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Cinque cose da sapere sul gioiello Dele Alli

Storia della stella del Tottenham che la mamma affidò a un’altra famiglia. E’ anche per questa ragione, dopo un’adolescenza difficile, che ha scelto di non avere cognome sulla propria maglia. Gli inizi all’MK Dons, la voglia di imitare Gerrard, il rapporto con Pochettino: ecco la storia del talento degli Spurs.
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Nella scorsa stagione ha impedito a Conte di battere la serie record di vittorie di fila dell'Arsenal. In questa edizione della Champions ha steso il Real Madrid e oscurato la stella di Cristiano Ronaldo. Bamidele Alli, il ragazzo salvato dalle gang e da una vita di stenti, ha imparato dai suoi errori e trovato un solo vero modo di esprimere se stesso: con un pallone fra i piedi. Già da quando, a 11 anni, è entrato nel settore giovanile dell'MK Dons. “Gli piaceva tenere la palla fra i piedi e provare sempre cose nuove” ricorda il responsabile delle giovanili di allora, Mike Dove.

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Grande amico di Eric Dier, bersaglio di scherzi continui, gioca un calcio quasi sudamericano, fatto di trucchi e di magie, di tunnel e dribbling stretti, giocato con un energia straordinaria che stupisce anche il manager che a 15 anni lo porta in prima squadra, Karl Robinson. “Ho sempre cercato di divertirmi in campo” ha detto Alli. “Sono cresciuto giocando a calcio per strada, per questo allora ho imparato a fare i tunnel: tutti cercavano di farli. E non ho mai voluto smettere di farli. Voglio esprimere me stesso in campo e cerco di farlo così”.

Il primo coach: "Senza pressione si annoia"

Alli arriva in prima squadra anche grazie all'intuizione di Done. Gli viene durante una partita contro una squadra che gioca fin troppo coperta, che gli lascia troppo spazio. Alli comincia a prendere decisioni errate, a tentare giocate che non avrebbe provato in un contesto diverso. Dove ha un'illuminazione decisiva: anche in allenamento, Alli va messo sotto pressione, altrimenti si annoia. Così, a 16 anni e 205 giorni debutta in prima squadra, in FA Cup contro il Cambridge in diretta tv.

Eppure, ricorda Robinson, gioca come se fosse al parco con gli amici. Il suo primo pallone è un retropassaggio di tacco che fa infuriare il tecnico. Quello stesso colpo di tacco con cui spesso segnava in allenamento negli esercizi sui calci d'angolo quando il cross risultava troppo basso. In quelle occasioni, sputava il chewing gum, se lo faceva passare da un ginocchio all'altro, da un piede all'altro, prima di calciarlo in aria e riprenderlo in bocca. Non resta che un ultimo indizio per lanciarlo nell'Olimpo, e l'indizio arriva il 26 agosto 2014: l'MK Dons schianta 4-0 il Manchester United in Capital One Cup, la coppa di lega.

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Il volo di Alli, che l'estate successiva incanta con un tunnel anche Modric in un torneo amichevole all'Allianz Arena, è cominciato. Merito soprattutto di Robinson. “Karl è un grande allenatore e una grande persona” dirà Alli, “mi ha aiutato tantissimo. Quando sei giovane, aiuta avere una persona così, qualcuno che ti aiuta, qualcuno con cui parlare ogni volta che ne hai bisogno, qualcuno che si occupa di te”.

Via dalla famiglia per un sogno

Una figura che Dele non ha trovato in famiglia. Il matrimonio fra il papà, il nigeriano Kenny, e mamma Denise nel 1996 dura solo una settimana. Kenny scappa in Texas, Denis si ritrova con 4 figli (Dele, Lewis, 12 anni allora, Becky di 23 e Barbara di 26) nati da quattro uomini diversi e una casa popolare da tre stanze. Dele ha sempre un pallone fra i piedi, sogna di giocare per il Barcellona e vive anche sei mesi in Nigeria insieme al padre. Con gli anni, però, arrivano i problemi a scuola e gli interventi dei Servizi Sociali.

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Dele passa quasi tutto il tempo con amici che fumano e mamma Denise, che per anni ha avuto seri problemi di alcolismo, accetta che il figlio più piccolo vada a vivere con l'amico e calciatore Harry Hickford e la sua famiglia, che vive a qualche chilometro di distanza nella zona di Cosgrove, un quartiere di Milton Keynes più tranquillo dell'area di Bradwell condizionata dalla presenza delle baby gang. “Non eravamo amici con gli Hickford, ma avevano una bella casa e sapevo che dovevo dare a mio figlio l'occasione di inseguire il suo sogno. Non ho pianto quando se n'è andato, Dele mi ha detto: non preoccuparti, sto bene” ha detto commossa Denise. “E' stata una mia decisione. È stata dura lasciar andare mio figlio, ma era l'unico modo per consentirgli di diventare calciatore. È stata la sua salvezza”.

Senza cognome sulla maglietta

E' anche per questa ragione che il talento degli Spurs ha scelto che sulla propria maglietta non fosse indicato il cognome. L'idea di famiglia gli è sempre mancata e ha imparato fin da piccolo quanto possa essere dura e spietata la vita, quanto devi essere forte per non rischiare di cadere in trappola, quanto fa male quella stretta al cuore, quel senso angoscioso di non ritorno di chi s'è perso qualcosa ma per fortuna non ha perso sé stesso.

Il debutto show in nazionale

C'è anche Denise davanti alla tv quando Dele debutta da titolare in nazionale, a Wembley contro la Francia, nella sera della commemorazione delle vittime per gli attentati di Parigi. Di fronte c'è il compagno di squadra Hugo Lloris, ma questo non frena Alli quando vede la palla scendere ai venti metri. “Non ci ho pensato due volte, appena ho visto la palla davanti a me ho calciato immediatamente e fortunatamente è andata bene. Io e Hugo ci abbiamo scherzato dopo, era contento per me.

È davvero una grande persona, mi ha aiutato moltissimo al Tottenham. Dele, però, non si è mai montato la testa, non si sente arrivato. “Ho ancora moltissima strada da fare” ha detto in un'intervista su Four Four Two. “Sono estremamente grato per tutto quello che ho ottenuto ma devo ancora migliorare tantissimo. Nei prossimi cinque anni voglio diventare titolare fisso in nazionale e vincere la Champions League. Al Tottenham naturalmente”.

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Determinante l'influenza di Pochettino

Negli Spurs si è trovato bene da subito con Pochettino. “Ti dice le cose come stanno” ha spiegato, “senti che puoi parlargli di tutto e tutti i giocatori si fidano di lui. Non vuole solo farti diventare un giocatore migliore, vuole anche renderti una persona migliore”. Non che Alli abbia mai avuto troppi problemi dal punto di vista mentale. “Ho sempre creduto nelle mie qualità” diceva, “all'MK Dons avevamo un mental coach ma non mi è mai servito. Devi avere fiducia in te stesso, non puoi avere paura. Certo, a 19 anni, andare via da casa e venire a Londra può essere difficile, ti può scoraggiare ma devi essere forte e credere in te stesso. Non hai bisogno di pensare che sei il migliore di tutti, ma di credere che puoi diventarlo”.

Gerrard il suo modello

Credere che puoi nutrire l'ambizione di vestire la maglia blaugrana, di essere come Ronaldinho, per quella sua naturale passione verso il calcio e quei gol in rovesciata che Dele non è mai riuscito a replicare. Credere che puoi seguire le orme del suo modello Steven Gerrard. “Ho sempre cercato di copiarlo un po', portavo anche le sue stesse scarpe” ha detto a Four Four Two. “Era impressionante il suo atteggiamento in campo, lo vedevi quanto odiasse perdere. Poi il suo gol in finale di Fa Cup contro il West Ham nel 2006, uno dei primi che ricordo di aver visto, è straordinario: un grande momento, una splendida conclusione in una partita decisiva.

Ricordo che ho scattato una foto con lui da piccolo ma non gli ho mai parlato: è forse l'unico che mi metterebbe soggezione”. Eppure, qualcosa che li accomuna c'è. “Una volta ho parlato con Steve Highway della Liverpool Academy” ricorda Robinson, “gli ho chiesto: avete fatto crescere Gerrard, Michael Owen, Robbie Fowler, Jamie Carragher, Steve McManaman, quanto siete bravi? Lui mi ha risposto: siamo solo fortunato perché sono nati a Liverpool. Ecco, noi siamo fortunati quanto loro perché Alli è nato a Milton Keynes”.

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