Cinque cose da sapere sul… “Gallo” Belotti
Ha in mano il futuro della nazionale. È il miglior bomber italiano della stagione. Torino sogna con Andrea Belotti,“il Gallo” ha iniziato a far cantare. Ma da dove nasce quel soprannome e l'esultanza che lo rinnova domenica dopo domenica?
1 – Perchè "Gallo"?
Da piccolo, ha raccontato al Corriere della Sera, correva dietro ai galli del pollaio della zia. E poi c'è la scommessa con l'amico Juri, Juri Gallo appunto. Più che un amico, un fratello. “Andrea è un amico vero, ci conosciamo di vista da quando siamo bambini e da tempo siamo grandi amici” ha raccontato Juri al Giornale di Sicilia. “Gli sono stato vicino quando, nonostante il suo valore, non riusciva a trovare un club che lo ingaggiasse, e l'ho fatto anche quando in estate si è trasferito al Palermo: ricordo la chiamata alle 3 di notte, con lui che piangeva perché non si sentiva pronto a vivere la prima esperienza lontano da casa”. È esploso, racconta, grazie a Venntura che crede nei giovani e ha saputo aspettarlo. “ Se non trovi l’allenatore che credi in te, dopo due partite sbagliate ti mettono da parte. È una questione di mentalità” ha detto. L'ha migliorato in molti particolari, “nel modo di giocare con un compagno, di cercarlo, nel modo di attaccare la porta”. E si è messo a esultare col gesto della cresta. Uno spettacolo “bellissimo. E fa capire il rapporto che abbiamo. Era come se il gol lo avesse fatto lui: ha sempre creduto in me anche quando non segnavo”.
2 – Fu scartato dall'Atalanta
Calcinate, seimila abitanti nell'alta bergamasca, è paese di calciatori, di rocciosi difensori (Pietro Vierchowod) e di attaccanti dallo stile diverso, Manolo Gabbiadini e, appunto, Belotti. Lo chiamano Andrea come il nonno, morto sei mesi prima che nascesse. “Con mia nonna, anche per il nome che porto, si è creato un feeling pazzesco” ha detto. “Lei veniva sempre a vedermi e se facevo gol mi dava una mancia o mi portava un salame per festeggiare”. Comincia a giocare all'oratorio di Gorlago, alla Grumellese, sogna di entrare nell'Atalanta, la squadra per cui tifa il papà e per cui tifava nonno Andrea, che andava ogni domenica in bici da Calcinate all'Atleti Azzurri d'Italia: venti chilometri all'andata e venti al ritorno. A Zingonia, però, lo scartano. In famiglia, dicono, di quel provino non parlerà mai più.
“Già allora era una forza della natura” ricordava Beppe Bergomi, da allenatore delle giovanili del Monza nel 2009. Dopo quel provino, racconta al Corriere dello Sport, “ho fatto un’amichevole con l’AlbinoLeffe che mi ha preso. Mi sono emozionato appena ho saputo che mi volevano. Mio padre mi ripeteva sempre che dovevo considerarmi fortunato: ‘al tuo posto ce ne sono altri cento che non avranno la stessa possibilità’, questo mi diceva”. Anche negli Allievi dell'Albinoleffe, però, gli inizi non sono facili: l'allenatore Cancelli gli preferisce Borlini, rimasto nei campionati minori, e il figlio d'arte Valoti. Il primo gol in B lo segna con in panchina uno dei suoi primi maestri, Alessio Pala, che ha “svezzato” anche Zaza, Gabbiadini, Pazzini. “Se ho avuto un merito è solo quello di aver intuito le sue potenzialità” ha raccontato a Bergamo Post. “Andrea sa fare gol in tutte le maniere. Di testa, in acrobazia, sullo scatto. È un attaccante completo. Si diceva che non era molto aggraziato, non proprio elegante, per uno che sta in area di rigore. Ma se fai gol va bene lo stesso, no?”.
3 – Il suo idolo è Shevchenko
Il Gallo è così. Convinto che non si debba mai smettere di segnare, nemmeno in allenamento, che l'attaccante deve creare un rapporto di sangue con il gol e con la porta. Un rapporto in cui il portiere, racconta, è un nemico sempre pronto a rovinarlo. Segnare “è una sensazione magnifica, come la tranquillità che ti dà: per un attaccante è vita”, è un'energia che non è facile sprigionare per intero. E non conta la forma, ma solo la sostanza. “Di culo o in rovesciata” raccontava, “la gioia è sempre la stessa”. Per cercarla, per inseguirla, per valorizzarla, di attaccanti ne ha studiati tanti. “Mi piacerebbe avere la freddezza di Mario Gomez, la capacità di saltare l'uomo di Fernando Torres, il fisico di Didier Drogba e i movimenti di Sergio Aguero”. Ma il suo idolo rimane Andriy Shevchenko, perché è “un campione umile, mai sui giornali per una stupidata”.
4 – "Ha le mani da croupier"
A Mondonico, Belotti ricorda Boninsegna, un attaccante vecchio stampo. Andrea è un po' così, in campo e fuori. Gli piacciono il bianco e le canzoni di Max Pezzali, “girare per la città per conoscere più cose possibili del posto dove vivo” come raccontava a Repubblica. “Cerco di non farmi notare e di avere un profilo basso”. Lo aiuta nelle partite a carte, soprattutto a briscola chiamata, racconta Pala a Bergamo Post. È furbo, dice, “se la cava bene, ha le mani da croupier”.
Il buon esempio arriva sempre dalla famiglia, “tranquilla e solida con ideali antichi. I miei genitori sono i primi che non vanno in giro vantandosi di avere il figlio calciatore. Anche loro mantengono un profilo basso”. Non andava nemmeno male a scuola. “Vuoi fare il calciatore? Basta che mi porti a casa il diploma” gli disse il padre. Così diventa geometra, si diploma al Centro Studi Superiori Leonardo da Vinci di Bergamo. Altro che alzare la cresta.
5 – Ha un fratello chef
Di sacrifici ne ha fatti, Andrea, per diventare il Gallo che fa impazzire l'Italia. “Senza mio padre non ce l’avrei fatta” confessava due anni fa al Corriere dello Sport. “Gli amici andavano a ballare e io tornavo a casa. Loro si divertivano e io soffrivo. Alle dieci di sera mio padre mi telefonava per dirmi di rientrare a casa, mi obbligava e io piangevo per questo”. Anche il fratello Manuel giocava a pallone. Sono legatissimi, si sentono praticamente tutti i giorni. Manuel, però, ha scelto un'altra strada: fa il cuoco. “Quando torno a casa mi prepara sempre le lasagne di pesce. Le ha inventate una volta quasi per caso e a me piacciono moltissimo”.