Calcio e droga, 5 calciatori finiti nel tunnel della cocaina (e poi usciti)
Gli agi, la fama, il successo, la popolarità e la frequentazione di certi ambienti possono essere assolutamente nocive per tanti, forse troppi, calciatori che, nel corso della loro incredibile carriera, non hanno saputo gestire la situazione e le troppe luci della ribalta poste, metaforicamente, sopra di loro. Parliamo di quei ragazzi, al culmine dell’attenzione mediatica che sono caduti rovinosamente nel pericoloso tunnel della droga.
Giocatori semplici che in campo facevano divertire il pubblico e che invece, in privato, erano vittime di un male terribile e logorante, quello della dipendenza dagli stupefacenti. Vediamo quindi i 5 calciatori che hanno avuto a che fare col demone dei narcotici.
Un 10 e i suoi demoni, Diego Armando Maradona
Un giorno El Pibe de Oro ebbe a dire: “Senza la droga sarei stato fenomenale”. Eppure l’ex 10 del Napoli è diventato per molti, nonostante tutto e nonostante l’infortunio che gli causò la perdita del 30% della motilità della caviglia sinistra, il calciatore più grande di tutti i tempi. Ma Diego ha legato, nel corso della sua carriera unica ed irripetibile, alle sue magiche giocate in campo un utilizzo importante di cocaina che spesso non gli hanno consentito di mettere in mostra tutto il suo sterminato potenziale e tutte le sue infinite qualità compromettendo quasi irrimediabilmente più e più volte il suo stato di salute. Una dipendenza pericolosissima rivelatasi all’opinione pubblica, nonostante tutti nell’ambiente sapessero, il 17 marzo 1991 quando l’ex Barcellona fu trovato positivo alla cocaina al termine di un match contro il Bari con conseguente squalifica di 1 anno e mezzo. Ritornato in campo col Siviglia, poi col Newell’s Old Boys subisce, nel 1994, ancora uno stop nel mondiale statunitense quando il campione argentino fu trovato positivo all’efedrina, sostanza usata nella sintesi delle metanfetamine. Il resto, resurrezione compresa, è storia recente.
Caniggia, la caduta e la riabilitazione
A differenza del suo idolo indiscusso Diego Maradona, l’esterno offensivo di Verona, Atalanta e Roma Claudio Daniel Caniggia ha vestito i panni del modello da emulare per uscire da questo terrificante tunnel in quanto, la sua personalissima battaglia, l’ha vinta quando era ancora un calciatore e non a ritiro inoltrato. Il ragazzo della provincia di Buenos Aires, infatti, dopo esser stato trovato positivo alla cocaina nel 1992, durante la sua seconda stagione in giallorosso, con conseguente squalifica dai rettangoli di gioco per 13 mesi, è riuscito a smettere in tempo per non compromettere una comunque ottima carriera. Al termine della disavventura romana il “figlio del vento” (così veniva soprannominato l’ala destra argentina) è stato in grado di tornare a calcare campi importanti con Benfica prima, Boca Juniors e Rangers Glasgow poi.
Adrian Mutu e il suo peccato di gioventù
“Una trappola fatta di sbagli di gioventù, non certo qualcosa organizzato dal Chelsea per mandarmi via. Era facile sbagliare: ero molto famoso, a Londra andavo dappertutto e mi trattavano da re. Sono stato ingenuo, sono stato un pollo”. Queste le parole dell’attaccante rumeno Adrian Mutu che, nell’unico anno trascorso a Londra, ha fatto uso di sostanze stupefacenti per un senso di onnipotenza dettato dalla fama e dalla gloria raggiunta, grazie anche ad un faraonico ingaggio, coi Blues. Un episodio che poi gli costò, oltre alla sanzione disciplinare, una querelle giudiziaria lunghissima per la richiesta di 17 milioni di euro al giocatore a titolo di risarcimento dal Chelsea pagato, al tempo, ben 20 milioni di euro. Un comportamento da condannare e che forse chissà non verrebbe tollerato dallo stesso Adrian che, dopo essersi ritirato dall’attività agonistica, è diventato presidente della Dinamo Bucarest.
Radiato per uso di droghe, la triste storia di Bachini
Nazionale italiano (2 presenze contro Svizzera e rappresentativa All Star) e buon calciatore di Udinese, Juventus, Parma e Brescia, Jonathan Bachini diventa, triste record a dire il vero, il primo e finora unico giocatore nostrano ad aver ricevuto una squalifica a vita a causa della cocaina. Il livornese, infatti, dopo essersi fatto le ossa con l’Alessandria e in prestito con la Juve Stabia si guadagna la titolarità con la sorprendente Udinese di Zaccheroni fino a giungere fra le fila della Vecchia Signora ed entrare nello scambio che porterà Buffon alla Juventus. Di lì un trasferimento al Brescia dove, nel 2004 viene trovato per la prima volta positivo all’antidoping rimediando una squalifica per un anno. Nell'estate 2005 però, il Siena decide di credere ancora in lui ingaggiandolo come esterno destro utile alla compagine allora guidata da De Canio ma, nel gennaio 2006 viene trovato nuovamente positivo al test della cocaina dopo l’impegno con la Lazio e così, nel mese successivo, il sodalizio toscano rescinde il suo contratto mentre il calciatore viene dapprima sospeso e infine squalificato a vita (con conseguente radiazione) il 30 marzo 2006.
Scommesse e coca pongono fine alla carriera di Flachi
Il terzo marcatore di sempre della Sampdoria (dietro Vialli e Mancini), Francesco Flachi dopo due anni di gavetta trascorsi con le maglie di Bari e Ancona arriva a Genova nel 1999 dove diventerà, un po’ alla Robbie Fowler del Liverpool, l’idolo assoluto di Marassi. Dal 2006 però, cominciano i guai con prima il coinvolgimento nello scandalo calcioscommesse (nel quale il fiorentino si era informato sull’esito finale del derby di Roma del 2005) che gli costa due mesi di squalifica e poi, sempre durante la stessa stagione, con la positività alla cocaina nei test antidoping che lo costringono ad uno stop di 16 mesi di stop e a salutare la maglia blucerchiata. Dopo aver pagato il suo conto con la giustizia sportiva, Flachi riparte e viene nuovamente ingaggiato dall’Empoli e poi dal Brescia ma, il ragazzo, non è ancora uscito dal tunnel della droga e ci ricasca con una nuova positività alla sostanza nel dicembre 2009 al termine di un Brescia-Modena. Flachi evita la radiazione che però viene comminata, dal tribunale nazionale antidoping in una squalifica, dagli effetti perentori, di 12 anni: è la fine della sua altalenante parabola calcistica.