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Coronavirus, il Coni e Conte hanno fermato la giostra del calcio: era ora

E’ servita la presa di posizione di Malagò, e il successivo decreto del premier Conte che ha reso tutta Italia una zona rossa, per fermare lo sport. Il calcio negli ultimi giorni ha dato la peggiore immagine di sé, tra contrapposizioni e incapacità di vedere oltre i propri interessi. Fermarsi era l’unica scelta possibile.
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L'Italia metà giardino e metà galera, metà dovere e metà fortuna, si ferma. Si ferma tutta, fino al 3 aprile. L'Italia sarà un'unica zona rossa, che vuol dire anche uno stop generalizzato allo sport sul territorio nazionale. L'annuncio del premier Conte segue la presa di posizione del presidente del CONI Giovanni Malagò , che aveva deciso di fermare le attività sportive e richiesto un nuovo decreto che superasse quello attuale. E' servito qualcuno di formalmente esterno alle beghe del calcio per assumersi una responsabilità che le Leghe di A, B e C hanno continuamente procrastinato. La Lega Nazionale Dilettanti ha almeno anticipato la decisione di Malagò annunciando già lo stop ai campionati fino al 3 aprile.

Il ministro contro Sky e la Lega, l'AIC sciopera… poi no

Almeno fino a domenica sera, fino alla magia di Dybala contro l'Inter nell'Allianz Stadium vuoto, il mondo del pallone ha dato l'impressione di vivere oltre le paure della gente, oltre i numeri in preoccupante aumento dei contagiati dal covid-19. Ha dato buoni consigli, cancellati dal cattivo esempio per interessi di bandiera. Intanto il nord Italia è diventato zona rossa, intanto il virus ha fermato la MotoGP in Qatar e Thailandia e uno dei più importanti tornei di tennis del mondo a Indian Wells. Ha anche influito sulla cerimonia d'accensione della torcia olimpica, che avverrà senza pubblico. Però in Italia, il ministro dello sport ha prima invocato lo stop del campionato, poi la trasmissione in tv in chiaro delle partite a porte chiuse. Ha attaccato Sky per non aver dato la sua disponibilità, e Sky ha smentito il ministro.

La Lega di Serie A ha scelto di non scegliere, l‘Associazione calciatori ha minacciato uno sciopero con Parma-Spal prossima al calcio d'inizio, poi ha ritirato tutto. Era solo una bozza, non l'unica che è circolata evidentemente con facilità e una dose eccessiva di leggerezza.

La Lazio teme uno stop per motivi politici

Il calcio delle fazioni, il calcio strumento di potere soft, è lo specchio di un'Italia che si è affidata alla coscienza civica dei cittadini, finora con risultati modesti. Gli orizzonti di breve periodo, l'assenza un apparente sguardo d'insieme, hanno condizionato le decisioni. Con il risultato di vedere, come esempio, la Serie A che rinvia la partita dell'Udinese e la Serie B che lascia giocare il Pordenone a porte aperte, praticamente nelle stesse ore.

L'emergenza, è chiaro, non si può sottovalutare come a lungo nelle prime fasi del contagio è presumibilmente accaduto. Servirebbe una presa di posizione unica, finalmente univoca. Invece, nelle ore che hanno preceduto l'annuncio di Malagò, la Pro Vercelli ha annunciato che non avrebbe più giocato fino alla fine dell'emergenza, anche a costo di perdere a tavolino. "La sicurezza delle persone è più importante di qualsiasi classifica" ha detto il presidente del club in un messaggio Facebook.

Mentre il portavoce della Lazio, Arturo Diaconale, ha detto a Radio Punto Nuovo che "Lotito non si farà imbrogliare", che "vogliono fermare il calcio per motivi politici. Trovare un calciatore positivo non deve fermare il sistema".

La comprensibile paura di Bruccini e D'Orazio

Ma il sistema è fatto di uomini, di persone che hanno paura. La stessa che ha mosso 9362 persone, solo quelle che lo hanno auto-dichiarato, a lasciare le zone rosse per tornare a casa in Puglia. La stessa paura che fa temere di infettarsi e rimanere da soli, in una casa che non è davvero casa. Paura di un nemico che non si vede, di un contagio per cui ancora non esiste vaccino. Per questo si è arrivati a rendere più stringenti i controlli dove i focolai di contagio si sono diffusi di più e più velocemente, come la Lombardia e buona parte del Veneto. Non c'è però la provincia di Verona, dove il Cosenza è impegnato in trasferta in casa del Chievo. Mirko Bruccini e Tommaso D'Orazio, due giocatori della squadra calabrese regolarmente convocati, si sono rifiutati di partire in trasferta con i compagni per l'emergenza coronavirus. La società "si riserva di assumere nei riguardi dei predetti tesserati ogni più opportuna iniziativa" si leggeva in una nota prima che Malagò.

Che succede con Euro 2020

Nella discordia elevata a paradigma, risuona la sempre attuale descrizione manzoniana della Milano ai tempi della peste del ‘600: "Il buon senso c'era, ma se ne stava nascosto, per paura del senso comune". Oggi, è chiaro, al senso comune si aggiungono interessi economici, sponsorizzazioni, diritti televisivi. Nessuno vuole perderli, nessuno vuole pagare "money for nothing" come cantavano i Dire Straits. La questione si allarga anche al prossimo Europeo. La FIGC, per non cancellare del tutto la stagione, potrebbe chiedere all'UEFA di posticiparlo. Ma servirebbe lo stop anche degli altri campionati. L'emergenza in Europa comunque non è negabile. In Francia si gioca a porte chiuse fino a metà aprile, in Spagna si va verso una decisione simile, in Inghilterra ancora no, in Svizzera il tribunale federale ha impedito lo svolgimento di Basilea-Eintracht di Europa League.

Il calcio, mistero senza fine bello ma non essenziale

E' vero, nelle zone a rischio, nelle regioni e nelle province rosse, i lavoratori continuano ad andare e a ripartire, magari da pendolari, per stipendi spesso magri e precari. Di certi lavori, di certi servizi, non si può fare a meno. Il calcio, come lo sport tutto, per quanto bello non si può considerare un servizio essenziale. Il rischio di estendere il contagio in altre zone esiste, e una squadra che si muove è un possibile vettore involontario e accelerato di contagio. Vale la pena rischiare nuovi casi, nuovi ricoveri, nuove vittime per una partita di pallone? Il buon senso, manzoniano e non solo, porta a rispondere di no.

La decisione del presidente del CONI Malagò di fermare tutto lo sport italiano fino al 3 aprile, anche. Il calcio non può continuare le sue guerre stellari come se tutto questo non stesse accadendo qui e ora. Il calcio e i calciatori non sono su un pianeta immune dalle conseguenze di tutto questo. E' il momento di fermarsi, finché passa l'emergenza.

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