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Che fine ha fatto Poborsky? Dai gol (all’Inter) alla scrivania

Nel giorno del suo 42° compleanno ci siamo lanciati sulle tracce della nuova vita di Poborsky che, in serie A, ha legato il suo nome al famigerato 5 maggio che all’Inter costò lo scudetto.
A cura di Mirko Cafaro
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Si era guadagnato la ribalta internazionale ai campionati Europei del 1996 in Inghilterra, quando con la sorprendente Repubblica Ceca si classificò secondo, superato in finale solo dalla Germania, dopo aver fatto fuori l'Italia di Sacchi nella fase a gironi, il Portogallo e la Francia. Una nazionale giovane, nata solo tre anni prima dopo la scissione dell'ex Cecoslovacchia, ma traboccante di talento, in cui Karel Poborsky giocava un ruolo di primo piano (come dimostrano anche i quattro gol realizzati in tutta la competizione) al pari del suo omologo, sulla corsia opposta, Pavel Nedved. Entrambi, dopo quella competizione, spiccarono il volo: Pavel verso l'Italia, dove ad attenderlo c'era la Lazio e Karel proprio in Inghilterra, acquistato dal Manchester United.

A distanza di vent'anni le due carriere hanno vissuto percorsi differenti ma entrambi, una volta appese le scarpe al chiodo, hanno scelto di rimanere nel mondo del calcio intraprendendo la carriera dirigenziale. Nedved ancora in Italia, alla Juventus e Poborsky, che oggi spegne 42 candeline, in patria alla Dynamo České Budějovice, dove ha assunto la carica di presidente proprio della squadra che lo aveva lanciato nel grande calcio. Eppure a riguardare il film della sua carriera, Karel ha forse raccolto meno di quanto il talento gli avrebbe permesso. Con i Red Devils dura poco più di una stagione collezionando 32 presenze e 5 reti che contribuiscono alla vittoria della Premier League e del Community Shield. A gennaio del 1998 passa quindi al Benfica, dove i campionati saranno tre, ma anche qui non lascia particolari tracce, se non una serie di piazzamenti in campionati anonimi e senza titoli.

Ecco, dunque, nel gennaio del 2001 il trasferimento proprio alla Lazio del connazionale Nedved, con il quale fa a tempo a giocare uno scorcio di stagione, prima della sua cessione alla Juventus. In biancoceleste, però, il copione si ripete: tante attese, ma poca concretezza, al punto che la sua avventura in Italia è ricordata soprattutto per quel famigerato 5 maggio del 2002, protagonista involontario insieme all'interista Gresko di una partita rimasta negli annali. Sua infatti la doppietta (in una partita, poco meno della metà del fatturato messo a segno nelle 42 presenze con i laziali) che, all'ultimo turno di campionato, permise alla squadra – che ormai non aveva più nulla da chiedere al campionato – di ribaltare il momentaneo vantaggio dell'Inter fissando il punteggio sul 4-2 che favorì in extremis il sorpasso in classifica della Juventus sui nerazzurri e di conseguenza l'ennesimo scudetto dei bianconeri.

Il resto è storia recente con il ritorno in patria allo Sparta Praga e nel 2005 il trasferimento alla Dynamo České Budějovice, quasi a voler chiudere un ideale cerchio, lì dove tutto era cominciato e dove adesso prosegue in altre vesti, sperando magari di scoprire e lanciare altri talenti come il suo. Magari meno discontinui e più fortunati.

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