini infila il gol decisivo e porta la coppa in Argentina.

Scudetti e mastini – Nell’anno dello scudetto giallorosso, del successo di Liedholm e di Dino Viola che fa uscire la Roma dalla prigionia del sogno, la Juventus vince entrambi gli scontri diretti. L’andamento è simile: giallorossi sempre in vantaggio e sempre rimontati nel giro di pochi minuti. La sfida dell’Olimpico è ormai storia. Colpo di testa di Falcao a illudere l’Olimpico, prima della punizione magistrale di Platini, che pennella in area il cross verso il meno atteso degli uomini d’area bianconeri, Sergio Brio. A fine partita, Giampiero Galeazzi con la troupe della Rai lo aspetta all’ingresso del tunnel che porta agli spogliatoi. Sul tartan della pista di atletica, però, ha un incontro ravvicinato con il cane alsaziano di un poliziotto. “'La partita era finita, c'era questo cane vicino a me al guinzaglio col poliziotto – ha raccontato di recente -, mi azzanna e io mi chiedo: e come me lo stacco? Gli ho dato una tacchettata. Il problema furono le vaccinazioni del cane, e ci penso' il povero dottor Laneve. Il cane era al guinzaglio, ma il poliziotto non si scusò mai, c’aveva quel foulard giallorosso…”.

Lo strip di Pruzzo – Tre anni dopo, il 16 marzo 1986, le tribune dell’Olimpico si riempiono di strisce giallorosse in una coreografia perfetta, avviata da uno sbandieratore con il vessillo svedese a dare il segnale al centro del campo. È l’accoglienza per la Roma di Eriksson che si prepara all’ennesima sfida contro la Juventus, staccata di cinque punti in classifica. Ma i tifosi sognano l’impresa, l’aggancio, il sorpasso, lo scudetto. Dopo 3’, i giallorossi già passano in vantaggio con Graziani, che si muove senza sosta fra centrocampo e attacco e mette in crisi Cabrini. Ma è al minuto 28 che la partita passa alla storia. Cross di Ancelotti dalla destra, Tacconi non esce, Pruzzo stacca e schiaccia di testa per il 2-0. E corre, corre verso la curva Sud e si toglie la maglia.

La rotea in aria come un lazo da cowboy, come un’insegna di vittoria, come la sciarpa di uno dei tifosi che gli tributano l’ideale abbraccio ebbro di gioia. In Italia, un’esultanza così non si era mai vista. È un gesto del tutto improvvisato, ha sempre raccontato l’attaccante, che in effetti, una volta sfilata la maglia giallorossa col numero 9, mostra una semplicissima canottiera bianca. Negli anni, abbonderanno invece messaggi di ogni tipo. La Roma viaggia con due marce in più rispetto a una Juve mortificata, soprattutto a centrocampo dove Manfredonia e Bonini non riescono ad arginare l’ex Boniek, dominatore per slancio e dedizione. Il polacco manca un paio di occasioni, e nel finale arriva anche il tris firmato Cerezo. Ma quella resterà comunque per sempre la partita dello “strip” di Pruzzo e di un’esultanza destinata alla storia.

Quattro e a casa – Chissà se Olivier Dacourt avrà pensato alle prese in giro di Antonio Cassano. “Hai il tiro dello 0-0” gli diceva, che tradotto vuol dire “Non segni mai!”. Ha scelto una delle partite più importanti per i suoi tifosi per piazzare il suo primo gol in giallorosso, nel 4-0 alla Juve dello sfottò di Totti a Tudor trasformato a Roma in una maglietta cult. A Torino, Michel Platini, Marcello Lippi e Del Piero. “Non sono mica pazzo. Se ho fatto quel gesto – ha detto il capitano giallorosso nei giorni successivi ai microfoni della trasmissione Rai, Dribbling – avevo i miei motivi. Lo so io, e lo sa anche Tudor…”. Negli anni successivi, comunque, la Juve si prenderà la rivincita con gli interessi, a suon di goleade.

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