‘Arcangelo’ Milik, i 23 anni dell’oro di Napoli
Non brilla, non spicca. Ma quando manca, la differenza la vedi, la senti, la tocchi. È servito un Mertens in versione re Mida perché Sarri e il Napoli passassero indenni i 118 giorni senza Arkadiusz Milik. Dall'Atalanta all'Atalanta è cambiato molto, cazzimma o non cazzimma. Il Napoli ha giocato col falso centravanti, ha perso Gabbiadini, portato Pavoletti, ha giocato con i piccoli e con la torre, con i cross e il “giropalla”, con i lanci e con i tagli. Ha cambiato pelle, modi e orizzonti prima di ritrovare l'attaccante che sta bene al gioco di Sarri, che elimina il superfluo e raggiunge l'essenziale.
Milik e il calcio verticale
Vede il calcio in verticale Milik, capace di un gol ogni 85 minuti in maglia azzurra, che non ha tradito caratteristiche e potenziale già emersi negli anni all'Ajax. È michelangiolesco, scavato, lineare, duro all'apparenza, forgiato dalla vita. È spigoloso ma trasmette sicurezza, la forza tranquilla nel caos calmo di squadre che fanno della creatività offensiva il paradigma della propria identità. Non indugia in dribbling o movenze strappa-applausi, guarda la porta. È razionale, semplice. Fa tutto bene come chi ha studiato per mandare a memoria lo spartito e non ha nessuna intenzione di derogare, di affidarsi all'improvvisazione.
Tiro mancino, punto di forza
Ha fatto anche del suo limite più evidente in fase offensiva, l'uso praticamente esclusivo del sinistro, un punto di forza. Non esce dalle strade che il suo talento gli consente di percorrere, il bello viene sempre dopo l'utile. Al Napoli tira meno che nell'ultima stagione all'Ajax, 1.8 conclusioni di media rispetto alle 3.5 dell'anno scorso, e nelle nove presenze complessive è risultato anche meno coinvolto nel gioco (13 tocchi contro 24 e 0,6 passaggi chiave, quasi la metà rispetto all'ultima Eredivisie). Ma non teme confronti, nemmeno con Higuain.
"Sono venuto qui per fare la storia"
Non mi piace essere paragonato a nessuno. Io sono Milik e sono venuto a Napoli per scrivere qui la mia storia – ha detto in un'intervista alla tv Canale 21 – Amo Napoli e i napoletani, che ti sommergono con il loro affetto e il loro calore. Ci sono posti bellissimi vicini al mare, dove amo rilassarmi. Adoro, poi, la pizza e la cucina napoletana, con pasta e mozzarella, ma devo trattenermi per restare in piena forma.
Infanzia dura a Tychy
Era lontana l'eco dell'Italia a Tychy, il sobborgo dormitorio della Slesia dove è nato, dove la Fiat ha delocalizzato la produzione della Pandam della Lancia Ypsilon e della Nuova 500. “I ragazzi di Tychy vengono su tutti allo stesso modo. Alti, forti, con due spalle larghe così e gli occhi profondi dentro i quali ci leggi i sogni” scrive Raffaele Schettino su Metropolis. Ha le idee chiare Arek, come lo chiamano da queste parti. Le ha avute da sempre, da quando la morte del padre l'ha messo di fronte a uno scenario più grande di lui. Si è perso, ha annebbiato i sogni con i piccoli furti e le sigarette. “Ha sempre scelto lui cosa fare, le compagnie da frequentare” ha detto il fratello maggiore Lukasz che, se questo fosse un romanzo di formazione, sarebbe una sorta di secondo padre.
Orfano di padre, lo ‘ritrova' in campo
“Era un ragazzo gioioso, sempre attivo e brillante nello sport” ha detto la sua insegnante Ewa Habryka. Ha lavorato duro per emergere, sono felice che abbia attirato l'attenzione delle persone giuste”. Di persone come “Moki”, al secolo Slawomir Mogilany, tecnico delle giovanili del Rozwój Katowice: è lui il secondo padre che per primo intravede lampi di talento in quel ragazzo magro e desideroso di emergere da quella città-dormitorio non lontano dalla Vistola dove i quartieri si indicano con le lettere dell'alfabeto.
Katowice, lontana appena venti chilometri, è la prima tappa per chi vuole togliersi dall'orizzonte grigio degli stabilimenti dell'ex Fiat e della Tyskie, una delle birre più bevute in Polonia. Moki, spiega il suo ex giocatore Konrad Nowak, “è il miglior allenatore possibile. È severo e insieme un amico, un'autorità. Ci ha insegnato a credere in noi stessi, ci ha fatto capire che il risultato non è sempre la cosa più importante. Abbiamo giocato al meglio non per vincere, ma perché non volevamo deluderlo”.
L'incontro con Moki
Col numero 99 sulle spalle, Aro arriva all'allenamento accompagnato da Moki oppure da solo in autobus. A 16 anni ha sostenuto due provini in Inghilterra, con Reading e Tottenham, ma resta in Polonia, non è ancora pronto al salto di qualità. Qualche mese dopo, nel 2011, pur avendo offerte dal Legia Varsavia, ha preferito firmare per il Gornik Zagbre, un club decaduto appena promosso in prima divisione. “Per un ragazzo di 17 anni è importante non dover affrontare troppi problemi di ambientamento” spiega.
L'esplosione con Nawalka
Qui incontra l'altro allenatore che lo fa definitivamente esplodere, Adam Nawalka, che poi ritroverà come commissario tecnico della nazionale. “Arek è molto forte mentalmente, ed è ormai chiaro che la scelta del Napoli è stata quella giusta vedendo lo stile di gioco degli azzurri” ha detto Nawalka a ITASportPress. “Spero che per lui sia solo l’inizio: ha solo 22 anni, è giovane e può davvero migliorare tanto”.
Ci rivediamo in nazionale
Adam, spiegava Milik, “mi ha voluto al Gornik Zabrze quando avevo 17 anni. Mi ha fatto arrivare dal Rozwoj Katowice. Nel giro di quattro settimane mi ha fatto esordire in prima squadra. Mi ha dato fiducia e ha fatto lo stesso in nazionale per me. Adam è stato un giocatore molto rispettato in Polonia, ha giocato oltre 200 partite con il Wisla Cracovia. Da allenatore, è un amico, una persona onesta che può essere anche dura al momento giusto. Finché ci metti la testa, avrai sempre il suo rispetto”.
L'Ajax e il Napoli
Le strade del nuovo Klose lo portano, come l'originale, al Bayer Leverkusen. Ma gioca appena 8 partite con le “Aspirine” nel 2012-13, in mezzo 20 presenze, soprattutto spezzoni, nel prestito all'Augusta. Eppure qualcuno lo nota. È Andries Ulderink, allora scout dell'Ajax, oggi vice di Stam al Reading, che lo segue in nazionale e va anche ad assistere a più di un suo allenamento. Non ha ancora la continuità di rendimento che serve, ma gli piace come si muove nei dintorni dell'area.
Lo porta nella migliore scuola del calcio totale, lo fa lavorare con Dennis Bergkamp. “È stato uno dei migliori attaccanti al mondo” ha spiegato Milik, “e poter parlare con uno come lui, poter essere seguiti da leggende così aiuta. Non so dire di preciso cosa faccia con i centravanti dell'Ajax, però migliorano. Deve avere con i piccoli dettagli, cose da bomber”.
Montagna di forza
Al primo anno è capocannoniere della KNVB beker, la coppa nazionale, con 8 gol e il miglior marcatore dei Lancieri in Eredivisie con 11 reti in 21 presenze. In due stagioni, segna 47 gol in 75 partite. Il suo trasferimento all'Ajax è il più costoso nella storia della squadra. “Milik ce la farà” dicono a Tichy, come ce l'ha fatta Roman Ozaga, pure lui nato qui, medaglia d'argento alle Olimpiadi di Montreal nel ‘76. In fondo, il suo nome che deriva dall'ebraico significa “montagna di forza”.