Conte e la Juve, provinciali d’Europa. Come il calcio italiano

José Mourinho dopo la sconfitta in semifinale di Champions contro l'Atletico Madrid: "Eravamo pronti ma loro sono una grande squadra, vera e organizzata. Non poteva essere facile. Hanno controllato il match meglio di noi". Antonio Conte dopo il pareggio e l'eliminazione in semifinale di Europa League contro il Benfica: "Ci sentiamo presi in giro e anche l'Uefa dovrebbe rispettarci di più, mandandoci direttori di gara all'altezza. Loro hanno fatto tanto ostruzionismo e l'arbitro glielo ha permesso". La differenza tra il calcio internazionale e il nostro, quello dei battibecchi, dell'atteggiamento provinciale, delle chiacchiere da bar, che dà la colpa all'arbitro se la squadra non fa un tiro in porta è nelle parole del manager portoghese e del tecnico italiano.
Mourinho ha saputo perdere, Conte no. Nel giro di un minuto (parata di Courtois, rigore concesso agli spagnoli) Mourinho le ha buscate in casa, allo Stamford Bridge, ma ha messo da parte rumore dei nemici, non ha mimato manette, non l'ha buttata in rissa e, soprattutto, ha rispettato gli avversari riconoscendone meriti e forza. Conte e la sua Juventus hanno visto sfumare prima la Champions (eliminazione nella fase a gironi, mentre due anni fa pagarono dazio al Bayern Monaco) e poi l'Europa League. Anzi, a ben guardare il cammino continentale tra i figli di un dio minore, la Juventus ha pure rischiato grosso contro la Fiorentina (quella che al Franchi la mise sotto per 4-2), ha fatto il diavolo a quattro contro il Lione e nel doppio confronto con i lusitani non ha brillato.
Mourinho ha vinto tutto, nei campionati in cui ha allenato (compreso quello italiano) e in Europa, Conte – che al di là delle Alpi non ha piede – può consolarsi con il terzo scudetto consecutivo ma non gli basterà perché primeggiare in un torneo dove la quota salvezza arriva a nemmeno 30 punti non è un vanto. Non può esserlo. Mourinho è stato battuto da Arda Turan, Diego Costa, Koke. A Conte (che aveva Pogba, Vidal, Tevez, Buffon, Pirlo) non tornano i conti contro Siqueira (in Italia ha giocato in B con l'Ancona), Arthur (ex del Cesena in B) e un manipolo di buoni calciatori che a Torino erano senza Cardozo (la punta spauracchio) e per la seconda volta consecutiva (l'anno scorso persero contro il Chelsea di Rafa Benitez) conquistano una finale di Europa League. Contenderanno la coppa al Siviglia: lusitani contro spagnoli, quelli che nel Ranking Uefa ci fanno marameo e passano avanti.
Provinciali d'Europa. Portoghesi ridotti in dieci per mezz'ora e poi, addirittura, in nove nel convulso (e lunghissimo) finale ma capaci di serrare i ranghi, bianconeri a indicare l'orologio oppure a sfiorare la rissa in tribuna (Vucinic contro Markovic) e la baruffa nel tunnel degli spogliatoi. Loro a difendere la vittoria dell'andata, Juve incapace di far gioco e metterli alle corde davanti al proprio pubblico. Eccetto la conclusione di Vidal deviata da Luisao sulla linea di porta non c'è altro degno di nota. E se alla fine di una prestazione opaca, contro un avversario tutt'altro che irresistibile, la colpa "è dell'arbitro che non ci ha tutelati" allora no, la Juve (e il calcio italiano) non meritavano la finale di Torino perché restiamo provinciali d'Europa. E vuol dire che la lezione non l'abbiamo imparata. "Più bravi di Boskov sono quelli che stanno sopra di lui in classifica". Mio Dio, zio Vujadin, quanto ci manchi.