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Argentina-Olanda e le ombre del Mondiale dei generali

Lo scrittore Jimmy Burns l’ha definito “il circo sportivo più politicizzato dai tempi delle Olimpiadi del 1936”. E’ il Mundial d’Argentina del 1978. Tra aiuti e combine l’albiceleste trionfa mentre a pochi passi dallo stadio migliaia di dissidenti vengono torturati e gettati in mare nei voli della morte.
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Lo scrittore Jimmy Burns l’ha definito «il circo sportivo più politicizzato dai tempi delle Olimpiadi del 1936». Un mese di follia collettiva, negli stadi a due passi dalle camere di tortura e con i soldati armati alle porte. È una vittoria dello sport, o la sconfitta di un popolo? È il Mondiale d'Argentina 1978. Il Mondiale della Marmelada Peruana, della finale tra l'albiceleste e l'Olanda senza Crujff. Una finale dall'esito già scritto, un destino che assume la forma beffarda del palo sul diagonale di Rensenbrink al 90′. La parziale rivincita orange nei quarti di Marsiglia nel '98 ancora non cancella il ricordo di un giorno in cui il calcio è stato davvero molto più di un gioco, molto più di una questione di vita o di morte.

Desaparecidos – Dal 24 marzo 1976 l'Argentina è sotto la dittatura militare del generale Videla, che tre mesi dopo incontra il segretario di Stato americano Henry Kissinger e riceve dà il suo sostanziale appoggio alla cosiddetta “guerra sporca», la politica di repressione e uccisione dei dissidenti politici: si ritiene che ne siano scomparsi fino a 30 mila, fatti sparire in segreto, torturati e gettati in mare dagli aerei nei “voli della morte”. Tra loro c'è anche il 17enne fratello di Roberto Moresi, allora attaccante del River Plate. I dissidenti o sospetti tali vengono fatti sparire di notte, in segreto, e tenuti in circa 400 centri di detenzione e tortura. Il più grande è l'ESMA, la Escuela de Mecánica de la Armada, un complesso edifici dalle colonne bianche e i tetti di tegole rosse sull'Avenida Libertad, non lontano dallo stadio di Buenos Aires che ha ospitato quella finale. Le modalità del sequestro e delle sparizioni persegue un obiettivo duplice: evitare che si ripeta quanto accaduto nel Cile di Pinochet, con le immagini dei prigionieri nello stadio Nacional di Santiago del Cile che hanno sollevato l'indignazione mondiale, e terrorizzare la popolazione. Videla presenta il suo Processo di Riorganizzazione Nazionale, una politica anticomunista intenzionata a favorire il contenimento dell'inflazione e l'avvento di capitali stranieri. La riorganizzazione nazionale deve andare di pari passo con la riorganizzazione della nazionale, perché per Videla la Coppa del Mondo è uno strumento politico per allargare le basi del consenso e legittimare l'immagine dell'Argentina agli occhi dell’opinione pubblica interna e internazionale.

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Propaganda – Il quadriennio 1975-78, senza l’assillo della ricerca della qualificazione, diventa per la nazionale il teatro di una rivoluzione rousseauiana, di un progresso come ritorno indietro dopo gli eccessi di cattiveria incarnati dall'Estudiantes della Bruja, Veron senior, e della finale di Coppa Libertadores contro il Milan finita con Poletti arrestato per lesioni ai rossoneri, soprattutto Combin. Una rivoluzione che vuole riappropriarsi del concetto primigenio del calcio come bellezza, tipico della cultura argentina. L’uomo nuovo diventa Cesar Luis Menotti, “el Flaco” (lo smilzo), di idee politicamente radicali, lontanissimo dalle idee politiche e dal progetto della giunta. Videla, però, lo sopporta perché se c'è un allenatore che può portare l'Argentina a vincere il Mondiale è lui. E la dittatura ha bisogno di quel trionfo in casa per raggiungere i suoi obiettivi. Per questo, nei primi mesi del 1978, l'intera nazione viene invasa da manifesti con lo slogan «venticinque milioni di argentini giocheranno la Coppa del Mondo». Anche se, come commenta Simon Kuper in Calcio e potere sarebbe stato più giusto scrivere «venticinque milioni di argentini pagheranno per la Coppa del Mondo», costata la cifra monstre di 700 milioni di dollari per le spese organizzative, più altri 300 per gli extra. Nell'opera capillare di distrazione di massa, il generale Omar Actis, a capo del comitato organizzatore, assume una società americana di pubbliche relazioni, la Burson&Marsteller, per mostrare al mondo la migliore faccia possibile dell’Argentina. A pochi mesi dal fischio d’inizio, poi, viene lanciata l’Operazione El Barrido. I quartieri malfamati alla periferia di Buenos Aires sono rasi al suolo e gli abitanti evacuati nella provincia di Catamarca. A Rosario, lungo il viale principale, per nascondere la povertà delle periferie, viene eretto un muro con immagini dipinte di un quartiere idillico che non esiste. Intanto, dietro quei fondali, le persecuzioni si intensificano al ritmo di oltre 200 arresti al giorno.

Marmelada peruana – Non comincia bene, però, il Mondiale dell'Argentina che perde 1-0 dall'Italia di Bearzot che, scrive Eduardo Galeano, “disegnò sul campo un triangolo perfetto, dentro il quale la difesa argentina rimase persa più di un cieco in mezzo a una sparatoria. Antognoni fece scivolare la palla verso Bettega che l'appoggiò su Rossi che era di spalle e Rossi gliela restituì di tacco mentre Bettega si infilava in area. Bettega superò due giocatori e batté con un sinistro anche il portiere Fillol. Anche se nessuno ancora lo sapeva, la squadra italiana aveva già cominciato a vincere il Mondiale di quattro anni dopo”. L'Argentina non poteva più sbagliare. Tra aiutini e favori arbitrali, arriva all'ultima partita del girone di semifinale contro il Perù. Nel gruppo ci sono anche Brasile e Polonia che però non giocano la sfida che deciderà la finalista della Coppa del Mondo alla stessa ora. Giocano prima: il Brasile vince 3-1 e quando l'Argentina scende in campo contro i peruviani sa che con un successo per 6-0 sarà in finale. La partita è surreale. Il Brasile le prova tutte perché la FIFA impedisca al Perù di schierare il portiere Quiroga, che è un argentino naturalizzato da poco e che per anni ha giocato proprio in quello stadio, al Rosario Central. Non otterranno, prevedibilmente, nulla. I retroscena su quella partita si sprecano. Il centrocampista peruviano José Velasquez racconterà di una strana visita negli spogliatoi del generale Videla accompagnato da Henry Kissinger. Il governo argentino, poco prima della partita, fa partire un carico di un milione di tonnellate di grano e apre una linea di credito di 50 milioni di dollari verso il Perù. Nel 2007 Fernando Rodriguez Mondragòn, figlio di Gilberto Rodriguez Orejuela, uno dei boss più potenti del narcotraffico colombiano, nel libro El hijo del Ajedrecista (Il figlio dello Scacchista, che era il soprannome del padre), rivela che Orejuela insieme al fratello Miguel avrebbero portato una enorme quantità di denaro per corrompere i peruviani e garantire il passaggio in finale dell'albiceleste che, senza nessuna sorpresa, vincerà proprio per 6-0.

La finale – Il 25 giugno tutto si ferma: c’è la finale con l’Olanda. In tribuna, al Monumental, ci sono Videla, l’ammiraglio Emilio Eduardo Massera (responsabile dell’Esma), il venerabile maestro Licio Gelli e Rafael Luis Rega, ex ministro dell’Interno di Isabelita Peron e inventore dell’ Alianza Anticomunista Argentina, nome ufficiale degli squadroni della morte. “Stavamo disputando la finale nello stadio del River Plate, e a 3-400 c’era la scuola di meccanica navale. Solo dopo abbiamo scoperto che era il principale centro di tortura della marina” ha raccontato Ardiles a Tim Pears dell'Observer. “E penso, quando segnavamo, tutti ci potevano sentire. Le guardie magari dicevano ai prigionieri «stiamo vincendo», è così che probabilmente glielo riferivano. Non dicevano «L’Argentina sta vincendo» ma «noi stiamo vincendo». Uno è l’aguzzino, l’altro la sua vittima. E poi penso, coloro che erano imprigionati come si sentivano, felici o tristi? In un certo senso erano felici perché erano argentini, e stavamo vincendo la Coppa del Mondo per la prima volta nella nostra storia. Meraviglioso. Ma sapevano che quella vittoria significava che la dittatura militare sarebbe durata ancora a lungo. Che non sarebbero stati rilasciati. Cosa hanno provato in quei momenti?”. Occorrono 120 minuti all’Argentina per vincere quella Coppa. Il Paese è in festa, per un giorno le torture e i voli che scaraventano nell’Oceano gli oppositori ancora vivi sono sospesi. Ma Videla uno smacco lo subisce: gli olandesi, a fine gara, si rifiutano di stringere la mano a lui e agli altri. È un no di grande valore simbolico, come il gran rifiuto di Jorge Carrascosa, il vero capitano della nazionale e dell'Huracan che aveva rifiutato la convocazione. Sulla coppa ci sono idealmente anche le mani delle madri di Plaza de Mayo e dei Montoneros, gli attivisti che avrebbero voluto trasformare il Mundial in una gigantesca conferenza stampa per informare il mondo delle sofferenze del popolo argentino. E a quasi quarant'anni di distanza un dilemma resta: Menotti, con il suo calcio fatto di bellezza ed eleganza, ha aiutato il regime portando la nazionale alla vittoria, o si è opposto alla dittatura facendo trionfare la bellezza sulla forza?

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