Coraggio, Pallotta. Meglio solo che accompagnato da ‘fottuti idioti’
Finalmente quei ‘fottuti idioti' che vanno allo stadio se ne staranno a casa. Finalmente quei ‘fottuti idioti' che alla domenica rinchiudono in una Curva le loro frustrazioni hanno deciso di non mettere piede in gradinata. Una parte – per fortuna minoritaria – dei tifosi della Roma ce l'ha col presidente James Pallotta perché non ha fatto ricorso contro la chiusura della Curva e ha osato definirli per quello che sono: ‘fottuti idioti'. Solo un ‘fottuto idiota' può confondere la passione – anche viscerale – per la squadra del cuore con l'odio. Solo un ‘fottuto idiota' può credere che senso d'appartenenza sia corollario della promiscuità di traffici indiscriminati che per molti è divenuta consuetudine, auto-determinazione e poi legge (la loro legge) in quella porzione di mondo che s'accende e si spegne una domenica sì e l'altra no. E per non più di un paio d'ore alla volta.
Solo un ‘fottuto idiota' può pensare che pagando il prezzo di un biglietto o d'un abbonamento ha comprato anche il diritto (?) di dettare una linea di condotta a società, calciatori, allenatore. Solo un ‘fottuto idiota' può pretendere che gli uni e gli altri scendano a compromesso, diano spiegazioni, aprano porte, concedano udienza, libero accesso e colloqui sotto le grate di una Curva a chi non tollera che si può perdere e basta. Perché l'altro è più forte. Perché si può sbagliare. Perché nulla puoi quando la fortuna si gira dall'altra parte. Perché ci sono annate dove tutto va storto e tutto è sbagliato. E chi ci rimette la faccia (e i soldi, i milioni) non sono loro, i ‘fottuti idioti'.
Tutto questo, però, Pallotta lo immaginava. Sapeva che, assumendo una posizione così decisa nei confronti di chi ha mostrato d'avere in spregio la memoria di un morto (Ciro Esposito, ferito gravemente e poi spirato in un letto d'ospedale dopo quasi due mesi d'agonia) e il dolore di una madre (accusata di ‘voler lucrare' sul decesso del figlio), quella porzione di popolo gli avrebbe voltato le spalle. Lo avrebbe ripudiato e nell'arena puntato il pollice verso il basso. Ne avrebbe scritto il nome nella lista dei cattivi accanto a ‘giornalisti, osservatori e leghe di varia natura'. Pallotta sapeva che sarebbe rimasto solo, nel deserto (non quello dei tifosi e altrettanto deprimente) della Federazione, della Lega, dell'accolita dei presidenti che, parole di facciata a parte, lasciano che tutto passi sotto traccia. Forse non s'aspettava che il suo allenatore, Rudi Garcia, servisse un assist a quei ‘fottuti idioti' facendo la differenza tra la figura monocratica del Giudice Sportivo italiano ed esempi di collegialità d'altri Paesi. Garantismo opinabile, considerato che – come recita un vecchio e al tempo stesso orribile adagio del calcio – "una piazza può far cacciare un allenatore, più difficile che cacci un presidente".
Peccato abbia dimenticato un particolare: che in altri Paesi – come per la Premier in Inghilterra – i tifosi violenti, razzisti li tengono fuori dagli stadi. Nei casi più gravi li perseguono, sono di supporto alle forze dell'ordine perché li arrestino e li sbattano al fresco. Li bandiscono a vita. Non li vogliono, non ci vanno a braccetto, non ci fanno accordi sotto banco, non cedono ai loro ricatti, non sfilano le magliette e le consegnano ai capi ultrà. Non permettono che una partita non inizi per una voce di popolo, come accadde qualche anno fa proprio all'Olimpico quando si diffuse la falsa notizia della morte di un bambino travolto da un'auto della Polizia. Non trattano, assieme a funzionari dello Stato, con delinquenti che, a cavalcioni sui cancelli, impongono la loro legge e danno il via libera, il fischio d'inizio.
Ha ragione Pallotta, sono dei ‘fottuti idioti'. E chi se ne frega se restano fuori dagli stadi. Magari ci sarà un po' meno caciara – oppure ci sarà lo stesso ma più colorata e meno feroce – ma l'aria sarà sicuramente più pulita.