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Carlo Parola, storia della rovesciata più famosa del calcio italiano

Novantacinque anni fa nasceva Carlo Parola. Dal 1965, Panini scelse la sua rovesciata come copertina dell’album dele figurine. Con quell’intervento la bandiera della Juve ha salvato un gol della Fiorentina il 15 gennaio 1950. A scattare la foto è Corrado Banchi, il primo cineoperatore mobile d’Italia.
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Un uomo diventato copertina. Ha vissuto gli ultimi otto anni in una nebbia densa, più fitta e scura delle volute delle sue amate Gauloise. Solo Giampiero Boniperti è rimasto fino all'ultimo accanto a Carlo Parola, l'uomo che reinventò la rovesciata, che trasformò un intervento difensivo nell'eternità della bellezza, nel racconto più chiaro e brillante dell'Italia che non vuole crescere mai del tutto: “lui che sale, altissimo, poi gira le gambe all' indietro come a ribaltare il cielo” scriveva Guido Crosetti su Repubblica. Da più di mezzo secolo, nell'Italia che celebra i bomber, è il gesto di un difensore che segna l'infinito tendere delle generazioni alla magia delle figurine Panini.

Un operaio alla Juve – Ne ha provati tanti di gesti così, Parola, l'operaio che giocava da attaccante nella squadra del Dopolavoro FIAT. Palla a terra non è un fulmine di guerra, ma quando è in aria segna in in tutti i modi, in tuffo, in girata, in rovesciata. Negli anni Cinquanta, dirà Capello che l'ha avuto come allenatore, toccava ancora con i piedi la traversa. In fabbrica guadagna 18 lire al mese. Tifa Juventus e quasi non ci crede quando i bianconeri gliene offrono 750. è l'ingegner Zambelli a consigliarlo a Berto Calligaris, vecchia gloria del quinquennio d'oro passato in panchina, che ha bisogno di un talento adattabile per sostituire Luisito Monti. Alla fine, anche senza esserne del tutto soddisfatto, sceglie Varglien II.

L'amico Boniperti – La necessità, in quel 3 novembre 1939, il giorno del debutto in Serie A in un'Europa già oscurata dai venti di guerra, convince Calligaris a spostarlo dall'altra parte della barricata. Ne fa uno dei migliori centromediani metodisti del nostro calcio, un po' centrocampista un po' stopper. Adesso gli attaccanti li ferma, ne anticipa mosse e pensieri. Anche se per iniziare a vincere deve aspettare l'arrivo di un biondino che al primo allenamento gli fa subito un tunnel, da cui ricava un occhio nero e l'inizio dell'amicizia di una vita: Giampiero Boniperti.

La moglie Clelia – Nuccio Gauloise, lo chiamavano tutti così, aveva già conosciuto anche l'amore della sua vita, Clelia Marca. «Ci siamo conosciuti sfollati a Val Cerrina, il 10 maggio del '45. Per me Carlo è stato il primo amore, avevo 17 anni, lui 24 – ha raccontato a Repubblica –. La prima volta che siamo usciti insieme un pomeriggio, mi sono presa uno schiaffo da mio padre perché lui mi aveva fatto sedere sulla canna della bicicletta. Carlo è venuto a parlargli: "Le chiedo scusa, ma non deve sgridarla: non è successo niente di male"». È la sua prima passione, la bicicletta. Il padre gli costruisce la prima, Carlo va forte in salita ma decisamente meno in discesa. Il papà muore quando ha sette anni e il calcio si affaccia al suo orizzonte. Carlo non diventa ricco col calcio, un'estate la Juve lo fa aspettare dieci giorni al mare prima di concedergli l'aumento che aveva chiesto: 50 mila lire. Vive in una casa ai piani alti di un palazzo a corso Sebastopoli. Dal balcone, Clelia vede la torre del Comunale ma in tutta la vita insieme andrà a vederlo solo una volta allo stadio.

Carletto l'Europeo – Negli anni '40 è il miglior calciatore italiano insieme a Valentino Mazzola, l'unico azzurro selezionato nella rappresentativa del Resto d'Europa che invano cerca di battere la Gran Bretagna il 10 maggio 1947. Diventa da quel giorno “Carletto l'Europeo”.

Diventa libero – Alla Juve intanto, nel 1949, arriva in panchina Jesse Carver, “un poliziotto inglese prestato al calcio, [che] parla un italiano pressoché incomprensibile – scrive Claudio Moretti nel sui libro I campioni che hanno fatto grande la Juventus –. Nessuno capisce cosa Carver chieda di fare ai suoi, così la tattica è inventata dai giocatori”. Parola in una mossa porta il calcio italiano avanti di vent'anni: si sposta libero. Un ruolo che gli resta familiare, anche dopo i tre scudetti da allenatore. È lui infatti, prima che la nebbia della malattia cancelli ricordi e futuro, a consigliare all'Atalanta di prendere un ragazzo che da libero avrebbe potuto fare bene. Si chiamava Gaetano Scirea.

La trasferta a Firenze – È in quella posizione che scende in campo in un pomeriggio d'inverno, il 15 gennaio 1950 a Firenze. Il tecnico viola Luigi Ferrero sposta a destra il tedesco Janda, che si rifiuterà di battere un rigore poi sbagliato da Cervato, per sottrarlo alla marcatura di Parola. Il libero juventino, scrive Vittorio Pozzo sulla Stampa, “giganteggiava (…). Parola (…) sta attraversando uno dei suoi momenti migliori [ed] è così sicuro del fatto suo da conferire fermezza a tutto il blocco difensivo”.

La rovesciata – Il momento decisivo arriva quando nessuno se lo aspetta, a pochi minuti dal fischio finale, su un lancio di Magli verso Egisto Pandolfini. Tra lui e il portiere c'è solo Parola. Leggenda vuole che dietro la porta il fotografo Corrado Bianchi si sia rifugiato per un bisogno fisiologico in una buca della pista di atletica usata per il salto a ostacoli. Figlio di commercianti, sperimenta la fotografia a Punta Ala, durante il servizio militare. Con i pochi rullini che è riuscito a conservare, documenta “l'ingresso a Massa Marittima dei soldati americani della 5a Armata, il primo pomeriggio del 24 Giugno 1944. Alcune foto, con i carri armati Sherman e i militari armati di mitra Thompson, le conservo sulla libreria del mio studio” racconta il regista Umberto Lenzi, per cui lavorerà al documentario Dalle tenebre al mare.

Leggendario Banchi – È un innovatore, il primo cineoperatore mobile d'Italia. Per alcuni anni è una presenza fissa, per la Settimana Incom, con a sua Arriflex 35 millimetri sulle motociclette al seguito del Giro d'Italia. “Con questo lavoro, cominciato subito dopo la guerra, sviluppa una forte sensibilità per il reportage sociale – ricorda Alberto Prunetti in un articolo su Repubblica –. Foto crude e realistiche, lievemente sottoesposte, che restituiscono il senso di cupa oppressione dei mestieri operai. Nel 1948 documentò il sequestro di un proprietario terriero svizzero da parte del bandito Cucchiara, in Alta Maremma. Col suo fiuto, riuscì a sorprendere i banditi mentre facevano il lavoro a maglia nei boschi, tanto per ingannare il tempo. Poi dedicò un attento sguardo sociale all'alluvione del Polesine, ai minatori della Maremma” e un amore ben diverso per la Fiorentina.

Passione viola – Già raccattapalle negli anni Venti, al Comunale vive con i piedi sulla striscia di gesso, sempre al limite dell'invasione di campo, con la stessa appassionata irruenza con cui immortalerà Sofia Loren a Miss Italia o il backstage di Così dolce… così perversa, sempre a Punta Ala.

Le figurine – Finirà per odiarla, però, quella foto casuale ristampata in trecento milioni di copie. Per quello scatto perfetto, alla fine di una partita noiosa, venderà i diritti a caldo per trentamila lire, pensando che in fondo non gli era andata nemmeno troppo male. Di quello scatto Giuseppe Panini si innamora. È l'essenza del calcio, lo spettacolo della forza e dell'armonia. Dal 1965 diventa un'icona di stile. L'oggetto di un'iconoclastia che dura da mezzo secolo. A chi non è capitato, almeno una volta, di strapparla quella rovesciata per scoprire se “ce l'ho” o “manca”? Vuol dire anche questo essere un uomo diventato copertina. Per una rovesciata in difesa, grazie a un fotografo che non la trattiene più.

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