Cantona, i 50 anni del re ribelle
Uno, nessuno, centomila. L'hanno chiamato King. L'hanno chiamato Dieu. Per Sir Alex Ferguson, resterà sempre “il mio genio”. Lui, Eric Cantona, si è sempre definito “un Robin Hood”, un anti-sistema che ruba ai ricchi per dare ai poveri. Dopo il calcio si è dato al cinema, l'evoluzione naturale di chi, per cinquant'anni, ha avuto sempre bisogno di un palco.
Ribelle – Nella storia familiare c'è già scritto tutto quel che sarà. Una storia che risale a Ozieri, in Sardegna, e passa per il nonno ufficiale dell'Armata Repubblicana Spagnola che ha combattuto contro Franco nella Guerra Civile. Il viaggio dei ribelli li porta poi sulle colline intorno a Marsiglia. Internati durante il governo di Vichy, vivranno in una grotta, un'antica cava usate anche dai nazisti come punto di osservazione. È in quella grotta che nasce il futuro Dieu. Il padre Albert suona la chitarra, dipinge e gioca da portiere dilettante. Calcio e arte attraversano le generazioni. Il piccolo Eric comincia anche lui da portiere, e impara dal papà una lezione importante, che poi è la forza del Ragno Nero, unico numero 1 a vincere il Pallone d'oro: il portiere migliore si tuffa il meno possibile, se ti devi buttare vuol dire che sei piazzato male. Se ha segnato più di 150 gol in carriera, lo deve anche a questo: se conosci la psicologia di chi incarna il ruolo più poetico e solitario del calcio, sai come batterlo.
Arte francese – Ma l'uomo Cantona non si racchiude nella carriera di un giocatore che ha lasciato Marsiglia dove, disse, “il calcio è come una religione”, per non dover più combattere contro le intromissioni dei presidenti, e ha trasformato per sempre il calcio inglese. “Looking for Eric”, il film che ha ideato per Ken Loach, è forse il suo manifesto migliore. Interpreta un fantasma che diventa lo spirito guida di un postino, Eric appunto, tifoso del Manchester United. “Cantona dà il suo meglio quando interpreta se stesso” scrive il critico cinematografico del Guardian, “in campo e fuori. Per me rimane un mistero perché un uomo così carismatico dovrebbe voler ritirarsi come attore per sparire dietro altri personaggi”.
Looking for Eric, conclude, “è il tributo del più britannico dei registi all'arte francese di rifiutare l'inevitabile”. La stessa arte che l'ha reso il calciatore del secolo del Manchester United. Perché in fondo, ha spiegato, “calcio e cinema sono simili. Si tratta pur sempre di concentrare emozioni in un tempo dato”. A Leeds, la sua prima tappa inglese, se le ricordano ancora le emozioni di quel primo titolo in 18 anni vinto anche grazie al genio francese che, parola del manager Howard Wilkinson, “faceva quel che voleva, quando lo voleva, perché lo voleva”. E quando ha dovuto venderlo allo United, per un milione di sterline, nel novembre 1992, i tifosi non gliel'hanno perdonato. Sei mesi dopo, i Red Devils avrebbero vinto il primo titolo nella storia del club dal 1967.
Calcio e integrazione – E' un uomo con le spalle larghe, Cantona. “Un'isola di libertà, generosità e orgoglio” ha detto Gerard Houllier, “un uomo che ha il coraggio di dire quel che altri non dicono”. E in patria ha pagato spesso la sua eloquenza contro il potere, soprattutto a Marsiglia. L'anno scorso si è trasformato anche in documentarista per riannodare un altro dei fili della sua storia familiare: l'integrazione, vista attraverso il calcio. “Il mondo è sempre più estremista” spiega, “credo a causa della crisi economica. Quando la gente è disperata, non sa più a cosa attaccarsi e c'è chi crea e sviluppa questi sentimenti d'odio per ragioni di potere”.
Ma il calcio può diventare un vento di cambiamento. “Raymond Kopa, primo Pallone d'Oro francese, era polacco, veniva da una famiglia di minatori, doveva esserlo anche lui, ma con il pallone si è ribellato. Platini è di origine italiane, Luis Fernandez spagnole. Solo che hanno la pelle bianca e sono meno visibili. Questa cosa che in nazionale devi cantare l'inno mi fa arrabbiare. Più vieni da fuori e più devi alzare la voce. Per dimostrare cosa? In campo si vince e si perde insieme, non per le origini. È la strumentalizzazione politica, sono le fobie, l'uso della paura dell'altro che avvelena la nostra società. Un calciatore non potrà mai essere terrorista”.
Leggerezza – Il suo calcio, scrive nella sua autobiografia, è “leggerezza, armonia, passione”; nel suo orizzonte di valori non c'è posto per l'ordine costituito. “Non sono un soldato” diceva, “il calcio non è la parata del 14 luglio”. Il suo è il calcio dell'affettività, dell'innocenza. Per questo, a 15 anni, rifiutò di entrare al Nizza: gli avevano chiesto 10 euro per comprare la bandiera della squadra. Ha preso il primo treno, è tornato a casa e ha iniziato un nuovo viaggio. L'Inghilterra diventa così la sua casa, la sua isola, anche grazie a Platini. “Lì si pensa a giocare a calcio, non si parla molto. In Inghilterra puoi andare al pub dopo la partita e stare tranquillo, la tua vita è la tua vita.”. Eric, spiegava, “è un uomo molto onesto, aperto, franco. Non gli piacciono i falsi valori e giudica le persone in base alla loro onestà. Per lui, il calcio è davvero un gioco, una festa, una gioia”.
King of Manchester– L'arrivo al Manchester United, la storica telefonata di Sir Alex Ferguson che ormai è un pezzo della cultura popolare calcistica inglese, è il primo dei suoi tre “momenti JFK”: tutti si ricordano dov'erano quando hanno saputo della notizia allo United. E per tutti i suoi compagni di squadra, quella era la scelta peggiore possibile. Per i giornali, prendere Cantona sarebbe diventato “l'ultimo errore di Ferguson sulla panchina dello United”. Si ricrederanno subito. Prima del suo arrivo, nell'anno solare 1992, i Devils avevano segnato 38 gol in 37 partite. Nelle successive 37 otterranno 88 punti con 77 gol all'attivo. “Se mai è esistito un giocatore nato per il Manchester United, è di sicuro Cantona” ha detto Ferguson. “Lui mi ha aperto gli occhi su quanto fosse indispensabile l'allenamento”. Grazie alla sua immaginazione in campo, si legge in un articolo d'epoca dell'Independent, “Cantona ha portato un gruppo di giocatori esperti e induriti a pensare il gioco in modo diverso, a esprimersi in modi che non avevano nemmeno considerato prima”.
Giocava, parola del commentatore BBC John Motson, “un calcio tutto suo”. Ha ispirato un'intera generazione, gli Scholes, i Beckham, i Neville, che avevano rispetto e quasi soggezione “Nessuno di noi lo conosceva bene” scriverà proprio Neville nella sua autobiografia, “ma volevamo tutti, disperatamente, fare una buona impressione su di lui. [Il Double del 1995-96] lo dobbiamo praticamente solo a lui”.
Cantona e il tifo – I tifosi lo hanno adorato come nessun altro, almeno dai tempi di George Best. Amavano il condottiero dal petto in fuori e dal colletto alzato, che diceva e faceva quel che credeva giusto, oltre le apparenze e le convenzioni. “Non posso spiegare il mio rapporto con i tifosi” scrive nel suo libro Manchester United: The Biography. "E non voglio. È come in amore, non hai bisogno di parole per spiegare come ti senti o perché ti senti così”. I tifosi hanno adorato l'icona scomoda, il “Picasso” dei Grands Guignols, lo show satirico di pupazzi della tv francese, e in un certo senso anche il calcio al tifoso del Crystal Palace. “Non sono qui per educare nessuno” ha detto, “dovremmo smetterla di pensare ai giovani come delle sagome di argilla da modellare. I ragazzini mi seguono perché vanno dove c'è sincerità, autenticità. Non penso che sia meglio insegnare loro a negare le emozioni a beneficio dell'ordine costituito. È davvero insegnando a essere sottomessi che trasformeremo i giovani in cittadini adulti?”.
Eccolo, il Cantona-pensiero, il Robin Hood che da squalificato diventa il primo straniero a vincere il premio di calciatore dell'anno in Premier League e se la prende a modo suo con i giornalisti che si affollano in tribunale per le sue udienze dopo quel calcio a Selhurst Park. “Quando i gabbiani seguono il peschereccio è perché pensano che verranno gettate in mare delle sardine” diventa una delle sue massime ormai più conosciute.
Esempio? No grazie – Il Cantona-pensiero è tutto qui. “Non m'interessa essere un pagliaccio in mani altrui” ha detto a Emanuela Audisio su Repubblica. Non accetto morali, né finire catalogato. Io sono stato anche quel gesto, non lo sconfesso. Non c'è un Cantona cattivo e uno buono. C'è un Cantona che ha attraversato la vita, che ha fatto esperienza e che non vuole essere ridotto a un francobollo”.