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Coppa Italia nel deserto degli stadi vuoti: format vecchio che privilegia le big

Il Torino ha fatto registrare contro il Sudtirol la più bassa capienza nell’era Cairo. Finora, solo due partite su 62 in Coppa Italia si sono giocate in stadi pieni per oltre la metà. Il confronto con le coppe nazionali di Spagna e Inghilterra è impietoso. Il format privilegia le big, anche in nome degli ascolti tv.
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Mai l'Olimpico Grande Torino si era mostrato così vuoto nell'era Cairo. Solo 3399 spettatori hanno assistito alla vittoria dei granata contro il Sudtirol che ha portato la squadra di Mazzarri agli ottavi di finale di Coppa Italia. Dal 2012, l'anno del ritorno in Serie A, le quattro partite con l'affluenza più bassa dei granata si sono tutte giocate nell'ambito della coppa nazionale, segno evidente di un interesse residuale dei tifosi verso la Coppa Italia. Un problema tutt'altro che circoscritto a Torino, però. I 3399 spettatori, infatti, hanno comunque garantito una percentuale di riempimento dello stadio dell'11,8%, la seconda più alta del quarto turno. Solo Benevento-Cittadella (3629 spettatori al Vigorito, pieno per il 21,5% della capienza massima) ha infatti superato il 10%.

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Una coppa che non interessa

L'anno scorso, dodici delle venti squadre di Serie A hanno registrato il record negativo di presenze stagionali allo stadio in una partita di Coppa Italia: Benevento (5869 contro il Perugia), Bologna (9184 contro il Cittadella), Crotone (4869 contro il Piacenza), Fiorentina (7038 contro la Sampdoria), Inter (25976 contro il Pordenone), Lazio (5000 contro il Cittadella), Milan (9263 contro il Verona), Roma (27206 contro il Torino), Sampdoria (5000 contro il Pescara), Sassuolo (2198 contro il Bari), Torino (3931 contro il Carpi) e Udinese (3066 contro il Perugia).

Il poco appeal della Coppa Italia, dunque, appare una questione non certo circoscritta ai top club della Serie A, che la considerano pur senza esplicitarlo la meno importante delle competizioni a cui prendono parte. E si diffonde anche fra le tifoserie di squadre che militano nelle serie inferiori.

In questa edizione, si sono disputati quattro turni di Coppa Italia per un totale di 62 partite, di cui una a porte chiuse (Frosinone-Sudtirol 0-2, terzo turno). Di queste, 14 si sono giocate in stadi vuoti per oltre il 90% della capienza. Solo due partite, l'esordio nel torneo dell'Udinese e del Cagliari rispettivamente contro Benevento e Palermo, hanno fatto registrare percentuali di riempimento superiori al 60%, e solo un'altra, Foggia-Catania di secondo turno, ha fatto registrare presenze per oltre il 40% dei posti disponibili.

Il format non aiuta

Il format prevede, salvo particolari casi determinati dal sorteggio, che le partite si giochino in casa della squadra che l'anno prima abbia militato in una categoria o si sia meglio classificata, e protegge le formazioni di Serie A facendole entrare più avanti nella manifestazione. Le otto teste di serie, ovvero le prime otto dell'ultimo campionato di A, entrano direttamente dagli ottavi di finale: in teoria alla Juventus, all'Inter, al Milan, alla Roma, alla Lazio bastano cinque partite per alzare la coppa (ottavi, quarti in gara unica, semifinale di andata e ritorno e finale secca).

Il confronto con l'Europa

Il confronto con le coppe nazionali dei principali campionati europei da questo punto di vista è tristemente illuminante. L'FA Cup rimane un modello, anche per una tradizione che la rende una competizione di appeal per quanto dagli evidenti anacronismi come la ripetizione delle partite in caso di parità. Ma quest'anno in Inghilterra le big hanno registrato notevoli presenze anche in Coppa di Lega, già dai primi turni. Erano in oltre 55 mila per Manchester United-Derby County all'Old Trafford e in poco meno di 50 mila all'Emirates per Arsenal-Brentford, due incontri di terzo turno, in quasi quarantamila per il quarto turno Chelsea-Derby Counti allo Stamford Bridge.

Resta ancora più eloquente lo spettacolo dei 76 mila spettatori al Camp Nou per vedere un Barcellona infarcito di riserve battere il Cultural Leonesa, una squadra di terza divisione, nel ritorno dei sedicesimi di finale di Copa del Rey. E cambierebbe poco se si facesse riferimento ai 55 mila del Bernabeu per Real Madrid-Melilla o ai 31 mila del Wanda Metropolitano per Atletico Madrid-U.E. Sant Andreu. Questione di modi di intendere il calcio e il valore della coppa nazionale. Questione di feeling.

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In tv ascolti buoni per le fasi finali

Il format è un evidente escamotage per incrementare l'appeal anche televisivo della manifestazione che l'anno scorso, in effetti, ha registrato ascolti alti sulle reti Rai che si è aggiudicata i diritti tv per il triennio 2018-2021 per 35,5 milioni di euro. Anche per effetto dei due derby Milan-Inter e Juventus-Torino, pure andato in onda senza commento per uno sciopero, i quarti di finale l'anno scorso hanno attirato oltre 23 milioni di telespettatori davanti alle tv (8,2 solo per la stracittadina milanese del 27 dicembre con uno share del 32,4%). Le quattro partite di semifinale hanno mantenuto un'audience complessiva di 21,67 milioni di spettatori, e la finale tra Juventus e Milan, la partita più vista della manifestazione, ha superato i 10,5 milioni di telespettatori.

Regolamento: da quest'anno cambia qualcosa

Quest'anno qualche cambiamento regolamentare c'è. Dagli ottavi di finale, infatti, è previsto un sorteggio per definire chi giocherà in casa ma solo per le sfide fra due squadre di Serie A. Anche perché, nella determinazione del format e del fattore campo, interviene anche un secondo fattore, il VAR, introdotto proprio dagli ottavi e disponibile negli stadi delle squadre del massimo campionato (o al massimo neo-retrocesse). È un primo passo avanti nella direzione di un maggiore equilibrio competitivo, che può sicuramente rappresentare un vantaggio per tutti.

Perché a parti invertite, un Sudtirol-Torino giocato a Bolzano, in orario favorevole e con i 3500 posti del Druso tutti pieni avrebbe offerto uno spettacolo certamente più stimolante per i giocatori, per i titolari dei diritti tv e per gli spettatori. Pensare di ritornare a vedere le big impegnate dai primi turni sui campi di provincia sarebbe un esercizio di nostalgia, per quanto potrebbe regalare memorabili giornate di celebrità calcistica a squadre che si dibattono nelle serie inferiori. Ma per rivitalizzare la Coppa Italia, al di là del format, servirebbe un diverso approccio dei giocatori, degli allenatori, dei tifosi. Servirebbe che l'evento fosse percepito come tale, da chi lo gioca e da chi lo guarda. Altrimenti gli spalti resteranno vuoti e la Coppa Italia rimarrà un'occasione per dar spazio alle riserve vissuta più come un'anomalia, come un dovere. È anche da questi particolari che si misura la cultura sportiva di una nazione.

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