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Caro Totti, sei leggenda. Però la vita e la Roma continuano. Anche senza te

Spalletti e Totti dovrebbero avere a cuore allo stesso modo il successo della Roma. Invece passano per nemici. I tifosi si schierano dalla parte del capitano. Ma la società ha il diritto e il dovere di guardare avanti. Perché gli uomini passano, la squadra resta.
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Pezzi d'amore eterno, pezzi di stagione. Pezzi di cuori, pezzi di fedi. Nella guerra del cuore, che si accontenta di cause leggere da prendere sul serio come solo il calcio può essere, il tifo della Roma ha deciso da che parte stare. Dalla parte di chi è giallo come il sole e rosso come il cuore di chi ancora piange, come colto da improvvisa sindrome di Stendhal, al vederlo segnare ancora, a quasi quarant'anni, a poche ore dal Natale del fu “caput mundi”.

Guelfi e ghibellini – Totti e Spalletti, con Totti o con Spalletti, come guelfi e ghibellini. Divisi, come color che son sospesi. Il cuore separa quel che insieme dovrebbe andare, un allenatore che pensa al bene della squadra e un capitano, che di quella squadra è anima, pervaso da pensieri appena diversi. L'ottavo re di Roma non abdica, si legge e si sente. Il Corriere dello Sport alimenta la divisione, e da settimane si schiera dalla parte del capitano. “Spalletti arrenditi” recitava uno degli ultimi titoli. Come se l'uno non avesse lo stesso obiettivo dell'altro, come se il simbolo della Roma e il tecnico richiamato per ricucire un discorso sospeso non abbiano a cuore lo stesso destino, il successo di tutta squadra, che poi è quel che resta quando il tempo avrà spogliato gli alberi.

Totti come Rivera – Un discorso interrotto proprio con Totti che si augurava di poter finire la carriera con Spalletti allenatore, che sta finendo come negli echi di un grido che fu, come un divorzio all'italiana, tra “figure di m…”, partite a carte rinfacciate come una colpa, caviglie forse da fasciare e forse no. Questioni di principio, di regole da far rispettare in nome di tutti. Questioni di rispetto, a vederle nello specchio finanche distorto di una passione che non conosce ragioni. Quei quattro minuti più recupero col Torino, che pure sono bastati a ribaltare una partita che sembrava persa, contro quegli stessi avversari cui Totti aveva consegnato uno dei più spettacolari dei suoi 247 gol in Serie A, si traducono nella moderna versione dei sei minuti di Rivera a Messico '70. E ancora a distanza di quasi mezzo secolo, di Valcareggi rimane non tanto l'unico titolo europeo della storia azzurra, ma l'ingiustizia verso il Golden Boy del nostro calcio di allora, verso il primo italiano a conquistare il Pallone d'Oro. Incapace di confrontarsi col talento, si diceva e si dice ancora di Valcareggi.

Spalletti preserva, non sfregia – Al Totti immalinconito sono bastati 23 secondi per segnare il primo gol, tre minuti per firmare una doppietta storica che blinda il terzo posto e la Champions League, con annesso tesoretto per la prossima stagione. Totti ha trasformato l’offesa dei cinque minuti finali che il suo allenatore gli aveva riservato contro il Torino in un momento indimenticabile. Ha dimostrato sul campo di poter essere ancora giocatore vero. Ed è qui che le strade si dovrebbero incontrare, se la razionalità facesse parte dei comandamenti del tifo. I gol non cancellano il presente di un campione che ha fatto la storia del nostro calcio, ma che a 39 anni non può reggere i ritmi che Spalletti pretende per la sua formazione. Il ricordo di Capello e Del Piero illumina, ma dalla storia si sa, si impara solo che la storia non insegna niente. Anche allora, con un'altra bandiera al momento delle decisioni irrevocabili, centellinare il suo impiego diventò elisir di giovinezza. Far partire Totti dalla panchina non è lo sfregio del monumento, è l'indizio della sua conservazione. Così, con le avversarie stanche e una classe ancora inalterata, il “bimbo de oro” è ancora determinante sui risultati. Un Totti alla Altafini, e potrebbe anche funzionare con un vero patto fra gentiluomini e l'accettazione di un ruolo diverso per evitare un addio che oggi non avrebbe vincitori. Così Spalletti ne può preservare ancora la maestà, per altri giri di giostra, finché, come nella verde Milonga di Paolo Conte, “Atahualpa, o qualche altro dio, non ti dica "descansete nino, che continuo io".

La Roma dopo Totti – Eccolo, il vero nodo, il tempo, il modo e il momento dell'addio. Il contratto da rinnovare e un presidente che dall'America traccheggia, perché indietro non si torna e all'Olimpico è al futuro che si deve guardare. Pallotta, che come solo Totti conosce la verità su quel che si dice nelle segrete stanze dove l'autorità sta a tavola con l'anarchia, fa sapere che sul caso si sono fatte solo speculazioni e nient'altro, che la verità non è stata ancora scoperta. Sarà un segreto di Pulcinella, nascosto dove tutti possono vederlo ma dove non si vuole guardare? Possibile, probabile, forse necessario. Perché Pallotta ha scelto Spalletti non per la teatralità delle pause, per i sorrisi e le frasi lente. L'ha preso perché, come ha detto da subito, “quando io faccio la formazione non ho né padre, né madre, né figli, né parenti”. Ha scelto un duro moderno, alla Ottavio Bianchi, alla Fabio Capello, che ha portato la Roma dal quinto al terzo posto con vista sul secondo prima dello scontro diretto col Napoli. “Sono coerente” ha detto dopo la vittoria sul Toro. “So come vanno le cose e capisco che a lui questa situazione non vada molto bene. Io purtroppo devo fare la parte del cattivo, ma le scelte che faccio sono per vincere le partite”.

Che futuro sarà – Il toscano passa per il killer del Totti icona incompresa, ma ha messo così tanta rabbia in corpo al capitano, da farlo esplodere ogni volta che entra. Sicuramente di questa storia non è scritta la parola fine. Totti non vuol smettere di fare il calciatore, soprattutto non vuole smettere di farlo con la Roma. I gol all'Atalanta e al Torino potranno anche valere un altro anno di contratto, ma a patto che il comandamento di re Francesco si evolva dal “non avrai altro attaccante all'infuori di me”. I tifosi si aspettano gratitudine, anche solo perché la Champions uncinata coi suoi gol vale almeno una settantina di milioni. Ma una società, soprattutto con un presidente che non è legato alla storia e alla tradizione, non è della pasta dei Sensi non è un tifoso alla Viola, non può guardare alle brevi distanze. C'è un progetto da ricostruire, c'è un futuro da disegnare in uno stadio forse nuovo. Un amore eterno, una nuova stagione con nuove bandiere.

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