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Ancelotti cita il padrino, esempio di rispetto. Sì, meritiamo la pistola sugli spaghetti

Il giornale tedesco Stern cita il passo del prossimo libro ‘Leadership silenziosa’ nel quale il tecnico italiano fa riferimento al boss di ‘cosa nostra’, don Vito Corleone: “E’ rispettato da tutti – dalla famiglia, gli amici, le persone che lavorano con lui, e anche dai suoi nemici”. Una nota stonata, pur avendo chiarito il concetto onde evitare strumentalizzazioni.
A cura di Maurizio De Santis
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Carlo Ancelotti e le copertine di 'Der Spiegel' sugli stereotipi italiani quali spaghetti e mafia
Carlo Ancelotti e le copertine di ‘Der Spiegel' sugli stereotipi italiani quali spaghetti e mafia

Carlo Ancelotti non è un mafioso, né un fiancheggiatore di ‘cosa nostra', nemmeno intendeva banalizzare (bontà sua) la ferocia dei delitti commessi e la promiscuità dei traffici indiscriminati della malavita organizzata. Al giornale tedesco, Stern, ha chiarito subito il concetto onde evitare strumentalizzazioni. E allora avremmo preferito che, parlando del suo ultimo lavoro editoriale ‘Leadership silenziosa', citasse Falcone e Borsellino quale esempio di persone a cui ispirarsi piuttosto che don Vito Corleone, il padrino raccontato in un libro da Mario Puzo e poi narrato dal grande cinema con Marlon Brando e Al Pacino. "E' rispettato da tutti – dalla famiglia, gli amici, le persone che lavorano con lui, e anche dai suoi nemici". Dice il tecnico, generando confusione quanto a rispetto scaturito dalla paura e dallo spessore umano.

Avremmo preferito che ricordasse il Generale Carlo Alberto Dalla Chiesa e le parole che pronunciò quando, dopo aver combattuto le Brigate Rosse, lo spedirono in Sicilia: "Mi mandano in una realtà come Palermo con gli stessi poteri del prefetto di Forlì, se è vero che esiste un potere, questo potere è solo quello dello Stato, delle sue istituzioni e delle sue leggi, non possiamo delegare questo potere né ai prevaricatori, né ai prepotenti, né ai disonesti". Avremmo preferito che facesse riferimento a chi lotta tutti i giorni con dignità e non cede al ricatto, agli agenti che hanno versato sangue e alle famiglie che hanno pianto (e piangono) lacrime.

Avremmo auspicato che il futuro allenatore del Bayern, nel Paese che ha piazzato in copertina una pistola su un piatto di spaghetti e buchi di pallottole, avesse ‘preferito la coppa' alla ‘montagna di merda', il suo ‘albero di Natale' e non menzionato quello genealogico di ‘cosa nostra' che – ahinoi – fa il paio con il pregiudizio alimentato dalla ‘fuga del comandante Schettino', da Gomorra e la strage di Duisburg ficcata dentro un copione come i cavoli a merenda, da Berlusconi (‘der pate', secondo la provocazione dei tedeschi) e le amenità del bunga bunga, della culona inchiavabile e di Obama abbronzato. Avremmo preferito che tacesse perché, dinanzi a esempi del genere, se dobbiamo ancora spiegarci allora è davvero tutto inutile.

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