Buffon contro il VAR: ma si usa davvero troppo e male?
VAR o non VAR? Il VAR sport, ritratto di un’Italia alla Stefano Benni in versione tecnologica, coinvolge tutti, appassionati e addetti ai lavori. Come ogni innovazione, richiede tempo di adattamento, suscita approvazioni e qualche critica. A Marassi, col fuorigioco di Galabinov non visto, a Benevento, per una decisione che ha richiesto fin troppo tempo, e a Roma in occasione del fallo in area di Skriniar su Perotti, dimostra che le osservazioni critiche di Buffon richiedono almeno un approfondimento.
Buffon: "Se ne fa un uso eccessivo"
“Secondo me si sta facendo un uso spropositato del Var, sbagliato” ha detto Buffon. “Si diceva che andava utilizzato con parsimonia, in modo giusto e utile. E invece così sembra di giocare a pallanuoto. È uno strumento che, adoperato con parsimonia, può dare ottimi risultati e fare il bene del calcio. Ma così non mi piace".
VAR non è moviola in campo
Chiariamo subito un aspetto, che non è solo una sottigliezza semantica. La VAR, scrive sul suo seguito blog l’ex arbitro Marelli, “NON (sic) è la moviola in campo. Sembra una frase buttata a caso ma, in realtà, è il fondamento su cui si basa tutta la sperimentazione e, nel futuro, l’utilizzo standardizzato dello strumento in oggetto. Se si trattasse di una vera e propria moviola ciò presupporrebbe un utilizzo della stessa in almeno 15 occasioni per partita, spezzettando la gara in un infinito susseguirsi di episodi da rivedere a gioco fermo. La VAR, al contrario, è nata per ovviare a chiari errori commessi in campo dall’arbitro centrale, dagli assistenti e, in alcuni ipotesi, anche dagli stessi quarti ufficiali”.
Se l’arbitro vede, la decisione resta
Uno strumento di supporto, dunque, che non si sostituisce sic et simpliciter all’arbitro. Arbitro che, però, deve entrare in una nuovo ordine di idee. Per questo Irrati, che vede il contatto Skriniar-Perotti e non lo valuta passibile di rigore ma assegna solo calcio d’angolo, non chiede di visionare le immagini. È una valutazione, Orsato che è addetto al check delle immagini non rileva un errore tecnico chiaro e fa riprendere il gioco. L’arbitro, e non può che essere così, resta il responsabile delle decisioni, e la tecnologia non può cambiare una valutazione presa dal direttore di gara nel pieno controllo dell’azione.
Né, nel caso specifico, può correggere l’unico errore tecnico, l’assegnazione del calcio d’angolo perché è Perotti a toccare per ultimo: non lo fa perché non è nei poteri dei VAR cambiare una decisione su un calcio d’angolo.
Su cosa interviene
Su cosa interviene, dunque? Sui momenti che possono cambiare la partita: per stabilire la regolarità di un gol, decidere se espellere un giocatore, decidere se dare un rigore, per correggere l’ammonizione o l’espulsione del giocatore sbagliato.
Come funziona
Può essere sia l’arbitro in campo a richiedere il supporto delle immagini o uno dei tecnici a consigliare di rivedere una situazione. Il video viene rivisto dagli addetti al Var che informano via auricolare l'arbitro che può accettare l’indicazione del VAR o andare a visionare quanto successo a bordo campo, come successo in occasione del rigore al Cagliari all’Allianz Stadium.
Ma, in caso di azione controversa o di una interpretazione da parte dell’arbitro in campo”, si leggeva sulla Gazzetta dello Sport alla vigilia del campionato, “allora i colleghi al Var dovranno astenersi, lasciando inalterata la decisione presa”.
Pregi e difetti
Sui rigori, a Torino in Juventus-Cagliari e a Genova, nel caso contestato di Galabinov, si percepiscono insieme i pregi e limiti dello strumento, ancora in fase di rodaggio. I due rigori nascono su dinamiche praticamente simili, con l’attaccante che copre il pallone e l’arbitro che non può vedere la gamba del difensore. L’arbitro, che decide sempre sulla base di quello che vede, nel dubbio chiede il supporto del VAR.
Che succede però a Genova? Che Galabinov è in fuorigioco. L’offside non rientra, di norma, fra le situazioni che la tecnologia può intervenire a correggere, ma in questo caso va considerato perché fa parte dello sviluppo di un’azione da rigore. L’assistente in campo e al VAR avrebbe dovuto notarlo, anche perché il fuorigioco dell’attaccante del Genoa è una semplice rilevazione, non una valutazione.
Meglio un guardalinee fra gli assistenti VAR
Peraltro, chi è davanti allo schermo gode anche di grafiche più evolute da parte dell’Hawk-Eye, la tecnologia usata anche nel tennis per la ricostruzione digitale delle traiettorie e nel calcio per la Goal-Line technology, diverse da quel che si vede in tv, che fanno emergere più facilmente la posizione dei giocatori rispetto alla linea. In questo, sarebbe stato anche più opportuno che dei due Virtual Assistant Referees almeno uno fosse un guardalinee, più abituato a spostare la sua attenzione selettiva su quel tipo di situazioni.
Troppo tempo per decidere?
Finora, questo è innegabile, in alcuni interventi si è perso anche troppo tempo, anche se per esempio cambiare la decisione in Juventus-Cagliari, nel primo intervento del VAR in Serie A, con l’arbitro che va anche a bordo campo a rivedere le immagini, ha richiesto un minuto e mezzo, un tempo che normalmente si perde fra proteste e dichiarazioni varie di innocenza. “Alcuni sbagli sono stati commessi” ha detto il designatore Nicola Rizzoli alla Gazzetta dello Sport. “Si è perso troppo tempo per controllare le azioni e questo ha rallentato il gioco. Recuperare i replay giusti è stato in alcuni casi più faticoso del previsto. Ci vuole pazienza, anche i tecnici strada facendo diventeranno più rapidi”.
La tecnologia, comunque, aiuta a sbagliare meno. E non toglie l’autorità decisionale dell’arbitro. Sui tempi servirà… del tempo, come per ogni novità. Ma due giornate non bastano per promuovere o bocciare senza riserve. Magari si potrebbe, tuttavia, prendere l'esempio del tennis e fare in modo che le squadre possano richiedere la verifica di una decisione: due volte per tempo, per esempio, e se dovessero avere ragione non verrebbe scalato il jolly. Il futuro passa anche da qui.