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Buffon, 40 anni da numero 1. E da Pallone d’Oro (anche senza averlo vinto)

Gigi Buffon compie 40 anni. Ripercorriamo le tappe chiave e gli incontri decisivi per il numero 1 dei record, alla Juventus e in Nazionale. Eppure iniziò come centrocampista. La visione di N’Kono gli ha cambiato la vita. I sogni? La Champions e il Pallone d’oro.
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“Avevo 12 anni quando ti ho voltato le spalle. Rinnegai il mio passato per garantirti un futuro sicuro. Una scelta di cuore. Una scelta d'istinto. Proprio nel giorno in cui ho smesso di guardarti in faccia però, ho cominciato ad amarti”. Buffon e la porta, corrispondenza d'amorosi sensi in un post Facebook del portiere che ha scritto la storia del ruolo e del calcio italiano.

Folgorato da N'Kono

A quel'età ci si innamorava di Maradona, o di Gary Lineker. Buffon no. Buffon si innamora di Thomas N'Kono, il portiere del Camerun, che proprio sull'attaccante dell'Inghilterra commette il fallo da rigore al minuto 120 del quarto di Italia '90. Il piccolo Gigi piange sconsolato per quella che vive come un'ingiustizia. Per lui chiamerà il figlio Thomas Luis. Per lui è andato in Camerun, per celebrarne l'addio al calcio. “Disse di sì ma non credevo venisse” ha detto il portiere dei Leoni Indomabili. “Invece arrivò e prese il pullmino con noi. L’umiltà viene prima dei soldi”. Per lui, per Gigi, il suo idolo potrebbe tuffarsi un'ultima volta.

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Vuole vincere la Champions

“Da anni mi chiedo cosa mi spinga ancora a giocare. Questa battaglia interiore mi porta forti motivazioni” diceva a Kicker, rivista tedesca fra le migliori d'Europa sul calcio. “Se avessi vinto la Champions sarei svuotato, il fatto di non averla ancora vinta mi sprona”.

Lo spinge lo stesso spirito di quando bambino giocava in pineta, di quando sognava nel Perticata, squadra di Pulcini di Carrara, negli anni in cui ammirava Matthaus, il Pescara di Galeone e il Genoa. Era a San Siro, prima di Inter-Verona 1988-89, per una sfida fra i migliori bambini della Toscana e quelli del Veneto prima del match. Da quelle parti Lorenzo Buffon significa ancora molto. Cugino di secondo grado di suo nonno, portiere del Milan dal 1949 al 1957, da osservatore rossonero ha portato due ragazzini, che il club però ha sempre rifiutato e che son diventati poi compagni di squadra nelle stagioni più belle e nei momenti più bui in bianconero: Gigi, che ci ha messo del tempo per togliersi l'immagine di raccomandato, e un mediano tredicenne che come Buffon avrebbe fatto la storia in un ruolo diverso, Gianluca Pessotto.

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Lo vogliono in tanti, sceglie il Parma e ci va da solo, a 13 anni. Dice molto dell'uomo che sarebbe diventato, con “la bandana del pirata e lo sguardo limpido del guascone per caso” scriveva Roberto Perrone, “di quello che, quando fa una marachella, lo beccano subito”. Ogni riferimento al boia chi molla, alle scommesse o al numero 88 non è certo casuale. “Ma che processo alle intenzioni è mai questo?” scrisse allora Massimo Fini, “adesso siccome il numero 88 disturba la sensibilità degli ebrei, per fatti accaduti cinquantacinque anni fa quando non solo Buffon ma la maggior parte di noi non era ancora nata, dovremmo espungerlo dalla matematica come i superstiziosi fanno col 17?”.

Polli e Scala, incontri decisivi a Parma

Quella di Buffon è una storia di incontri di successo e deviazioni nel percorso della gloria. Il primo, fondamentale, è quello con un mito del Parma, Ermes Polli, più di 300 partite da libero in gialloblù. Lo chiamavano “il postino”, è stato il suo primo tecnico a Parma. L'allenatore dei portieri Ermes Fulgoni dopo sei mesi gli dice che sarebbe arrivato in serie A. Arriverà anche prima in Europam contro l'Halmstadt. Finì 0-0, come all'esordio contro il Milan. “Entrando in campo mi sembrò di avere sempre giocato in serie A, ma non era una sensazione da spaccone, era solo che mi sentivo al mio posto”.

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Quando c'è lui, niente è impossibile

Il buon portiere, scriveva Edmondo Berselli che molto si intendeva di uomini e di sport, “deve parare il parabile: uscire, chiudere lo specchio, indurre all’errore la punta avversaria, parare qualche rigore, non esagerare con il tuffo spettacolo e badare alla praticità. Ma il portiere grandissimo ha un solo compito, oltre a tutto ciò: prendere anche l’impossibile. La palla all’incrocio, il tiro sotto misura, il rimpallo nell’area piccola, il colpo di testa che schizza in una mischia, la deviazione sfortunata di un compagno”.

Da ragazzo, parava i rigori come il Benji Price dei cartoni animati. Ne respinge cinque tra quarti e semifinali dell'Europeo under 15 del 1993. “Bentivoglio e Buffon, l'Italia vi applaude” scrive la Gazzetta dello Sport. È il primo titolo che riserva al portiere dei record. Lo condivide con Francesca Bentivoglio, sedicenne che ha fatto sognare il Foro Italico battendo Jana Novotna e Natasha Zvereva (tra le prime 25 del mondo) perdendo poi da Gabriela Sabatini, l'argentina più amata di Roma, nei quarti degli Internazionali d'Italia di tennis.

L'azione si avvicina, la mente vola

Bentivoglio avrebbe lasciato tutto per dedicarsi all'università e cercare una vita normale a 17 anni. Buffon che è stato anche falegname durante il servizio civile e ha forgiato stile e carattere con la cura dell'artigiano, si è attrezzato per i miracoli molto dopo averli attesi invano nella gita di famiglia a Lourdes nel 1981. La sua parata più bella, ha sempre detto, risale a vent’anni fa. Italia-Paraguay 3-1, colpo di testa da due metri e reazione da Superman con cui riesce a deviare il pallone. Come abbia fatto, non sa.

“Mentre aspetto che l’azione si avvicini alla mia area, mi capita spesso di fantasticare” raccontava. “Succede pure nelle sfide più importanti. Butto l’occhio su un cartellone e inizio a pensare alla pubblicità, ai colori. La testa lavora”. E il cuore rallenta, direbbe De Andrè.

Sliding door: la Juve nel cuore

Al ritorno da quel viaggio a Lourdes tormenterà le sorelle Guendalina e Veronica, pallavolista che la Coppa dei Campioni l'ha vinta, a Matera, e dopo ogni partita lo sente chiudersi in una piccola casa accanto alla villetta di famiglia, e cantare i cori da stadio. Un'altra Veronica, o meglio Veronique, gli cambierà la vita.

E' la voglia di mare di Veronique Zidane a spostare in avanti l'orologio della storia. Niente più villa in collina, giornate fra il Comunale, la scuola dei bambini e il ristorante da Angelino, lungo il Po (porterà il figlio come cuoco della nazionale). Certo, Madrid il mare non ce l'ha lo stesso, ma il Real è un'offerta di quelle che non si possono rifiutare. La Juve cede un gioiello e ne prende tre, sistema la difesa e si trova in casa il portiere dei record, con la striscia di imbattibilità più lunga in serie A (974’), quello che ha vinto più scudetti (8) e più trofei con la Juve (17). “La Juventus è diventata il mio stile di vita. Questo mondo mi è entrato dentro, per questo non riesco più a immaginarmi con un’altra maglia” ha detto.

"Un bravo portiere si vede quando sbaglia"

Il pianto dopo la Svezia, il campionato del mondo, l'esordio sotto la neve di Russia. Fotogrammi del calciatore con più presenze in azzurro (175), uno dei tre al mondo, con il tedesco Matthaus e il messicano Carbajal, ad avere partecipato a cinque mondiali. “Sento di poter ancora fare la differenza. Non vado avanti tanto per portare la barchetta in porto. Io sono sempre stato un motoscafo e andrò a manetta finché posso” raccontava. Per Antonio Conte, che l'ha allenato a Torino e in azzurro, è il Federer dei portieri. E come per Federer, c'è chi sostiene che brilli anche per una certa assenza di concorrenza. Lo diceva Stefano Tacconi, per cui è “un portiere molto bravo che si confronta con il nulla”.

Lui, che di Federer è amico, ma veniva spesso scelto alla Playstation anche da Rafa Nadal, continua a portare le sue idee e i suoi valori, la fede cattolica, le simpatie di destra. Dopo il matrimoni da copertina con Alena Seredova e il fidanzamento con Ilaria D'Amico, non ha perso negli occhi il blu della gioventù. Continua a non cercare scuse nelle sconfitte e a prendersi le sue rivincite nelle vittorie. E ai giovani dice siate più strafottenti, non spaventatevi al primo errore. Perché "un bravo portiere si vede nel momento degli errori. E per me “essere nell'occhio del ciclone è uno stimolo”.

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