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Ancelotti fa il sergente di ferro ma il suo Napoli è alle corde (e lui non è più credibile)

La panchina di Ancelotti traballa, non abbastanza da disarcionarlo subito. Non conviene a lui (che brutta figura farebbe un pluridecorato del suo rango), non conviene al club (che dovrebbe sborsare 18/20 milioni lordi in caso di esonero), non vuole lo stesso patron che con la squadra ce l’ha a morte e non ha alcuna intenzione di concederle alcun alibi. Ecco perché la scelta improvvisa del pugno di ferro non convince: non è una linea forte ma una sorta di exit-strategy. Nel tiro alla fune adesso tocca a lui dare l’ennesimo strattone. Ma è un Napoli alle corde.
A cura di Maurizio De Santis
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Ricapitoliamo. Aurelio De Laurentiis avrebbe portato la squadra in ritiro anche prima della sconfitta dell'Olimpico contro la Roma ma fece un passo indietro e ascoltò il suo allenatore. Pochi giorni dopo in conferenza stampa il tecnico prende pubblicamente posizione contro la decisione del massimo dirigente di spedire tutti, calciatori e staff, nel chiuso delle mura di Castel Volturno. Non per punizione ma con un fine costruttivo: per la serie, ‘scornatevi' lì, ditevi tutto ma trovate una soluzione e rimettetevi in carreggiata.

Le parole dell'allenatore smuovono la cenere e le scintille di ribellione appiccano l'incendio dell'ammutinamento. "Dici a tuo padre che ce ne andiamo a casa", è così che Insigne affronta Edoardo De Laurentiis. Allan usa ‘accenti' differenti ma la sostanza è la stessa. Lo spogliatoio implode: i giocatori tornano a casa, Ancelotti va in ritiro con il suo staff. Lui obbedisce, la squadra no. E dà l'impressione (a pensar male) di voltarle le spalle evitando grattacapi per sé.

È il momento peggiore della crisi azzurra, lo scontro è totale. Il presidente minaccia multe salatissime, è pronto alla battaglia legale. La panchina traballa, non abbastanza da disarcionare Ancelotti. Non conviene a lui (che brutta figura farebbe un pluridecorato del suo rango), non conviene al club (che dovrebbe sborsare 18/20 milioni lordi in caso di esonero), non vuole lo stesso patron che con la squadra ce l'ha a morte e non ha alcuna intenzione di concederle alibi né darle ragione per le ‘lamentele' contro l'allenatore. Piuttosto, lo seguano e si adeguino ai suoi metodi.

Lui sta dalla parte di Ancelotti, lo è sempre stato e lo è ancora di più adesso che sostenerlo gli è anzitutto utile (la stima è un'altra cosa e adesso è mutata) affinché la nave esca dalle acque ‘perigliose' e ritrovi la rotta. A ogni costo. E chi non si allinea può essere buttato a mare. Metaforicamente è quel ricorso al concetto delle ‘mele marce' citato da Arrigo Sacchi. Quelle ‘mele marce' che verranno scartate a fine stagione o anche prima, qualora la situazione lo richieda.

E allora Carletto, che sa di avere ancora poco margine per resistere al timone (Udine e poi Genk, la qualificazione agli ottavi di Coppa), stretto all'angolo serra le braccia e i gomiti, mulina pugni e passa all'attacco. Se uscirà di scena non lo farà certo senza combattere, chinando il capo o, peggio, senza dare evidenza che – al netto delle sue colpe – lavorare con un gruppo del genere è impossibile anche per uno navigato come lui.

Si spiega anche così l'improvvisa linea dell'intransigenza adottata da Ancelotti che si sente tradito dalla squadra e, dinanzi all'ennesima contestazione dei calciatori su metodologie di allenamento e assetto tattico, ribadisce loro: "Assumetevi le vostre responsabilità, in campo ci scendete voi". Il motivo? Più che esigenza di fare chiarezza, premiando chi merita e ha voglia per davvero di sudare la maglia, è auto-difesa. Non è una scelta forte ma (forse) una sorta di exit-strategy. Non è pugno di ferro ma tiro alla fune. Adesso è toccato a lui dare l'ennesimo strattone. È un Napoli alle corde.

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