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Cos’è la garra charrua? Ce lo insegna Oscar Tabarez, il ct più forte della malattia

Il Maestro, Oscar Tabarez, ha rinnovato il contratto da ct dell’Uruguay fino al 2022. Non l’ha fermato nemmeno la sindrome di Guillain-Barré, la malattia neuro-degenerativa per cui ai Mondiali ha diretto gli allenamenti in carrozzina e seguito le partite appoggiato a una stampella. Più forte della patologia, ha cambiato il sistema calcistico nazionale dal 2006. “Se oggi il mondo rispetta l’Uruguay è merito suo” ha detto Muslera. Per Tabarez il calcio è uno strumento di cambiamento sociale. Il segreto del successo, spiega, è nel rapporto con i giocatori.
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Orientali, la Patria o la tomba, Libertà o morire con gloria!”. C'è lo spirito di una nazione. L' incastonata fra i giganti d'Argentina e Brasile, l'Uruguay, nel primo verso dell'inno nazionale. C'è il filo rosso di una storia che continua fra le parole di Francisco Acuña de Figueroa e il Maestro che ha dato nuova forma alla Celeste. “Non sto bene ma lotto. Ogni sfida mi tiene vivo”, dice Oscar Tabarez, che ha rinnovato il contratto da allenatore dell'Uruguay fino al 2o22. "Siederò sulla panchina dell'Uruguay fino a quando Dio me lo permetterà" diceva il ct che ha guidato una nazionale più di qualunque altro allenatore nella storia del gioco. Più forte della malattia, non l'ha fermato nemmeno la sindrome di Guillain-Barré, la malattia neuro-degenerativa per cui ai Mondiali ha diretto gli allenamenti in carrozzina e seguito le partite appoggiato a una stampella.

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Il cammino è la ricompensa

Tabarez è l'emblema silenzioso della Svizzera del Sudamerica, una delle nazioni con il più alto tasso di alfabetizzazione e il più basso livello di corruzione, che si specchia nel maestro elementare diventato spirito guida della rinascita. “Il cammino è la ricompensa” spiega in una delle frasi celebri che racchiudono il Tabarez-pensiero. Ha insegnato nelle scuole elementari nei barrios disagiati di Montevideo, e dai bambini ha avviato la sua rivoluzione culturale. “Spieghiamo ai ragazzi di 12-13 anni che devono salutare, ringraziare il magazziniere o il cameriere che porta via i loro piatti” diceva in un'intervista televisiva di qualche anno fa.

Ha dato un principio, il rispetto, che si è fatto progetto e ha restituito alla Celeste il rispetto del mondo. “Tabarez ha portato il grande cambiamento di cui l'Uruguay aveva bisogno” ha ammesso Wilmar Valdez, ormai ex presidente della federazione che a luglio ha ritirato da favoritissimo la candidatura per la rielezione per motivi personali: un rivale, Alberto Del Campo, lo terrebbe sotto scacco perché in possesso di file audio compromettenti.

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Senza perdere la tenerezza

L'eredità di Tabarez non si estingue sul grande prato verde dove nascono speranze. Perché il calcio, per il Maestro, è più di quello che succede in campo. È un guevarista, ha chiamato sua figlia Tania come la compagna del Che ne osserva il motto riprodotto sulle pareti di casa. Si è indurito senza perdere la tenerezza, Tabarez, deciso a fare del calcio un fattore di cambiamento sociale. “Sono un uomo di calcio ma capisco che ci sono cose più importanti del calcio” ha detto, come riportava un dettagliato profilo sull'Indian Express di luglio. “Lo sport, però, può aiutare in molti aspetti. Può contribuire alla salute e all'istruzione, due fattori che usiamo per misurare lo sviluppo di una nazione oltre alla ricchezza. Il calcio dovrebbe aiutare a includere le persone marginalizzate nella società, dovrebbe contribuire a fornire uguali opportunità e a combattere la stupidità”.

Tabarez, che dice quel che pensa e fa quel che dice, ha chiamato il grande giornalista e scrittore Eduardo Galeano a parlare ai giocatori al suo esordio da ct della nazionale nel 1988. Dalle pareti dello spogliatoio riecheggiavano Dostojevskij e Victor Hugo, ma non è solo con la bellezza che il Maestro ha salvato il mondo.

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Il mito fondativo della Garra Charrúa

Ha lasciato la Celeste dopo l'ottavo di finale di Italia '90, ha lasciato una nazionale corta e stretta che immobilizza e soffoca gli avversari infilata dal grimaldello di Vicini, Serena (assist a Schillaci e gol del 2-0). Quei novanta minuti restano come curve nella memoria, il rendez-vous con l'Italia si dilata. Porta il Cagliari vicino alla qualificazione in Coppa Uefa nel 1995, e ancora chiama Muzzi “Robertino”. Non può che durare poco la convivenza al Milan con Silvio Berlusconi, che atterra in elicottero e si presenta con una lettera e un decalogo da rispettare perché “oggi nel mondo il Milan è un esempio anche culturale”.

Dopo un anno all'Oviedo e passaggi al Velez Sarsfield e al Boca Juniors, dove aveva vinto il torneo Apertura del 1992, resta senza allenare quattro anni. Poi l'Uruguay sente di aver di nuovo bisogno del suo maestro. È una nazione affondata nei ricordi di un passato glorioso, nelle immagini virate seppia del Maracanazo, raccontata come un trionfo di vigore più che di abilità, come epitome della proverbiale “Garra Charrúa”, di quella grinta che spingerebbe gli Orientales, gli eredi delle tribù indigene sul Rio de la Plata, a dare di più quando il gioco si fa duro.

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La garra calcistica “è forza tratta dalla debolezza, potere mascolino che si genera dal piede forte, desiderio di successo alimentato dall'andiamo del contropiede, è coraggio, lotta senza sosta nelle circostanze più avverse” ha scritto l'antropologo Daniel Vidart, che ha studiato l'identità nazionale. “Ma questa garra, che ha visto la luce nei campetti delle periferie di Montevideo, è charrua solo come mito attivo, come metafora nostalgica”. Studi recenti dimostrano che l'effetto, in termini di vittorie nel finale o ai rigori nelle grandi manifestazioni, non è poi così marcato ma perché rovinare con la verità una bella storia iniziata almeno col trionfo in Copa America a Lima nel 1935?

2006, il Maestro torna e cambia il calcio in Uruguay

La garra celeste, sintesi forse più efficace delle connotazioni patriottiche che nutrono lo spirito battagliero della nazionale, è svaporata dopo l'addio di Tabarez nell'estate del '90. Tra il 1991 e il 2005, la Celeste cambia 13 allenatori, quasi uno all'anno, in un lunghissimo rincorrersi in circolo degli stessi errori e delle stesse delusioni.

Il ritorno del Maestro nel maggio 2006, a un mese dal Mondiale di Germania che avrebbero solo guardato da invidiosi spettatori, è la rivelazione del tesoro alla fine dell'arcobaleno, è come il taglio alle tele di Fontana che rivela un oltre-mondo al di là delle certezze ristrette nello spazio dei limiti e della ragione. “La prima cosa da fare era capire le possibilità dell'Uruguay nel contesto calcistico moderno, che è molto diverso dall'inizio del Novecento quando l'Uruguay dominava il mondo per mezzo secolo” spiegava nel 2013 in una lunga intervista per The Blizzard.

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Siamo una nazione che esporta giocatori, e non potevamo più vivere solo sulla gloria del passato. Dovevamo guardare cosa facevano le migliori squadre del momento, comprenderle e determinare un nostro profilo di squadra”. Trova una nazionale costretta a viaggiare nei contesti e nei Paesi più lontani per giocare qualche amichevole, che si allena fuori Montevideo in quello che tutti chiamano il “Low Performance Center”, il centro tecnico con le stanze fredde. Da quel momento, il calcio in Uruguay non sarà più lo stesso.

L'uomo viene sempre prima del campione

Tabarez, che si ispira al lavoro di Jose Pekerman in Argentina, presenta il primo giorno il piano destinato a cambiare la storia della nazionale. Dietro un magniloquente titolo, “Istituzionalizzazione dei processi della nazionale e dello sviluppo dei giocatori”, confeziona un progetto integrato. Contribuisce al progetto del nuovo centro tecnico, costruito praticamente da zero, impone che tutte le nazionali giovanili lavorino come la prima squadra e giochino nello stesso modo, lo stesso principio che permette ricambi generazionali non traumatici e successi duraturi nel tempo al Barcellona o al Real Madrid.

Mette soprattutto i valori umani davanti alle qualità sportive. “Non alleno stelle, alleno persone” raccontava a The Blizzard. Ha difeso Suarez dopo il morso a Chiellini a Brasile 2014, ha visto nella squalifica un'indesiderata applicazione della teoria del capro espiatorio, non ha mai perso di vista che il calcio è uno sport collettivo. “Come tratti i giocatori può avere un enorme impatto. Solo chi è del tutto coinvolto può dare quel qualcosa in più che è così difficile da trovare. Ma puoi ottenerlo se parli alla persona, non se ti limiti al pacchetto calcistico” analizza.

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Le orme fanno il cammino

Negli ultimi dodici anni, Tabarez ha invertito senso e direzione del motto guevariano. La sua nazionale si è fatta più tenera, più tecnica e brillante, senza perdere la garra, la durezza di temperamento. Il Maestro ha vinto la Copa America del 2011 e guidato la Celeste negli ultimi tre Mondiali (in Russia il miglior risultato con un quinto posto). “Ha ottenuto risultati straordinari, perché è partito totalmente da zero” ha detto Muslera, il portiere della nazionale, all'Associated Press la scorsa estate. “Ha creato quello che abbiamo ottenuto e tutto quello che otterremo in futuro. È grazie al suo lavoro che oggi l'Uruguay è rispettato nel mondo”.

Come ha scritto il poeta Antonio Machado, molto amato dal Maestro, “Tutto passa e tutto rimane però il nostro è passare, passare tracciando sentieri sul mare”. Sono le orme, dice Machado, a fare il cammino. E il cammino, insegna il Maestro, è la ricompensa.

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