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Cinque cose da sapere su Bernardeschi, il nuovo Antognoni

Ha sognato la maglia numero 10 di Baggio e i gol di Shevchenko. Lo emoziona la storia di Ibrahimovic e Totti. Bernardeschi è un attaccante vecchio stampo, che ha detto no a un reality e si è fatto tatuare il Padre Nostro in latino.
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Rinascimento italiano. A Firenze brillano le pennellate brunelleschiane di Federico Bernardeschi, regalo pre-natalizio ai tifosi d'Italia come la gemma di Lorenzo il Magnifico, alias Insigne, che ha aperto il 3-3 del Franchi. “Federico è una bandiera del presente e del futuro della Fiorentina: più che blindato è dentro una cassaforte” ha detto il direttore sportivo Carlos Freitas a Premium. Destinato a rimanere una bandiera, con quella maglia numero 10 che già fu di Antognoni, in viola e con l'azzurro della nazionale. Una speranza, un buon proposito, forse un sogno nel calcio dei Football Leaks e delle TPI, del business che deve sempre andare avanti.

Ha voluto la 10 per amore di Baggio

“Sapere chi ha indossato (la maglia numero 10) mi dà ancora più stimoli. Non ho paura degli stimoli. Non ho paura delle responsabilità” diceva al magazine del Sole 24 Ore. L'ha sentita sua, quella maglia da tanto tempo ammirata, cullata, inseguita. “Quando vedevo giocare Baggio dicevo a mio padre che sarebbe stato bello arrivare a giocare lì con quella maglia” ha raccontato. “Ho scelto il numero 10 perché sono 12 anni che sono qui e me la sento addosso questa maglia. Voglio indossarla perché mi darà sempre stimoli per dimostrare giorno dopo giorno il mio valore. Non voglio però passare da presuntuoso bensì sono orgoglioso di poter indossare una maglia del genere in una città del genere”.

Una maglia che vuol dire calcio, che spesso ha significato il riconoscimento di uno status, un ruolo di simbolo, un'icona di appartenenza, il fattore che salda i legami di quella che Bill Shankly considerava la Trinità del calcio: tecnici, giocatori e tifosi. Perché l'Italia, ha sottolineato, i campioni li ha e li ha sempre avuti ma tende a guardare all'estero per cercarli. Ma l'ottica del nuovo Antognoni ha orizzonti diversi, guarda alla strada di uno dei giocatori con cui più si è emozionato a giocare, Francesco Totti, e a LeBron James che a Cleveland ha costruito un'epica quasi mistica, nutrita anche di tradimento e ritorno, fra la squadra e la città.

E' cresciuto col poster di Shevchenko

È nato nel giorno dei fenomeni, il 16 febbraio come Valentino Rossi. In camera, accanto al poster di Totti, c'è sempre stato quello di Shevchenko, l'idolo che sognava di imitare quando da piccolo giocava con le maglie rossonere dell'Atletico Carrara. Campioni che hanno fatto la storia del calcio. Campioni come Ibrahimovic, che pure ha confessato di ammirare. “È nato dal niente, è nato da un ghetto come dice lui quindi mi sono appassionato al percorso lungo e difficile che ha intrapreso e al giocatore e all’uomo che è diventato”.

Da piccolo lo chiamavano Montellino

Galetto, in questa storia, fu il nuoto. Il piccolo Federico non sapeva nuotare e chiese aiuto a Eugenio, bagnino e allenatore di calcio che lo vede palleggiare e calciare sulla sabbia fino a scorticarsi un po' il collo del piede. È lui che lo manda all'Atletico Carrara, da un suo allievo. “Mi raccomandai che a Federico non spiegassero niente, perché non ce n?era bisogno. Sa, ora c?è tanta gente che si vanta di averlo scoperto e di avergli insegnato qualcosa. Alla fine c?è una verità sola: se Bernardeschi è quello che è, il merito è del suo babbo e della sua mamma che lo hanno fatto così. Il merito è della natura” raccontava due anni fa alla Gazzetta dello Sport.

Resta tre anni all'Atletico Carrara. È "decisivo, uno di quei talenti di cui ti rendi conto subito che sono di un altro livello", sottolinea Roberto Bruzzi, l'allenatore che per tre anni ha avuto il piacere di averlo in squadra, al sito di Gianluca Di Marzio. Festeggia ogni gol con l'aeroplanino e la signora Paola, custode e figura di riferimento della società, comincia a chiamarlo Montellino.

Il piccolo Montella si ritroverà poi l'originale come allenatore alla Fiorentina. E, da carrarese testardo e fuori dagli schemi, una volta gli ha chiesto di lasciarlo con le giovanili, perché voleva vincere il titolo di capocannoniere. Pare che Montella non l'abbia presa bene. Ma Carrara è terra di marmo e libertà, di uomini testardi e fantasiosi, fuori dagli schemi.

Si è fatto tatuare il Padre Nostro

E poi, Bernardeschi è un mancino, un creativo. Ha un cane corso chiamato Birillo, come quello dello scandalo-doping di Ivan Basso. I tatuaggi, raccontava Luca Bianchin della Gazzetta dello Sport, “glipiacciono e il più interessante è il Padre Nostro scritto per intero su un fianco, perché Federico è molto religioso. Di più, se l’è fatto scrivere in latino, da «Pater noster» ad «Amen»”.

La fede l'ha aiutato in un momento difficile, quando deve restare fermo sei mesi per il cuore ingrossato. "Quando me lo dissero" ha raccontato, "spaccai a cazzotti due mobili e una porta di casa. Potevo lasciarmi andare ma reagì grazie alla famiglia, agli amici e a Dio. Furono sei mesi d’inferno: zero sforzi fisici, niente calcio, molte lacrime. Fino alla visita successiva e al via libera per tornare in campo".

Ha detto no a un reality di MTV

Quando arriva da Carrara a Firenze, portato da Cappelletti, Bernardeschi ha poco più di dieci anni. Difficile immaginare allora quel che sarebbe potuto diventare. Ma qualche indizio c'è. Nel 2012 MTV sta preparando la prima stagione del reality Giovani Speranze che vuole dedicare al girone di ritorno degli Allievi della Fiorentina. Tra gli otto protagonista c'è anche Cedric Gondo, protetto di Mino Raiola. Bernardeschi, però, non firma la liberatoria: di lui si vedono solo i gol, tanti, nel corso delle partite.

“La nostra politica – ricordava su Stadio l'allora direttore sportivo Giovanni Galli – era quella di andare a cercare le risorse sul territorio e ricordo che del periodo di Bernardeschi appartengono anche Piccini e Camporese. A quell’età intravedi solo una dote: è merito del lavoro del settore giovanile e dei tecnici se il ragazzo riesce ad imporsi. Mi colpì, tanto da indurmi a seguirlo poi con attenzione (che non firmò la liberatoria) dicendo che lui doveva pensare solo a giocare. Se questo carattere si trasforma in determinazione e non in presunzione, Bernardeschi può arrivare ad alti livelli”. La profezia si è avverata eccome. Adesso Bernardeschi, il simbolo del rinascimento italiano, piace a tutte le big d'Europa. Ma fino al 2019, da contratto, è della Fiorentina. La bandiera, blindata dentro una cassaforte.

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