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Che fine ha fatto Zamorano, il ‘pidocchio’ che vestì la mitica “1+8” (FOTO)

Oggi conosciuto procuratore e osservatore (ha scoperto Mauricio Pinilla), in CIle ha creato una ‘Ciudad’ sportiva tra le più conosciute in Sudamerica. Legò la sua carriera alle maglie del Real e dell’Inter dove, con l’avvento del ‘Fenomeno’ Ronaldo, cedette la sua “9”, indossando la ‘mitica’: “1+8”
A cura di Alessio Pediglieri
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La storia di Ivan Zamorano ha, come tutte quelle di altri suoi illustri colleghi che han scritto pagine importanti del calcio mondiale, quasi dell'incredibile. Piccolo ragazzino nato nei quartieri poveri di Santiago in Cile, il giovane Ivan non eccelleva nè in altezza nè in forza fisica. Era per tutti il ‘pidocchio', soprannome affibiatogli sui banchi di scuola e dimenticato solamente all'indomani delle sue memorabili gesta nel calcio europeo vestendo le maglie di Siviglia, Real Madrid e Inter, diventando in Patria un mito quasi incontrastato e ancor oggi venerato dagli appassionati del pallone. Un po' come i tifosi delle squadre in cui ha militato, tra cui l'Inter club in cui si dedicò anima e corpo ritagliandosi un posto particolare nella storia nerazzurra che vanta in bacheca la ‘mitica': la casacca con sulle spalle il numero "18" (all'indomani dell'arrivo a Milano di Ronaldo che si ‘prese' il "9") cui Zamorano aggiunse il segno "+" tra le due cifre, ricordando che – malgrado tutto e tutti – era lui il ‘centravanti' per antonomasia.

L'ascesa in Cile, il trampolino per l'Europa – Ma non è solo tinta di nerazzurro la carriera di Ivan Zamorano, classe '67, cresciuto calcisticamente nelle fila del Cobresal, club cileno in cui fa gavetta nelle giovanili fino a trovarsi un posto da titolare in prima squadra e con cui vince l'unico titolo in Patria, la Coppa del Cile nel 1987 facendosi conoscere al mondo del ‘futbòl' sudamericano. Da lì, in poi, per il "piccolo pidocchio" (178cm per 75kg) è solo un'ascesa costante che lo porterà prima al Trasandino (con una media gol da paura: 29 centri in 27 gare), poi di nuovo al Cobresal fino al grande salto nel 1988, quando sorvola l'Atlantico e arriva in Svizzera al San Gallo, il primo club del Vecchio Continente che crede in quel centravanti che tanto fa parlare di sè in Sudamerica, soprattutto per la sua bravura nei colpi di testa grazie a doti di elevazione sopra il comune. Una qualità che contraddistinguerà sempre più la carriera e la fama di Zamorano e che gli permetterà prima di approdare in Liga poi in Serie A.

Dal San Gallo al titolo di ‘pichichi' col Real Madrid – I pomeriggi a tirare testate "al lampadario" nelle afose giornate cilene quando era poco più che un ragazzino (come racconterà a fine carriera), adesso servono a infilare ‘sassate' volanti alle porte avversarie. Nel '90, dopo due anni di apprendistato nel calcio europeo (in Svizzera chiude con 56 presenze e ben 34 gol all'attivo), arriva in Spagna tra le fila del Siviglia per poi esplodere definitivamente con la Camiseta Blanca del Real Madrid nel '92. Lì, il 25enne Zamorano tocca il proprio apogeo calcistico: nella stagione 1994/1995 conquista il doppio titolo di Pichichi e di miglior calciatore straniero di quel campionato e a Madrid vincerà 1 SuperCoppa di Spagna, 1 Liga e 1 Coppa di Spagna. Da quel momento, entra nel mirino dell'Inter di Massimo Moratti che lo ‘strapperà' per 4 miliardi alle merengues nel 1996. E con i nerazzurri troverà gli allori europei tanto cercati.

Scartato dal Bologna, la Coppa Uefa e la numero "1+8" con l'Inter – In Italia, dunque, arriva nel 1996 con quasi dieci anni di distanza. Perchè nel 1988, il giovanissimo Zamorano che lasciava il Cobresal in Italia era arrivato sin da subito, per sostenere un provino in Serie A, tra le fila del Bologna. Il club felsineo dovette scegliere tra lui e il più famoso connazionale, Hugo Rubio, sbagliando clamorosamente. Poco male, perchè fece le fortune dell'Inter. In nerazzurro restò cinque stagioni: nel 1998  (anno in cui arrivò anche ai mondiali di Francia con la maglia del Cile) contribuì a suon di gol alla vittoria della Coppa Uefa. In finale, a Parigi, il 6 maggio, ci fu la finalissima contro la Lazio di Nesta, Jugovic, Fuser, Nedved, Casiraghi e Mancini. Era la prima Inter di Ronaldo, ma soprattutto era l'Inter di Zamorano autore del primo gol del 3-0 finale, siglato di rapina, sul filo del fuorigioco con un tocco di destro in area a soprendere Marchegiani in disperata uscita. Allora, il ‘pidocchio' indossava ancora il "9" che cedette l'anno successivo al ‘Fenomeno', creando la "mitica". Una casacca entrata nella storia dell'Inter, una numero "18" che mai fu tale per la geniale intuizione di Zamorano di aggiungere il segno"+" tra le due cifre.

Dal fiuto per il gol a quello per i talenti, tra impegni nel sociale e gare di ‘Showball" – Lascerà l'Inter nel 2001 dopo 41 gol in 149 partite per tornare in Sudamerica dove chiuderà  la carriera due anni più tardi con la maglia del Colo-Colo, ritirandosi dal calcio giocato nel 2003. Ma il calcio, Zamorano, non lo lascerà mai. E da subito è capace di distinguersi come attento osservatore di nuovi ‘fenomeni' soprattutto made in Cile, da proporre ai più attenti. Come nel caso di Mauricio Pinilla che nel 2003 viene proposto al già allora Direttore Tecnico Marco Branca dell'Inter che lo acquistò tra la sorpresa generale. Un attaccante di sicuro avvenire, ancor oggi tra i migliori stranieri in Italia (al di là che l'Inter non seppe attenderlo nè valorizzarlo). Fu il "là" per la carriera da procuratore: con l'eterno amico Hugo Rubio, fonda la Passball, agenzia calcistica per giocatori cileni, attivissima nello sfornare talenti al calcio europeo. Non solo. Zamorano, nel frattempo, A Santiago del Cile, costruisce la più grande e importante "Ciudad Sportiva" che porta il suo nome, autentica palestra calcistica e non solo per i suoi connazionali, che diventa negli anni un punto di riferimento del Sudamerica. Attualmente è impegnato anche nel ‘sociale', come Ambasciatore dell'UNICEF e protagonista di partite benefiche di Showball (calcio a sei dove la palla non esce mai) con altre grandi vecchie glorie del pallone come Salas, Valderrama, Francescoli e Maradona. In attesa di vederlo un giorno su qualche panchina: "Potrei anche tornare in campo, su  qualche panchina. Non lo escludo per nulla".

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